Confine

Ecco gli abitanti più a sud della Svizzera

La famiglia Olivieri di Pedrinate può vantare un record: quello di vivere nella casa più a meridione della Confederazione - Si trova addirittura oltre la dogana elvetica e per posteggiare l’auto occorre necessariamente passare dall’Italia - VIDEO
Giusi Olivieri e la figlia Chandra posano davanti a casa. Il puntino giallo sull’asfalto indica il confine tra Svizzera ed Italia. (foto Putzu)
John Robbiani
02.07.2019 06:00

PEDRINATE - Tutti i ticinesi, chi più chi meno, sono gente di confine. Un po’ ovunque nel cantone basta alzare gli occhi e guardare a una distanza di 15 chilometri al massimo per vedere la frontiera (o la montagna che fa da frontiera). Chi più e chi meno, dicevamo. A Pedrinate c’è chi - come la famiglia Olivieri - vive talmente vicino al confine che per posteggiare l’auto nel vialetto di casa deve passare sul territorio italiano. Ma non è la loro unica particolarità. Gli Olivieri sono le persone che vivono geograficamente più a sud della Svizzera. La loro casa è addirittura situata dopo la dogana elvetica, a metà strada tra il valico svizzero e quello italiano. Li abbiamo incontrati e ci siamo fatti raccontare cosa significa per loro detenere questo particolarissimo primato.

La ramina a un passo

Arriviamo a Pedrinate e lasciamo l’auto non lontano dalla partenza del «Sentiero delle guardie». Da quello, camminando per una decina di minuti nel bosco, si può arrivare al «cippo S 75 B», che è il punto estremo sud della Svizzera. Decidiamo invece di continuare sulla Cantonale e di raggiungere il «cippo S 78 C», che non è quello più a sud ma quello più vicino al valico di Pedrinate. L’abitato (un quartiere di Chiasso) più a sud della Svizzera. E incontriamo Giusi Olivieri. La sua casa è completamente in territorio elvetico. Si trova come detto dopo la dogana, ma completamente in Svizzera. Il muretto e la siepe sono parte della Confederazione, mentre il marciapiede è in Italia. In mezzo alla carreggiata c’è disegnato un puntino giallo che indica con precisione il confine, e quasi di fronte alla porta d’entrata gli Olivieri hanno la sbarra (alzata) che separa le due Nazioni. La casa più vicina, praticamente dall’altra parte della strada e costruita su un piccolo rialzo naturale, è in Italia. E tra le due abitazioni c’è la ramina, invasa completamente dall’edera e che non sembra più molto stabile. «Mi han detto che risale ai tempi di Mussolini», ci spiega la signora Olivieri.

«Abito a Pedrinate da 10 anni - ci racconta - ma sono cresciuta a Lugano e ho abitato a Genestrerio. Anche lì eravamo al confine, ma è chiaro che questa è un’altra cosa. Abbiamo avuto la possibilità di comprare questa casa, che una volta era delle dogane, e ci siamo trasferiti». Ed è, in effetti, una bella casa.

Tanti cambiamenti

Dieci anni non sono moltissimi, ma Giusi Olivieri ha notato molti cambiamenti. «Ho visto proprio la chiusura delle dogane. C’era il periodo in cui di notte arrivavano i doganieri italiani e chiudevano la sbarra, dalla sera alla mattina». «Poi però - continua Olivieri - il valico l’hanno aperto. Quello che mi dava veramente fastidio era l’assenteismo. A Pedrinate ci sono stati furti e anche delle persone che si sono ritrovate i ladri in casa e sono state minacciate con delle pistole. Tutti gli abitanti del quartiere erano preoccupati. Vedevamo entrare i ladri, sapevamo che da Pedrinate entrava la cocaina e sapevamo che in giro c’erano persone con le rivoltelle. Le bande entravano in Svizzera da Pedrinate, e secondo me parcheggiavano al posteggio della dogana, quasi per farci un dispetto».

La petizione e le lettere

Nel 2014 Giusi Olivieri e diversi altri abitanti di Pedrinate decidono di fare qualcosa. «Era stata preparata una lettera in cui si chiedeva la chiusura del valico doganale. Ma ho pensato che forse non era il modo migliore per iniziare». Ed è così che la lettera viene rivista, trasformandosi in una petizione che chiede - a nome dei cittadini di Pedrinate e Seseglio - «interventi immediati affinché i valichi siano presidiati il più possibile durante l’arco della giornata, per evitare la recrudescenza di rapine e furti e garantire l’incolumità dei cittadini e delle persone che lavorano negli esercizi pubblici». Una petizione che chiedeva maggior presenza delle guardie di confine e della polizia, soprattuto al calar della sera. «Noi non sapevamo neanche esattamente cosa chiedere. Non siamo politici e fare le guardie di confine non è il nostro lavoro. Chiedevamo interventi perché, appunto, vedevamo che come iniziava a far buio i criminali entravano. In paese dunque ci siamo mossi. All’inizio, per tre mesi, abbiamo avuto quasi paura di scontrarci con i politici o contro la Confederazione. Però non è che stavamo facendo qualcosa di male». E la petizione è un successo. In due giorni raccoglie 250 firme e viene inviata all’allora consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf. «Ma abbiamo anche organizzato incontri informativi. A Chiasso, dove abbiamo portato persone da tutto il Mendrisiotto. E poi siamo entrati in contatto con altre realtà simili alla nostra in altre regioni del Ticino. Per esempio ad Astano». E il risultato? «Per sei mesi - spiega Olivieri - hanno fatto la chiusura notturna del valico. Lei mi chiede se ha avuto effetto? Io so solo che è stato un po’ come chiudere le porte di casa e ancora oggi devo dire che non abbiamo più vissuto una situazione come quella del 2014. I furti sono diminuiti». Ma è questa la soluzione? Chiudere i valichi? Ricostruire la ramina e sigillare il confine come una volta? Le stesse guardie di confine sembrano preferire la strategia dei controlli mirati (magari effettuati anche più all’interno del Paese). «Appunto, non sono io la specialista. L’importante è che si raggiunga l’obiettivo. Perché in questi mesi si è letto diverse volte di bande che entrano da noi con gli esplosivi per far esplodere i bancomat, e dunque non è che la situazione sia tranquilla. Io sinceramente per lasciar fuori quelle persone rimetterei anche tutta la ramina. L’importante è tenere fuori i cattivi». Chiusura delle frontiere, apertura delle frontiere. È un tema che divide la Svizzera perlomeno dalla firma degli accordi bilaterali. Ma proprio dalla discussione con Giusi Olivieri spicca un altro elemento, che spiega anche forse perché gli abitanti di Pedrinate nel 2014 avevano avuto, per tre mesi, «paura di lanciare la petizione e scontentare qualche politico». Perché se una persona vive in un quartiere di Lugano, di Mendrisio o di Bellinzona e vede che in una determinata via ci sono rapine o spaccio di droga non si farà di certo problemi a chiamare la polizia e a chiedere l’intervento dell’autorità. Sul confine è (un po’) più complicato perché in gioco ci sono altri fattori. Interessi nazionali, relazioni internazionali. E la politica. Perché chiedere più sicurezza ai confini - indipendentemente da come la si pensa - è un messaggio che può venir politicizzato da più parti, e questo anche se a chiederlo sono semplici cittadini che con la politica non vogliono aver nulla a che fare. Cittadini come tutti gli altri.