L'intervista

Franklin University: «Sempre più versatili, flessibili e vicini al territorio»

A tu per tu con Samuel Martín-Barbero, nuovo rettore dell'istituto di Sorengo — «USI e SUPSI? Alleate, non concorrenti» — Tra i progetti del nuovo corso: «Più attenti al mercato e alle possibilità di carriera dei nostri studenti»
©Gabriele Putzu
Giacomo Butti
01.04.2023 06:00

Da oltre mezzo secolo una scuola statunitense respira aria ticinese. Quella di Sorengo, per la precisione. Era il 1969, infatti, quando dalle ceneri del Fleming College — programma della American School in Switzerland —, nacque la Franklin University, istituto intitolato allo scienziato e padre fondatore degli Stati Uniti d’America Benjamin Franklin. Recentemente, le redini della Franklin University sono state affidate a Samuel Martín-Barbero. Con il nuovo rettore, abbiamo parlato del presente e del futuro della scuola.

Dottor Martín-Barbero, lei è rettore della Franklin da meno di un anno: dal 1. agosto 2022. Cosa significa, per lei, essere una scuola americana in Ticino? Cosa rende speciale la Franklin University?
«La nostra è un’università davvero unica poiché è un istituto doppiamente accreditato: in Svizzera e negli Stati Uniti. Opera con un modello educativo nato in Europa, quello delle arti liberali, sviluppatosi in epoca recente principalmente negli Stati Uniti. Sotto questo punto di vista, dunque, siamo un’istituzione globale nello spirito, nella dualità di ciò che gli studenti studiano e di come lo studiano. Non solo per la costruzione dei corsi, ma anche nell'approccio all'apprendimento. Qui lo studente è al centro dell'equazione e ciò, sommato alle ridotte dimensioni dell’istituto, ci distingue dalle altre università. In Svizzera e in altri luoghi del mondo».

A proposito di altre scuole: che rapporti ci sono fra la Franklin e gli istituti ticinesi USI e SUPSI?
«Da un punto di vista filosofico e sociale, ci consideriamo un motore di cambiamento e di sviluppo, come tutti gli altri istituti. Per questo li consideriamo alleati e non concorrenti. Con USI e SUPSI stiamo sviluppando forti programmi istituzionali: abbiamo insomma rapporti cordiali e fruttuosi. A breve verranno svelati alcuni progetti che ci permetteranno di lavorare sempre più facilmente insieme. Siamo quindi in prima linea per renderci il più inclusivi possibile all'interno dell'ecosistema ticinese e per consentire una nuova ondata di relazioni o partenariati universitari nella regione, presentando ad alcune di queste istituzioni la possibilità di collaborare e cooperare fortemente nei prossimi anni. Mercoledì abbiamo presentato il nostro primo corso di laurea in Psicologia in collaborazione con l’Associazione ticinese psicologi. E tra poche settimane ospiteremo una conferenza con scuole e università private in Svizzera con le quali parleremo delle sfide e della tabella di marcia per i piccoli istituti».

USI e SUPSI? Alleate, non concorrenti

Ha seguito i recenti cambiamenti in seno all’USI?
«Siamo assolutamente entusiasti della nomina di questa studiosa di economia, Luisa Lambertini, che ha una grande esperienza di gestione e amministrazione insieme a un curriculum straordinario, non solo come economista ma anche come amministratrice a Losanna. Ci congratuliamo con lei per il suo nuovo ruolo e le apriamo le porte per essere qui con noi ogni volta che vuole. Non vediamo l'ora di collaborare con l'USI».

Quali sono i suoi obiettivi per questo istituto? Guardando al futuro, la Franklin ha bisogno di rinnovarsi o la sua strategia è perfetta così com’è?
«La Franklin ha probabilmente bisogno di maggiore visibilità. È, questo, un aspetto su cui stiamo lavorando duramente: l’obiettivo è portare più consapevolezza del marchio, metterci al centro dell’attenzione all’estero, principalmente, ma anche in Svizzera. Non solo: vogliamo essere il miglior istituto in cui lavorare. Non sono molte le università che si dedicano alla creazione di una cultura dell'eccellenza in termini di ambiente di lavoro. Vogliamo rendere la Franklin University il più agile, flessibile e aperta possibile, in modo da facilitare il cambiamento, la trasformazione e l'innovazione. E chiaramente stiamo lavorando per scoprire, o amplificare, quegli elementi di unicità che già ci contraddistinguono, come ad esempio la sperimentazione accademica o il fatto che gli studenti possano, facilmente e in un solo anno, passare da corsi umanistici a corsi di scienze biologiche, con la possibilità di co-creare il proprio curriculum, invece di essere obbligati a seguire un percorso specifico. Questa versatilità e flessibilità è qualcosa che vogliamo rendere molto più evidente già nei prossimi mesi. Fra gli obiettivi abbiamo anche la riformulazione di alcuni programmi universitari, così da collegarli più strettamente alla carriera futura dei nostri studenti e alle richieste del mercato. La nostra rete globale, i nostri contatti non solo con l’America ma anche con il Medio Oriente e l’Europa dell’Est, ci sta dando interessanti fonti di ispirazione per costruire nuove strategia di carriera. Abbiamo già un programma che mette in contatto chi studia qui con i CEO di aziende importanti. L’opportunità che hanno i nostri studenti di avere simili faccia a faccia con persone appartenenti a diverse industrie è importante. E date le nostre piccole dimensioni, c’è la possibilità di interagire più da vicino con questi dirigenti e tenere conversazioni più profonde e di una naturalezza maggiore. L’ambiente è diverso. Questa è parte della ricchezza del Franklin, e parte di ciò che vogliamo sviluppare ancor più nel futuro».

