Cassa pensioni dello Stato

Ecco le misure di compensazione, ma il voto popolare è dietro l’angolo

Il Consiglio di Stato ha pubblicato il messaggio con cui spiega come intende controbilanciare il taglio delle rendite - Previsto un contributo supplementare del 3% a carico sia degli assicurati che dei datori di lavoro - Il costo per il Cantone sarebbe di 14,6 milioni all’anno
©Chiara Zocchetti
Paolo Gianinazzi
12.07.2023 21:47

L’annuncio, da parte di sindacati e Governo, sull’intesa per le misure di compensazione per il taglio alle pensioni degli affiliati all’Istituto di previdenza del Canton Ticino (IPCT) è giunto alla fine dello scorso maggio. All’appello, per mettere nero su bianco i dettagli di quell’intesa, mancava però ancora il messaggio governativo. Messaggio che è stato approvato dal Consiglio di Stato nella sua seduta di mercoledì. E che ora, dopo la pausa estiva, approderà dunque sui banchi della politica cantonale dove, c’è da scommetterci, farà parecchio discutere. Non a caso, va ricordato, Lega e UDC da tempo hanno annunciato battaglia, promettendo più volte di portare il dossier alle urne.

Che cosa viene proposto?

Ma veniamo, prima di tutto, ai dettagli della proposta del Governo per compensare l’inevitabile (e in parte già deciso) taglio alle rendite pensionistiche degli assicurati alla Cassa pensioni dello Stato. Un taglio che, ricordiamo, avverrà sull’arco di otto anni, dal 2024 al 2031, e che prevede una diminuzione dell’aliquota di conversione dall’attuale 6,17% al 5,25%. Ossia, in soldoni, una diminuzione delle pensioni vicina al 20%. Proprio per mitigare l’effetto di questa riduzione, scrive il Governo, si propone di introdurre «nuovi contributi supplementari» per aumentare gli accrediti di vecchiaia degli assicurati. Contributi, pari al +3% dei salari assicurati (al 1. gennaio 2025), che saranno a carico sia del datore di lavoro sia degli assicurati. Con questa misura – scrive poi l’Esecutivo –, «viene raggiunto l’obiettivo di permettere alle persone con una carriera completa davanti a sé (circa 40/45 anni di contributi) di non subire praticamente alcuna riduzione della rendita di vecchiaia». Detto diversamente: viene così preservato «l’attuale obiettivo di rendita, pari a poco più del 47% dell’ultimo stipendio». Diverso, ovviamente, il discorso per i «meno giovani», ovvero chi non ha più davanti a sé 40 anni di contributi e che quindi non avrebbe il tempo necessario per compensare con un aumento del contributo il previsto taglio del tasso di conversione. In questo caso, a intervenire sarebbe direttamente l’IPCT. Come riferisce il Governo nel messaggio, nel contempo il CdA dell’IPCT «ha deciso di adottare delle misure supplementari di propria competenza per garantire anche alle persone assicurate meno giovani di subire una riduzione della rendita sopportabile, quantificata in un massimo del -2%». Ciò, però, «a condizione che le misure implementate dall’Istituto vengano accompagnate anche dalle misure oggetto del messaggio». Detto altrimenti: se tutto andrà come indicato nella proposta del Governo, nessun assicurato dovrebbe vedersi ridurre la pensione più del 2%.

