Erbonne: là dove il confine unisce e definisce

ERBONNE - Alle nostre latitudini quando si parla di frontiera si rischia spesso di incorrere in opinioni contrastanti, direzionate sui contenziosi presenti da una e dall’altra parte della sottile linea di separazione. Eppure a Erbonne, piccola località italiana a ridosso della Valle di Muggio, confine è sinonimo di incontri, storia e speranze. A presentarcela e raccontarcela nei giorni scorsi sono stati sindaco e vicesindaco, che abbiamo raggiunto sul posto.
Un mosaico storico italo-svizzero
Sette. Questo è il numero di persone che, attualmente, risiedono a Erbonne. Sette persone legate indissolubilmente alla storia italiana come anche a quella svizzera. Infatti, come ci spiega il sindaco di Centro Valle Intelvi - Comune dove si inserisce la frazione di Erbonne - Mario Pozzi, qui ci sono solo due cognomi: Cereghetti e Puricelli. Il primo d’origine svizzera, il secondo invece, italiana.


Un miscuglio di nomi e nazionalità che sottolinea il carattere transfrontaliero degli abitanti, i quali, alla domanda riguardo a quale nazionalità sentono maggiormente loro, non riescono a dar risposta. «Io sono di qua e di là», ci spiega Franco 91 anni, molti dei quali vissuti nel piccolo paesino, «i miei figli e nipoti lavorano tutti in Svizzera, ma io sono sempre stato qui con mia moglie lavorando come contadino». Una necessità, quella di emigrare per trovare lavoro e sopravvivere, che nel tempo ha assottigliato progressivamente la già esigua popolazione presente nel secolo scorso, arrivata a toccare le 149 unità durante gli anni Venti. Una popolazione che si appoggiava principalmente sui ricavi derivanti dalle attività agricole, ma non solo.
«Burlanda e sfrusaduu»
Letteralmente, nel dialetto della zona, finanzieri e contrabbandieri. Le due figure si sono incrociate infinite volte sui ripidi e scoscesi pendii che separano Svizzera e Italia, entrambe in ruoli diametralmente opposti, ma accomunati da un solo ed unico obiettivo: portare sostentamento alla propria famiglia.
È infatti anche per sfamare i propri cari che si è sviluppato il contrabbando nella regione, spiega Ettore Puricelli, vicesindaco del Comune. «Pensate che addirittura mio padre fu un contrabbandiere, altrimenti come avremmo fatto?», continua Ettore. Non si tratta di un caso isolato, come confermatoci da Franco: «Io ho contrabbandato 5 volte, quattro mi è andata bene, l’ultima ho dovuto abbandonare il carico. Ho rischiato grosso. Da quel momento non l’ho più fatto».
Il contrabbando era quindi un’attività necessaria, certo illegale e rischiosa, ma che ha permesso a intere località di sopravvivere.
Per la notevole rilevanza che ha acquisito questa pratica nel contesto culturale e sociale del secolo scorso è stato quindi deciso di ristrutturare un’ex casermetta doganale al fine di creare il museo Museo della Guardia di Finanza e del Contrabbando. La struttura in cui si situa il museo è molto piccola, ma presenta un’ampia collezione di oggetti e cimeli appartenuti a contrabbandieri e finanzieri. «Il museo rappresenta un riferimento culturale importante per Erbonne, è di fondamentale importanza per noi mostrare la realtà del secolo scorso, come anche creare un luogo di interesse per vivacizzare il turismo di questo paesino», precisano Angelo Serra e Stefano Agnese, finanzieri in congedo che hanno prestato servizio nella regione e che oggi si occupano di aprire – su richiesta – le porte dell'edificio agli interessati. Il museo permette quindi al visitatore di immergersi in quella che è considerata l’era «romantica del contrabbando», un periodo storico in cui sigarette, caffè, zucchero e talvolta alcolici venivano trasportati silenziosamente nel cuore della notte dal territorio elvetico a quello italiano.
Tradizioni da preservare
Non solo la morfologia del territorio è cambiata nel corso degli anni, lo dimostrano ad esempio gli antichi pascoli del villaggio ormai quasi interamente ricoperti da una folta vegetazione boschiva; ma anche usi e costumi hanno modificato la loro essenza. «Manca sì il nostro stile di vita, l’essere circondati da animali e contadini in un villaggio vivo. L’inverno fa venire nostalgia, è tutto un po’ grigio e vuoto», ci racconta con aria malinconica Albina, 92 anni e moglie di Franco da più di 60. La necessità, per i pochi abitanti rimasti e per le autorità, è quindi quella di mantenere vivo il paese nel futuro. Sfida che, almeno nel periodo estivo, sembra essere stata affrontata con lo spirito giusto: i turisti e i residenti nelle case di vacanza abbondano. Infatti, la gettonatissima Osteria del valico presente nel piccolo borgo registra quasi sempre il tutto esaurito, permettendo ad oltre una quarantina di persone al giorno di rifocillarsi dopo – o prima – aver passeggiato per i numerosi sentieri che custodiscono antichi segreti, come la grotta dell’orso o le tradizionali nevere.
Insomma, nonostante le ridotte dimensioni Erbonne si propone come un crocevia ricco d’esperienze, particolarmente adatto a chi vuole concedersi una pausa naturalistica, gastronomica e storica da una vita che ogni tanto può rivelarsi troppo frenetica. Una frenesia che gli abitanti del piccolo paese – ultimi interpreti di usanze secolari della nostra regione – sembrano non conoscere, abituati infatti a vivere avvolti in uno spirito di solidarietà e coesione che – forse – soltanto un luogo così a profondo contatto con la natura e la tradizione può vantare.