Primo piano

Fulmini e tempeste sul Ceresio, manco arrivasse Frankenstein

Una passeggiata luganese sulle orme di Mary Shelley, creatrice del celebre romanzo gotico, con il comasco Pietro Berra
Acque increspate davanti al San Salvatore. Dovevano essere molto più agitate quelle descritte da Mary Shelley, la creatrice di Frankenstein, dopo un viaggio nel 1840. (foto Gabriele Putzu)
Carlo Silini
19.10.2019 06:00

Cosa c’entra Frankenstein col lago di Lugano? Apparentemente nulla. Eppure, in questi giorni, più di cento persone visitano le sponde del Ceresio per farsi raccontare una storia che probabilmente pochi ticinesi conoscono: i legami tra Mary Shelley (sotto), autrice del celebre romanzo gotico (1818), e il nostro cantone.

Non è un caso, del resto, che l’ultima edizione di PiazzaParola a Lugano sia stata dedicata all’autrice londinese. La proposta di far scoprire alcune vicende nascoste del lago di Lugano, in effetti, ha un che di gotico e fa pensare a Frankenstein perché anche in questo caso si tratta di ridar vita a una storia scomparsa. Potremmo dire: di far risorgere la cultura dimenticata del nostro territorio.

«L’idea di base - spiega Pietro Berra, animatore delle passeggiate culturali comasche, poeta, scrittore e giornalista culturale a “La Provincia” di Como - è la costatazione della difficoltà nel fare cultura. Se ci si chiude in una libreria a presentare un libro, magari di poesia, ti ritrovi in dieci persone. Nello stesso tempo nei nostri territori insubrici di confine viviamo in teatri naturali sconosciuti perfino a chi ci abita. E facciamo fatica a raccontarli».

È lui, Berra (nella foto sopra), la guida dell’itinerario Shelleyano a Lugano a margine di PiazzaParola. «Sì, si tratta di uno sviluppo dell’esperienza che stiamo facendo con notevole successo di pubblico a Como dal 2016 (vedi articolo a destra)».

1840: un anno e due eventi

Ma cosa c’entra la Shelley? «Il titolo della passeggiata è ‘‘Lugano 1840 sulle orme di Mary Shelley’’. In quell’anno si rifugia a Lugano il patriota piemontese Abbondio Chialiva e acquista Villa Tanzina, dove ospiterà Giuseppe Mazzini, il “padre” del Risorgimento italiano. Ma approda sul Ceresio anche il figlio di Mary Shelley, Percy Jr, con due amici, che stavano facendo il Gran Tour con la madre, a sua volta insospettabilmente legata al Risorgimento».

Con l’espressione «Grand Tour» si intende quel viaggio attraverso l’Europa continentale che veniva intrapreso dai rampolli dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo per migliorare le loro conoscenze con partenza e arrivo in una medesima città. Poteva durare pochi mesi o qualche anno, e classicamente, aveva come destinazione l’Italia.

Ciò che resta di villa Tanzina (nella foto sotto), il monumento a Washington sul lungolago, è la prima tappa della passeggiata. Ma ancora non abbiamo spiegato cosa è successo tra la Shelley e Lugano. Forse perché non è successo niente.

«In effetti è vero. La cosa bizzarra è che, nel suo Grand Tour assieme al figlio e ai suoi due amici, Mary Shelley a Lugano non ci era proprio venuta, perché in quei giorni c’era un tempo da lupi e, avendo lei perso il marito in un naufragio, aveva il terrore per l’acqua. Però, pur non essendoci stata, dedica ben tre pagine del suo libro di viaggio al lago di Lugano basandosi sulle testimonianze del figlio Percy Jr e dei suoi due amici».

Da notare che sia il lago di Como, e ancor più quello di Lugano, avevano fatto fatica ad inserirsi nel Grand Tour perché il passaggio tra Nord e Sud e viceversa si faceva per lo più dal Sempione o dal Brennero. La citazione del Ceresio della Shelley rappresenta quindi una testimonianza rarissima. Ma per ora non ne esiste una traduzione nella nostra lingua. «Già. ’’A zonzo per la Germania e l’Italia’’ consta di due volumi di cui però l’unico tradotto in italiano, in occasione del bicentenario di Frankenstein, è il secondo. Cioè quello che non parla della zona insubrica. Perché c’è questo strano costume: la nostra regione non viene mai ritenuta territorio culturale, alla stregua di Roma, Firenze, Siena e Lucca. Ora, però, stiamo facendo un progetto di traduzione che si concluderà l’anno prossimo coinvolgendo due scuole».