Chi paga quanto

Come detto, il contributo supplementare del 3% andrà a carico sia dello Stato sia degli assicurati. Il Governo, «per evitare un modello troppo rigido», prevede di inserire nella legge una forchetta «sia per l’ammontare complessivo del nuovo contributo supplementare, situato tra un minimo dello 0% ed un massimo del 4% dei salari assicurati, sia per la sua ripartizione tra dipendenti e datori di lavoro (tra un minimo del 50% e un massimo del 70% per la parte dipendenti)». E questo perché, sottolinea l’Esecutivo, la legge sull’IPCT «contiene finora troppi elementi rigidi, e questa inflessibilità è corresponsabile delle difficoltà, per l’Istituto, di reagire tempestivamente al cambiamento di parametri fondamentali dovuti a fattori macroeconomici o demografici». Ad ogni modo, all’interno di questa forchetta il Governo propone, appunto, di fissare il contributo supplementare al +3%. Esso sarebbe così ripartito: il 60% a carico degli assicurati e il 40% a carico del datore di lavoro. Ovvero, in termini percentuali l’aumento sarebbe dell’1,8% per gli affiliati e dell’1,2% per il datore. Tuttavia, allo stesso tempo il Governo propone che «siano i datori di lavoro ad assumersi in futuro» l’attuale contributo di risanamento dell’1% sui salari assicurati. Un contributo introdotto con la «famosa» riforma del 2012, tramite il quale gli assicurati oggi contribuiscono al risanamento della Cassa.

In soldoni, dunque, la maggior trattenuta salariale in busta paga per gli assicurati sarebbe dunque dello 0,8% (l’aumento dell’1,8% a cui viene tolto l’1% del contributo di risanamento).

Sul fronte dei datori di lavoro, invece, i maggiori costi sono così quantificati dal Governo: +14,6 milioni per il Cantone, 3,2 milioni per i Comuni (di cui 2,3 per i docenti comunali e 0,9 per i dipendenti dei Comuni affiliati all’IPCT) e infine 4 milioni per gli altri Enti affiliati (come la SUPSI, varie associazioni di cure a domicilio, Fondazioni o Case per anziani).

Le misure dell’Istituto

Nel messaggio vengono poi anche esplicitate le misure di competenza dell’IPCT di cui abbiamo accennato prima, che mirano a garantire anche ai «meno giovani» di subire una riduzione della rendita quantificata in un massimo del -2%. Ebbene, tra queste, oltre alla già citata riduzione del tasso di conversione fatta in maniera scalare su otto anni (invece di abbassarlo in un solo colpo), figurano anche due novità. La prima riguarda degli accrediti individuali e una tantum per accrescere il capitale di vecchiaia degli interessati. La seconda, invece, riguarda l’introduzione di tre possibili piani assicurativi: uno con il già citato aumento del 3%, uno con un piano privo di aumenti di costi a carico dei dipendenti (con un conseguente minor accumulo di capitale di vecchiaia), e uno che, all’opposto, contempla aumenti ancora maggiori, destinato alle persone assicurate che desiderano massimizzare il loro capitale di vecchiaia finale.

Il confronto

Nel messaggio governativo, infine, a più riprese viene pure paragonata la situazione degli assicurati all’IPCT a quelli affialiati ad altri Enti simili in Ticino e nel resto della Svizzera. Ebbene, in estrema sintesi, ne emerge che senza le misure di compensazione le pensioni dei dipendenti cantonali diventerebbero «nettamente le peggiori». Allo stesso tempo, però, viene anche evidenziato che il taglio del tasso di conversione al 5,25% porterà tale quota in linea con la media nazionale.

Lo spettro della raccolta firme

Ora che le misure di compensazione sono state presentate, la palla passa ovviamente al Gran Consiglio, dove il tema è destinato a far discutere. Come noto, e come confermatoci nuovamente dal granconsigliere Daniele Caverzasio, l’intenzione della Lega è quella di portare il popolo a votare su questo tema. Ciò, potrà avvenire con la «classica» raccolta firme, oppure tramite il referendum finanziario obbligatorio. Uno strumento, quest’ultimo, già evocato anche dall’UDC. Insomma, il voto popolare è dietro l’angolo.

Il direttore del DFE Christian Vitta, da noi contatto, commenta così questa possibilità: «È la democrazia. Noi siamo pronti anche per questo scenario. Per chi oggi inizia, anche da giovane, a lavorare presso questi datori di lavoro, tra cui lo Stato, la rendita è in linea con le altre Casse pubbliche. Ma se non ci fossero queste misure di compensazione, il calo delle pensioni potrebbe raggiungere il 15%, ed essere quindi molto meno interessanti dal profilo previdenziale rispetto ad altri datori di lavoro». Insomma, per lo Stato è una questione di responsabilità, ma anche di attrattività.

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