Gastronomia, caffè e volontariato: come sopravvivono i negozietti di paese

LUGANO - Ormai non è più una notizia. Sono anni che le botteghe di paese o di quartiere soffrono la concorrenza dei sempre più numerosi supermercati, ipermercati e centri commerciali. Tanti piccoli negozianti hanno dovuto abbassare le serrande, mentre altri si fanno in quattro per tenere alzate, con fortune alterne. Il tema comunque, tra la nostalgia per i tempi andati e la volontà più o meno forte di non perdere per strada questo frammento della nostra storia, tiene sempre banco. È di questi giorni la notizia che a Breggia verrà lanciata una campagna per la sottoscrizione di quote sociali a favore dei due commerci di Muggio e Caneggio, mentre qualche settimana fa l’Ente regionale per lo sviluppo del Luganese ha avviato un progetto per mantenere vivi i negozi di paese. Di certo, per lanciarsi oggi in questa attività servono buone dosi di coraggio e ingegno. Ci mettiamo nei panni di chi sta dietro il bancone raccontando le storie di quattro negozietti della regione e proponendo qualche «consiglio di sopravvivenza» che arriva dall’Università della Svizzera Italiana.
In molti come detto hanno chiuso e il nostro viaggio inizia proprio da qui, da un’insegna che non c’è più. Siamo a Sessa, dove fino a tre anni fa Sergio Delmenico affettava carni rosse e bianche nella sua macelleria. «Non vale più la pena gestire un’attività commerciale di questo tipo nel 2019 – esordisce categorico – Ho tenuto aperto il mio negozio per ben 36 anni: un bel percorso, pieno di soddisfazioni. Di generazione in generazione, però, ho assistito al declino». Dal 1980 al 2016 la vita è cambiata. Così come è cambiato anche il modo di fare la spesa. Negli anni ’80, ci racconta Delmenico, in generale le donne andavano in settimana, perché non lavoravano. Il venerdì o il sabato, invece, toccava all’uomo comprare la carne per il pranzo della domenica: la donna, sola, doveva prestare attenzione al macellaio, che, si diceva, «ti imbroglia». La realtà odierna è ben diversa: mogli e mariti lavorano e la tendenza è quella di comprare tutto al supermercato, dalla bistecca allo shampoo, risparmiando tempo e, spesso, soldi. «Nei grossi punti vendita ormai si trova di tutto, non è più necessario andare dal macellaio per comprare la carne – continua Delmenico – Oltretutto, con una varietà infinita di prodotti. Come privato non si possono garantire tutti gli articoli richiesti dal cliente, è insostenibile». A gravare sulle spese dei gerenti sono anche i severi controlli d’igiene: prima che un prodotto inizi davvero a fruttare, bisogna coprirne le spese di analisi e il controllo della scadenza. Senza dimenticare le periodiche ispezioni a sorpresa. Aggiungendovi i costi dell’affitto e dell’eventuale personale, la bottega alimentare oggi, per molti, risulta anacronistica. «Bella per i turisti – conclude Delmenico – ma alla chiusura dei conti sei in negativo».

Un tocco in più
L’impressione è che per sopravvivere serva qualcosa di più: un’idea, una particolarità, anche qualcosa di piccolo, ma che distingua quella bottega da tutte le altre. Lasciamo il Malcantone e scendiamo a Lamone, dove incontriamo Umberto Pedaci dello Spaccio alimentare. Ha preso in gestione il negozietto pochi mesi fa insieme alla moglie e i due hanno provato, appunto, a introdurre qualche nuovo ingrediente. «Rispetto alla vecchia gestione abbiamo inserito la gastronomia fresca – spiega Umberto indicandoci il banco pieno di pietanze. – Cuciniamo sia piatti da consumare qui, ad esempio per i lavoratori che vengono a mangiare un panino al volo nella pausa pranzo, sia da portar via. Su prenotazione prepariamo qualsiasi tipo di cibo: collaboriamo per esempio con una palestra alla quale forniamo diversi menu, dalla colazione alla cena». L’introduzione del catering, secondo Pedaci, dà alla bottega un tocco di eleganza e modernità, pensando al successo di programmi televisivi come Masterchef, degli aperitivi finger food e dei food blogger. Ci allontaniamo dal bancone e facciamo due passi fra gli scaffali. «Non c’è bottega così bella in tutta Lugano – dice sorridendo Terri – è stata rinnovata pochi anni fa e la struttura è molto moderna». Buttiamo un occhio sui prodotti e notiamo che il prezzo, come quasi in tutti negozietti, è più alto rispetto a quello nei supermercati. «La vendita per ora risponde bene – continua Terri – siamo qui da poco, ma la gente ha già reagito bene. Vorrei vederne ancora di più: conto sul passaparola, il miglior modo per conquistare la fiducia di nuovi clienti».

