Il film-denuncia

Forzatamente spose

La pratica dei matrimoni imposti colpisce anche giovani donne residenti in Svizzera - Domani dalle 10.30 se ne parla all’USI con la presentazione della pellicola «Ala Kachuu» e attraverso un dibattito
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Giorgia Cimma Sommaruga
26.11.2021 06:00

Nel contesto degli «Orange Days: stop alla violenza contro le donne», organizzati dall’associazione Seroptimist International, domani alle 10.30 presso l’USI - e in contemporanea nelle altre regioni linguistiche - verrà trasmesso il docufilm «Ala Kachuu, take and run». La regista zurighese Maria Brendle riprende il drammatico fenomeno dei matrimoni forzati, un’occasione di denuncia della becera pratica. Pratica che avviene anche in Svizzera.

Il rapimento

Una giovane donna vuole realizzare il sogno di studiare nella capitale del Kirghizistan quando viene rapita da un gruppo di uomini e portata nell’entroterra. Lì, è costretta a sposare uno sconosciuto, minacciata di stigmatizzazione sociale in caso di ribellione. Divisa tra il proprio desiderio di libertà e i vincoli della cultura kirghisa, la giovane cerca disperatamente una via di fuga. «Il film è basato sui destini di giovani donne che mi hanno confidato le loro esperienze durante le mie ricerche. Le storie di queste donne meritano attenzione. Come regista, vorrei contribuire alla sensibilizzazione della società e dare una voce a coloro che sono raramente ascoltati», ci racconta la regista. «Il nome kirghiso per il rapimento della sposa è «Ala Kachuu». Il mio obiettivo è quello di rappresentare questa prassi, ma con un personaggio forte che ha il coraggio di farsi valere».

La scolarizzazione e la libertà

Dal punto di vista tematico, questo film colpisce l’anima. Per la regista, le donne sono forti quando hanno diritti e accedono all’educazione. Essere rapite e obbligate al matrimonio con la forza significa la fine di opportunità di sviluppo come la scolarizzazione. E la mancanza di istruzione, a sua volta, rafforza la tradizione e perpetua il circolo vizioso del matrimonio forzato: «In Kirghizistan molte donne non si oppongono neanche, perché essendo zone depresse dal punto di vista economico, l’unica via per la sopravvivenza è quella di trovare un marito che si “occupi” di loro», spiega Maria Brendle. Tuttavia, tramite la pellicola, la regista non punta il dito e non prende un punto di vista morale sulla cultura kirghisa. Piuttosto, precisa, «essa ritrae realisticamente il processo di una rapina alla sposa ed esemplifica il fatto che il problema è incorporato in un sistema sociale». Così, «i perpetratori diventano essi stessi vittime di strutture e tradizioni obsolete».

Confederazione non esente

Non si tratta di un fenomeno così distante da noi. «Dalle statistiche del Centro federale contro i matrimoni forzati risultano da 4 a 12 consultazioni su questa tematica ogni settimana», spiega Jolanta Jozefowski, ginecologa e membro dell’associazione Soroptimist International. «Nella maggior parte dei casi questi matrimoni avvengono al di fuori dell’Europa, tuttavia sempre più spesso succede che donne cresciute in Europa vengano promesse spose nei rispettivi Paesi di origine», continua. In Svizzera queste unioni sono illegali e la legislazione sta mutando per tutelare maggiormente le donne. «Se viene alla luce che si tratta di un matrimonio forzato, la legge può annullarlo, ma la donna rischia di diventare vittima per la seconda volta a causa del rimpatrio nel proprio Paese di origine: la legislazione attuale sta riflettendo proprio su come prolungare il periodo in cui la giovane donna possa denunciare il sopruso subito», precisa Jozefowki.

La via è l’informazione

«Eventi come quello organizzato all’USI, contribuiscono a diffondere informazioni sulla tematica: se tutti conosciamo, possiamo aiutare quelle donne che non denunciano per paura e sostenerle emotivamente», racconta la ginecologa. «Nel mio lavoro, sempre più spesso, mi capita di ricevere come pazienti giovani donne straniere che vengono accompagnate dal marito: questo non succede solo per aiutarle nella traduzione, ma perché devono essere controllate», conclude.

L’appuntamento

L’appuntamento di domani presso l’ateneo luganese propone anche un dibattito durante il quale si confronteranno la stessa Jozefowski, Gloria Dagnino, responsabile pari opportunità USI, Emanuela Epiney-Colombo, avvocato specializzato in diritto di famiglia, Giorgio Carrara, capo servizio violenza domestica della Polizia cantonale, e Catherine Schuppi, psicologa dell’infanzia e dell’adolescenza.