Estorsione mafiosa in centro a Lugano

Nel 2016 un professionista ticinese residente nel Luganese e attivo nel campo dell’immobiliare è stato vittima di un’estorsione a carattere mafioso in centro città. La notizia è emersa solo negli scorsi giorni nell’ambito di un’inchiesta a carico di quattro persone per l’accaduto: un architetto veneto, suo figlio, un imprenditore kosovaro e, soprattutto, un 57.enne calabrese residente in Emilia Romagna condannato nel 2021 in prima istanza a 16 anni e sei mesi per una lunga serie di altre estorsioni messe in atto con metodo mafioso nel nordest italiano nel 2013. Gli inquirenti lo considerano il braccio destro dei Bolognino, famiglia accusata di rappresentare gli interessi della cosca ‘ndranghedista Grande Aracri, appunto, nel nordest italiano.
Sottratta a un imprenditore?
Ed è proprio dal processo che ha sgominato il gruppo Bolognino che è emersa la vicenda che riguarda il professionista luganese. Vicenda che ruota attorno alla compravendita di Villa Ducale, un edificio vetusto sito a Mazzorbetto, una delle isole della Laguna Veneta, dal valore stimato in due milioni di euro. L’isola era di proprietà di un imprenditore veneto a cui gli imputati l’avrebbero estorta nel 2013 (il processo per i fatti di cui stiamo scrivendo non si è ancora celebrato, e per tutte le persone coinvolte vige la presunzione d’innocenza). Dopodiché avrebbero cercato di venderla al ticinese, pare per quattro milioni. E, quando l’affare non è andato in porto, gli avrebbero estorto circa ottantamila euro fra il 2016 e il 2017.
Due volte in visita
L’ipotesi di reato mossa al calabrese e ai due veneti, in questo senso, è proprio quella di estorsione, aggravata dal metodo mafioso, ai danni del ticinese. Quest’ultimo, stando all’ipotesi accusatoria, era stato contattato dall’architetto veneto che gli aveva ventilato la possibilità di comperare Villa Ducale. Il ticinese si è poi recato due volte a vedere l’edificio (la seconda con «un possibile acquirente toscano residente inSvizzera») e in entrambi i casi il calabrese si è presentato come il proprietario, mostrandogli anche altre proprietà immobiliari.
Le minacce
La compravendita non è poi andata in porto, ed è a questo punto che è cominciata la presunta condotta estorsiva ai danni dell’uomo. I tre infatti pretendono che il ticinese li rimborsi «a titolo di "danno" asseritamente subito per il mancato perfezionamento dell’acquisto». Ma non lo fanno attraverso una causa legale, bensì tramite minaccia.
Citiamo da una sentenza relativa alla richiesta dei due veneti di essere scarcerati (richiesta respinta dalla Cassazione) in cui sono peraltro citati anche stralci della testimonianza della presunta vittima: «Il calabrese si era recato più volte dal ticinese in Svizzera insieme ai veneti avvisandolo che conosceva i suoi familiari, che sapeva dove abitavano e "che se non avessi pagato sarebbe arrivato qualcun altro facendo intendere che sarebbe venuto qualcuno a picchiarmi"».
Un altro stralcio: «Il ticinese aveva ancora fatto presente che il calabrese gli riferiva di conoscere in Calabria soggetti "i quali erano meglio che non muovevano da lì ... fino a quando veniva lui le cose si potevano risolvere in un certo modo, ma se salivano loro poteva succedere qualcosa di grave perché questi sono pericolosi"».
In più tranches
Sentendosi intimorito, il ticinese ha poi dato «circa ottantamila euro» ai tre in più tranches fra luglio 2016 e ottobre 2017, senza poi denunciare l’accaduto che - come accennato - è emerso in aula penale, durante il processo in cui sono stati comminati i 16 anni di carcere proprio al calabrese.