Commerci al dettaglio

Estensione del lavoro domenicale: «Contro la nuova liberalizzazione»

Forze sindacali, politiche e organizzazioni sociali progressiste scendono ufficialmente in campo in vista della votazione popolare di giugno sulla modifica della legge cantonale sugli orari di apertura dei negozi - Il Comitato unitario: «Non è il futuro che vogliamo»
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
20.04.2023 19:25

«Non lasciamoci ingannare. Non si tratta di una piccola modifica di legge, ma di una grande liberalizzazione delle aperture domenicali, che avrà un impatto nefasto sul personale, sui piccoli commercianti e sull’ambiente».

È un comitato unitario composto da un ampio ventaglio di organizzazioni sindacali, politiche e sociali quello che oggi a Bellinzona è sceso in campo in vista della votazione di giugno, quando la popolazione ticinese dovrà esprimersi sul referendum contro la modifica della Legge cantonale sugli orari di apertura dei negozi approvata dal Gran Consiglio lo scorso 19 ottobre. Un fronte unito contro quella che la sindacalista di UNIA, Chiara Landi, ha definito «il secondo atto di un’opera di liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi e del lavoro domenicale». Una liberalizzazione «che procede a colpi di modifiche progressive, secondo la tattica del salame».

Una fetta alla volta

Secondo il comitato unitario, la legge in vigore concede già grandi libertà (vedi box in fondo all'articolo). «La maggior parte dei negozi però non usufruisce di questa possibilità, perché le vendite fuori orario non sono sufficienti a coprire i costi delle aperture prolungate», ha osservato Landi. Eppure, si vuole andare oltre. Così ha deciso a maggioranza il Gran Consiglio lo scorso ottobre, approvando una riforma che introduce nuove estensioni e deroghe: l’aumento da 3 a 4 domeniche all’anno di aperture generalizzate; la possibilità di tenere aperto un’ora in più durante le giornate di San Giuseppe, Corpus Domini, lunedì di Pentecoste, l’Immacolata; e un’estensione delle deroghe per l’apertura domenicale nelle zone turistiche.

Secondo la legge in vigore, attualmente nelle località turistiche possono tenere aperto tutte le domeniche e tutti i giorni fino alle 22.30 unicamente i commerci con una superficie inferiore a 200mq. La riforma approvata dal Parlamento cantonale invece ha raddoppiato la superficie massima da 200 mq a 400mq. «Ma perché introdurre una nuova estensione, se in realtà la maggior parte dei negozi non sfrutta i margini concessi dalla legge in vigore?». Semplice, secondo Landi: «La riforma è pensata, non nell’interesse pubblico, ma per le grandi catene commerciali».

Secondo il comitato, la nuova modifica di legge rischia infatti di aggravare le difficoltà dei piccoli commercianti che non potranno sostenere la concorrenza delle grandi catene. «Gli unici che approfitteranno di questa ulteriore liberalizzazione degli orari di apertura saranno i grandi commerci, che con i loro grandi mezzi si impossesseranno di tutto il mercato lasciando poco o niente ai piccoli».

I posti di lavoro

Il comitato unitario ha poi liberato il campo da alcuni argomenti difesi «fallacemente» durante le discussioni in Gran Consiglio: «L’ampliamento degli orari di apertura non aumenta i posti di lavoro come qualcuno vorrebbe far credere», ha commentato la sindacalista OCST Benedetta Rigotti. «I posti di lavoro crescono solo se cresce il fatturato, ma il budget dei ticinesi è il medesimo, anche con maggiori aperture», ha sentenziato Rigotti, la quale ha poi ricordato che il 70% del personale di vendita è donna. «È inutile nascondersi dietro a un dito - ha detto -. Per una mamma aggiungere un’ora in più alla sera non è pari a zero». A questo si aggiunga che «le parti sociali non sono state coinvolte nella decisione parlamentare», intervenuta - peraltro - prima della verifica prevista a un anno dall’introduzione della nuova legge. «A causa della pandemia non è stato possibile valutarne gli effetti e ora, addirittura, si vorrebbero introdurre nuove estensioni».

Modelli di società e di vita

Più in generale, secondo il comitato unitario, il prossimo 18 giugno la popolazione ticinese si esprimerà su un modello di società: «Se dovesse crollare la tutela del riposo domenicale nel commercio, prima o poi crollerà in tutti gli altri settori professionali», ha detto Landi, secondo la quale si imboccherebbe «la strada di una società dove riposare e passare il tempo con la propria famiglia non sarà più un diritto ma un lusso a cui solo pochi privilegiati potranno accedere». Una posizione condivisa anche dalle forze politiche intervenute accanto ai sindacati. «Come PS abbiamo combattuto la riforma in Parlamento. Ora scendiamo in capo per rispedire al mittente queste proposte ingiuste, che erodono tempo libero ai lavoratori e alle famiglie», ha chiosato Igor Cima. Per Marco Noi dei Verdi, «la modifica ci proietta in una società in cui il tempo libero viene a coincidere con il tempo dei consumi», e dove il tempo per rigenerarsi dalle pressioni del lavoro si esaurisce al pari delle risorse naturali. Per Gianfranco Cavalli del Partito operaio popolare «la deregolamentazione porterà a uno spezzettamento dei turni e non nuovi posti di lavoro». Cavalli ha poi concluso sul tema dei salari: «Con un tasso di povertà attorno al 15 %, un tasso di indebitamento dell’8% e, mediamente, salari inferiori al resto della Svizzera, come è possibile pensare che una liberalizzazione possa produrre più fatturato e posti di lavoro?». Per tutti questi motivi, ha concluso il comitato, «la domenica non si vende».

La legge cantonale sugli orari di apertura dei negozi è entrata in vigore a gennaio 2020 e prevede aperture generalizzate per 3 domeniche all’anno, per i festivi non parificati alla domenica (5 giorni all’anno), aperture fino alle 19.00 tutti i giorni (fino alle 21.00) il giovedì e aperture 7/7 delle 6.00 alle 22.30 nelle zone turistiche, ossia su due terzi del territorio cantonale per i negozi con una superficie inferiore a 200 mq. A queste si aggiungono le aperture generalizzate per eventi come Black Friday e le manifestazioni locali.