Era chiaramente ubriaca, e lui ne ha approfittato

Giugno dell’anno scorso. Piena notte, le prime ore di una domenica. Un uomo in auto sulla cinquantina vede una donna in via Bagutti a Lugano. La fa salire in auto, le dà un passaggio a casa, e si rende conto di conoscerla di vista. È una sua coetanea. La donna biascica un po’, ha movimenti incerti. È ubriaca. Tanto che, arrivata a destinazione, scende dalla macchina e cade. L’uomo, un italiano nato e cresciuto in Ticino, scende a sua volta e la aiuta a rialzarsi, posizionandosi su di lei. Non si parlano, ma gli sguardi si incrociano e scatta qualcosa. Senza una parola l’uomo si abbassa i pantaloni per una fellatio. Al termine, i due si salutano. La donna torna a casa, l’uomo in auto.
Stesso giorno, prima mattina. La donna si sveglia e non ricorda come sia rincasata e cosa sia successo. Ha solo un flash. Era sdraiata a terra e su di lei c’era un uomo. Ricorda di avergli toccato i capelli, di avergli chiesto chi era. Ma non ricorda la risposta. Sulla maglietta trova delle macchie biancastre e comincia a temere che abbia abusato di lei. Chiama l’ospedale e da lì a poco arriva la conferma che quello sui suoi vestiti è effettivamente sperma. Non ricorda il rapporto orale. Non sa chi sia l’uomo.
L’indagine si arena. Il profilo del DNA non dà riscontri nei database, la donna non ricorda altro. Ma decide di continuare a frequentare gli stessi posti nella speranza che le si accenda una lampadina. Succede una sera di settembre. Saluta un uomo che non vedeva da un po’. Un uomo che le ricorda che l’ultima volta che si sono visti le ha dato un passaggio in auto. Le si gela il sangue.
Chiedeva l’assoluzione
La vicenda è approdata di fronte alla Corte delle assise correzionali presieduta dal giudice Siro Quadri, e l’uomo era accusato di atti sessuali con persone inette a resistere. Uomo, difeso dall’avvocato Mattia Guerra, che contestava sia che quella sera la donna non fosse in grado di determinarsi, sia che non vi fosse consenso. Sosteneva, in altre parole, di non aver fatto nulla di penalmente rilevante e chiedeva essere assolto. La procuratrice pubblica Pamela Pedretti, titolare dell’inchiesta, ha per contro chiesto la sua condanna a venti mesi di carcere sospesi. La Corte le ha infine dato ragione, confermando l’atto d’accusa ma contenendo la pena in quindici mesi sospesi. Dato che si tratta di un caso di rigore, si è inoltre deciso di prescindere dall'espulsione dalla Svizzera.
Gli argomenti di accusa e difesa
«La vittima non era in grado di determinarsi - ha argomentato Pedretti - e lui aveva perfettamente capito che poteva fare con lei quello che voleva. Per oltre cinque minuti l’ha resa il suo oggetto sessuale». La procuratrice ha inoltre sostenuto che l'imputato sapeva che quanto fatto era sbagliato: «Gli ho chiesto come avrebbe reagito se tutto questo fosse successo a sua figlia e mi ha risposto che ovviamente si sarebbe arrabbiato». «La sua è una confessione piena - ha rimarcato l’avvocata Demetra Giovanettina, legale della vittima - e manca solo il passaggio logico finale, l’ammissione di colpa. Credo non ci sia perché protegge se stesso dalla vergogna che prova».
L’avvocato Guerra ha per contro affermato che il suo assistito «si è improvvisamente e ingiustamente trovato invischiato in questo procedimento. Non voleva approfittarsi di lei e ha sempre creduto di agire con consenso. Non vi è reato se l’accusato è convinto (seppure a torto) di agire con una persone in grado di determinarsi». E a mente della difesa la vittima al momento dei fatti «sapeva esprimere la sua volontà». «È lei che ha preso l’iniziativa» al momento della fellatio, ha anche affermato Guerra.
Le motivazioni del giudice
«La vittima è del tutto credibile - ha infine sentenziato il giudice Quadri - e quella sera non ha fatto nulla, ma proprio nulla, di male. Ha solo avuto la sfortuna di incontrare qualcuno che si è approfittato di lei, con una freddezza inaudita». Quanto al presunto consenso della donna: «Vi erano tantissime indicazioni che questo non fosse necessariamente presente. La caduta subito prima dell’atto sessuale è la spia più evidente. Ed è impossibile che in quello stato lei abbia lanciato dei segnali all’imputato». Il seducente incrocio di sguardi evocato dall’uomo e riportato in apertura dell’articolo, dunque, non c’è mai stato. Al suo posto freddezza inaudita. E unilaterale.