Una descrizione cupissima

Detto di villa Tanzina (sopra una foto della passeggiata davanti al monumento a Washington) torniamo al testo della Shelley. Si tratta, ci spiega Berra, di una descrizione cupissima della regione del Ceresio perché i ragazzi erano passati dal nostro lago in un periodo di fortissimi temporali. I fiumi straripavano e il lago era estremamente mosso. Una situazione difficilissima. «Tra l’altro, il ponte diga di Melide ancora non esisteva. Mancavano solo pochi anni alla sua costruzione. Per i ragazzi deve essere stata una bruttissima avventura l’attraversamento del lago e poi il prosieguo del viaggio in un Ticino sommerso dai nubifragi».

Il libro della madrina del gotico viene poi pubblicato nel 1844. «Sì, l’aveva scritto anche per una sua passione per il Risorgimento, comune a diversi altri intellettuali inglesi, soprattutto le signore più emancipate, come prima di lei la scrittrice irlandese Lady Morgan. Del resto nel 1831 la Shelley aveva riscritto Frankenstein (sotto: Boris Karloff nei panni di Frankenstein nel film di James Whale del 1931) facendo diventare Elisabeth la figlia di un rivoluzionario adottata durante una vacanza proprio sul lago di Como, perché il padre era stato arrestato. Già in quella occasione la scrittrice aveva evocato sia il tema dei nostri laghi, sia quello del Risorgimento». A dirla tutta, la sua passione per gli eroi risorgimentali aveva qualcosa a che fare con l’amore.

Amore e rivoluzione

«Proprio così. A un certo punto, a Parigi, si innamora di un personaggio poco raccomandabile, un esule politico italiano chiamato Gatteschi che le propone di sposarlo, ma lei rifiuta anche perché aveva conservato il cuore del marito Percy, l’aveva portato a casa dopo che il resto del corpo era stato bruciato sulla spiaggia di Viareggio. Per fortuna si nega, anche se gli vuole bene, perché poi lui comincia a ricattarla ed emergono le sue vere intenzioni: più che altro voleva soldi. D’altra parte, i rivoluzionari avevano bisogno di molti aiuti finanziari ed è per questo che lei scrive il libro, per raccogliere fondi in loro favore».

«E poi c’è, sempre nella stessa zona, un’altra vicenda che lega Como a Lugano. La storia di quello che fu un monastero degli anni eroici del francescanesimo, dalla morte di San Francesco alla fine del Settecento: il monastero dismesso e demolito di santa Croce a Como. Ebbene, quello che era il suo altare di legno viene salvato dalla chiesa di Santa Maria degli Angioli». Non per nulla la chiesa limitrofa al LAC fa parte dell’itinerario Shelleyano proposto.

Chiacchierare con Pietro Berra apre continue finestre sulla nostra storia. Come quando, sull’onda delle riflessioni sul Grand Tour, ricorda il passaggio dalle nostre terre dello scrittore boemo Franz Kafka (1883-1924). «Lui sì, è passato dalla Svizzera italiana, osserva, e nei suoi diari di viaggio registra un fenomeno che oggi sembrerebbe assurdo: l’interesse di diversi ticinesi di allora di essere annessi all’Italia». In realtà i loro argomenti ricordano tematiche che non hanno mai smesso di esercitare un certo fascino dalle nostre parti. «Lamentavano l’eccessiva presenza della Svizzera tedesca, maggioritaria. e il fatto che le decisioni importanti si prendessero sempre là. Solo tre anni dopo, con l’inizio della Prima guerra mondiale, penso che tutti abbiano cambiato idea. Probabilmente è stata l’ultima volta in cui il canton Ticino ha pensato a una simile scelta».

Un salto tra i Giusti

E oggi? Oggi si arriva sul lago di Como e di Lugano per altre ragioni, conclude Berra, «come hanno dimostrato negli ultimi anni le ondate dei migranti. E il loro non è un Gran Tour di piacere ma di necessità, alla ricerca di ispirazione per la loro vita, ma in un altro senso. È anche per questo che, dopo una doverosa visita a villa Ciani dove leggiamo brani di Carlo Cattaneo, il nostro giro in Ticino si conclude al Giardino dei Giusti al Parco Ciani, dove è stato piantato un albero anche in memoria del pastore Guido Rivoir, che aveva accolto altri esuli, i cileni, negli anni Settanta del secolo scorso (vodi foto sopra). Tra questi c’è stato anche un poeta, Mario Castro, che oggi vive in Svezia ma ha ancora molti contatti a Lugano».

Insomma, dagli esuli risorgimentali ai fuggiaschi del fascismo, da quelli dei regimi degli anni Settanta ai profughi delle guerre degli ultimi decenni, la terra e l’acqua di Lugano raccontate da una Mary Shelley che non era mai stata in Ticino, ricordano la vocazione della nostra città ad essere un luogo privilegiato di salvezza, di coraggio e di libertà.