Fermo di polizia al Maghetti: è stato un abuso di autorità

Partecipando a quel fermo che sapeva essere illecito, si è reso colpevole di abuso di autorità. È quanto ha stabilito nei giorni scorsi la Corte di appello e di revisione penale (CARP), che ha respinto l’appello di un agente della Polizia della Città di Lugano condannato in primo grado nel giugno di due anni fa insieme ad un collega.
Che cosa era successo
I fatti risalgono al 28 dicembre di cinque anni fa al Quartiere Maghetti, quando i due poliziotti – un appuntato e l’agente in questione, all’epoca dei fatti in formazione – fermarono e misero a terra un giovane iracheno. Quella sera, i due agenti erano intervenuti per un assembramento con schiamazzi al Maghetti. Dopo essere stato controllato, il giovane iracheno si era portato alla bocca una sigaretta, nonostante gli fosse stato detto di non accenderla. Tutto era poi successo in pochi attimi: l’appuntato gliela aveva levata e gli animi si erano scaldati. Da lì era nata la colluttazione che ha portato al fermo. Nel confermare l’atto di accusa del procuratore generale Andrea Pagani, il giudice della Pretura penale Simone Quattropani aveva concluso che quella sera «non vi era una situazione di tensione, di minaccia o che potesse mettere in difficoltà i poliziotti». L’appuntato, superiore in grado, «ha perso le staffe, ha agito senza motivo e in modo sproporzionato, come è stato sproporzionato l’ammanettamento», mentre l’agire del collega «è sì diverso perché non ha visto gli inizi della colluttazione», ma «ha percepito esattamente cosa stesse accadendo». Di qui la condanna del graduato (difeso dall’avvocato Roy Bay) e del secondo poliziotto (patrocinato dalle avvocate Maria Galliani e Micaela Negro), a pene pecuniarie sospese da 60 a 20 aliquote per abuso di autorità e vie di fatto, quest’ultimo addebito riferito a due colpi sferrati dall’appuntato all’uomo a terra, un calcio e una ginocchiata. Colpi di contenimento ammessi in caso una persona ammanettata non collabori, ma che diventano illegali nel contesto di un fermo ritenuto illegittimo. Per un terzo agente, che pure ne ha sferrati alcuni, è stato emanato un decreto d’abbandono, in quanto convinto in buona fede di stare partecipando a un ammanettamento legale.
La tesi della difesa
Ed è proprio su questa tesi che ha fatto leva la difesa nel processo di Appello celebratosi lo scorso 30 aprile (la condanna a carico dell’appuntato era cresciuta in giudicato). «Il mio cliente è convinto di aver agito correttamente. Anche la Pretura ha stabilito che l’imputato è intervenuto, da agente in formazione e quindi privo di esperienza, aiutando al fermo. Non ha mai avuto la percezione che il suo collega avesse ingiustamente aggredito un civile», ha argomentato Galliani nell’arringa. Insomma, in questo caso mancherebbe soprattutto l’elemento soggettivo del reato (l’intenzione di procedere a un ammanettamento abusivo). «Ammettendo anche che il fermo fosse stato illegale, che cosa avrebbe dovuto fare? Stare fermo? Oppure addirittura bloccare il collega? Nel mondo reale, ciò è assolutamente irrealistico: si sarebbe sottratto ai suoi obblighi di agente in servizio».
Le motivazioni
Un argomentazione, questa, che non ha convinto la Corte di appello presieduta dal giudice Angelo Olgiati (a latere Ilario Bernasconi e Matteo Galante). Per la CARP, che ha notificato la sentenza alle parti all’inizio della scorsa settimana, l’agente «ha concorso all’ammanettamento» del cittadino iracheno(costituitosi accusatore privato) «sapendo che un collega, abusando dei propri poteri, gli aveva appena tolto dalla bocca una sigaretta con un gesto repentino della mano, lo aveva di seguito spintonato all’indietro con vigore due volte appoggiandogli le mani nei pressi delle spalle per poi metterlo con la forza a terra». L’imputato è stato condannato a una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, nonché a una multa 200 franchi.