Un fornitore speciale
In certi casi la particolarità non è nei prodotti o nel servizio, ma nella «organizzazione aziendale». Lo scopriamo salendo a Sala Capriasca, dove ad attenderci c’è il gerente del Negozietto Mauro Bocchi. Gerente nonché capo struttura dell’Azienda agricola protetta della Fondazione La Fonte a Vaglio, a cui è legato anche il Negozietto per quanto riguarda la fornitura dei prodotti. Visto il bel tempo, prendiamo posto al tavolino davanti alla botte e tra una domanda e l’altra notiamo un bel movimento. «Qui sono tutti molto carini e gentili – dice una cliente – Il Marco è perfetto».
Marco Cesconi lavora lì tutti i giorni, come s’intuisce anche dal modo famigliare con cui si approccia ai clienti. «Questa bottega funge quasi da piazza: è un luogo di incontro in cui fare la spesa e bere un caffè. S’instaura un bel rapporto con le persone, ed è già capitato che alcune signore mi chiedessero espressamente di essere salutate per nome, anziché con il solito, impersonale, “buongiorno signora”». Una vicinanza che si specchia nella vendita: i prodotti sono locali, biologici. C’è il vino biodinamico, la birra, la farina e la polenta ticinesi. Anche per i vegani e i vegetariani sono stati introdotti nuovi alimenti, tra i quali il seitan. «Marmellate, sottaceti e molto altro ancora provengono dalla fattoria di Vaglio, il pane dalle panetterie locali – spiega Bocchi – Non è un semplice negozio che si accontenta di sopravvivere: puntiamo alla qualità». Anche nel servizio: oltre alle ordinazioni per telefono, in caso di necessità viene consegnata la merce a domicilio. Un’altra tradizione mantenuta dalla gestione precedente è quella del libretto: se al momento di pagare non si ha abbastanza soldi con sé, si scrive l’importo dovuto e lo si può pagare in un altro momento.
Ce la si mette tutta, insomma, ma alcune difficoltà ci sono: «Per il privato è una sfida. L’impegno è per due, il guadagno per uno – afferma Bocchi – Non si fanno cifre da capogiro. È chiaro che la responsabilità non è solo del privato: ma viene da chiedersi se aiutare esercizi come i nostri sia davvero nell’interesse del Comune».

Se il tempo si ferma
L’ultima tappa del nostro piccolo viaggio dista solo cinque chilometri. È l’Alimentari Zucro e Tartifoi di Bidogno, che ha trovato spazio nel locale che ospitava l’ufficio postale e vende un po’ di tutto, dal formaggio al vino. Nemmeno questa è la classica bottega di paese. «Siamo un’associazione no profit e per noi l’importante è non avere spese alla fine dell’anno» racconta la gerente Rossella Pantieri. «Dopo la chiusura della Posta è nata l’idea d’integrare ai servizi di spedizione e ricezione dei pacchi la vendita di alimenti e le persone del paese hanno unito le forze dando il loro contributo in qualità di soci». Dieci anni dopo funziona tutto molto bene.
«Lavoriamo in tre, come volontarie – continua Pantieri – Lo facciamo per la comunità, siamo uniti e ci vogliamo bene: la bottega è un punto d’incontro fondamentale per gli abitanti di Bidogno». La clientela apprezza i prodotti locali in vendita – con prezzi bassi, alla pari di quelli dei supermercati – ed è costituita da persone di tutte le età: dai ragazzini che passano dopo la scuola a prendere un gelato alla nonna che compra l’affettato. Un’immagine d’altri tempi. A proposito, prima di lasciare la bottega una parete piena di fotografie cattura la nostra attenzione. «Le ha fatte la ex gerente, era il suo hobby. Ha immortalato diversi angoli di Bidogno: ora stampiamo le foto e le vendiamo come cartoline».