Fra tassa d’iscrizione, alloggio e mensa (più spese extra), la retta annuale tocca tuttavia i 70 mila dollari (64 mila franchi). Come si giustifica questa spesa?
«È vero, le nostre tasse universitarie sono superiori alla media di un'istituzione statale o sovvenzionata dallo Stato. Ma se si considerano gli istituti privati negli Stati Uniti e in Europa, siamo nella media. Il prezzo di iscrizione si giustifica nel tipo di attività e di servizio ad alta intensità che offriamo ai nostri studenti e alle loro famiglie. Il fatto di vivere qui, nei nostri campus, di avere servizi per gli studenti che molte altre università non residenziali non hanno (come le due caffetterie aperte mattina, mezzogiorno e sera), giustifica da solo il livello delle nostre tasse. Non va poi dimenticato che forniamo agli studenti anche un forte aiuto finanziario. Dei circa 400 studenti iscritti alla Franklin, il 70% gode di un sostegno economico: forniamo più di 6 milioni all’anno in borse di studio. Siamo consapevoli, dunque, che alcune famiglie non possono permettersi il prezzo pieno della retta e per questo forniamo un forte sostegno alle famiglie».

Vogliamo essere visti come un mediatore, un'interpretazione di ciò che accade in altre parti del mondo attraverso le lenti dei nostri studenti

Prima parlava di visibilità, soprattutto all’estero. Ma a livello locale? Al di là di USI e SUPSI, che rapporti ha la Franklin con il Ticino e i ticinesi?
«Vorrei rispondere dicendo come vorrei che la Franklin fosse vista dai ticinesi. Questo istituto è stata per mezzo secolo una fonte di ricchezza per la regione, direttamente e indirettamente. I nostri studenti e le loro famiglie hanno contribuito alla realtà economica ticinese. Questo è un aspetto che dovrebbe far capire alla gente che sì, siamo un'università privata, ma non a scopo di lucro, e da tempo abbiamo scelto questo luogo per farne parte in modo completo e integrale. Noi, come detto, vogliamo renderci molto più visibili, molto più vicini e avvicinabili a qualsiasi componente della regione e della Città. In questo momento, grazie ad alcuni progetti di sviluppo strategico e istituzionale, siamo in stretto contatto non solo con Lugano, ma con il Cantone e con il Paese in generale. Stiamo contribuendo allo sviluppo culturale come fornitore di contenuti accademici, come qualsiasi altra istituzione. È così che mi piacerebbe la Franklin fosse vista e percepita nella regione: come un mediatore, un'interpretazione di ciò che accade in altre parti del mondo attraverso le lenti dei nostri studenti. E, anche, come un luogo in cui le porte sono aperte a chiunque voglia venire a bussare: vedrà un sorriso felice e qualcuno disposto a parlare con loro».

In questo istituto americano sono iscritti studenti provenienti da ogni parte del mondo. Fra questi anche studenti ucraini e russi. Come vengono gestiti, dalla Franklin University, discorsi delicati come la guerra in Ucraina o la crescente polarizzazione politica in atto negli Stati Uniti?
«La Franklin risponde sempre alle sfide della politica e delle relazioni internazionali nello stesso modo: attraverso l'educazione, la creazione di comprensione tra le civiltà. E lo fa cercando di mostrare i punti in comune e cosa ci rende diversi. È un'istituzione che non si schiera a favore di A o B e che punta invece all’inclusività, portando tutte le opinioni e tutte le prospettive nel dibattito pubblico. Mentre altri preferiscono schierarsi, noi ci limitiamo a essere moderatori di ciò che accade. Per quanto riguarda l'attualità della situazione russo-ucraina, l'anno scorso l'istituzione ha organizzato una veglia come modo rispettoso e simbolico di mostrare solidarietà con il lato umano di quanto avvenuto, con gli effetti del conflitto. È così che serviamo al meglio i nostri studenti, le nostre famiglie, e che preserviamo la neutralità e l'educazione, la missione che abbiamo come università».

In questo articolo: