Gentiluomo con berretto, confermata la confisca

Del suo ritrovamento, lo scorso anno, ne aveva dato ampio risalto la stampa italiana. E ora c’è la conferma: la Cassazione (grossomodo l’equivalente del nostroTribunale Federale) ha respinto il ricorso dei due ex-proprietari: il «Gentiluomo con berretto nero», un dipinto del Cinquecento attribuito al pittore Tiziano Vecellio - esponente di spicco del Rinascimento italiano - e stimato fino a sei milioni di franchi, resterà in possesso dello Stato italiano, che lo aveva confiscato nel 2020 in quanto esportato «illecitamente» dalla Penisola nel 2003. Da allora al 2020 era rimasto nel Luganese, in possesso di due ticinesi, che non intendono gettare la spugna e che proveranno a tornare in possesso del dipinto.
«Esclusa la buona fede»
In questa vicenda, i due ticinesi risultavano indagati per ricettazione e per violazione del codice sulla tutela dei beni artistici, ma entrambi i reati erano prescritti da tempo. Ciò era tuttavia irrilevante per la confisca del dipinto da parte dello Stato italiano perché - come si legge nella sentenza di Cassazione che abbiamo potuto esaminare - essa «va disposta in considerazione del carattere obbligatorio della stessa e della commissione del reato di illecito trasferimento all’estero di cose di interesse storico o artistico, a nulla rilevando il fatto che il reato risulti estinto per prescrizione». Inoltre, «con argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche» basate su «plurimi elementi» è stata anche esclusa «la buona fede» dei due ticinesi. Per la giustizia italiana, cioè, i due non possono sostenere di essere estranei al reato di illecito trasferimento del dipinto all’estero. Fra questi elementi, il fatto che uno dei due (l’altro è definito socio occulto) lo abbia comprato nel 2004 nella convinzione che il quadro fosse opera di Tiziano, salvo poi riesportarlo in Italia nel 2020 attribuendolo in un formulario «alla scuola veneta» e al diciottesimo secolo. Nella scrittura privata di compravendita, peraltro, non era stato indicato il prezzo dell’operazione. Da parte sua, il gioielliere italiano che nel 2003 aveva fatto «inspiegabilmente sparire» l’opera dal territorio italiano e che l’anno dopo l’ha venduta ai due ticinesi, ha affermato di non aver dichiarato l’esportazione alle autorità italiane. Una curiosità: dalle carte d’inchiesta emerge che uno dei due ticinesi ha detto di aver comprato l’opera dall’altro grazie a un amico elettricista che gli aveva segnalato «un buon affare».
Esportato per restaurarlo?
Il formulario con la presunta falsa attribuzione era il Certificato di avvenuta importazione che - se approvato - crea una sorta di regime di extraterritorialità intorno al quadro, permettendogli di tornare all’estero - in questo caso a Lugano - senza particolari problemi. È lo stesso che si usa in caso di prestiti per mostre, per intenderci. E non viene concesso a cuor leggero. Tant’è che l’Ufficio esportazioni di Torino si è insospettito e ha avvisato le autorità. Le quali hanno sequestrato il dipinto appena giunto con lo spedizioniere in Italia, nel 2020. Quanto al perché il dipinto fosse stato fatto rientrare in Italia, forse l’intenzione degli ormai ex proprietari ticinesi era quello di operare un restauro: la sua destinazione era infatti proprio un laboratorio di restauro in provincia di Asti. Abbiamo provato a contattare uno dei due proprietari, ma al momento non ha voluto rilasciare dichiarazioni riguardo l’intera vicenda, se non per dire che intende combattere ancora per rientrare in possesso del dipinto.
I dubbi di Sgarbi
Sulla stampa italiana, riguardo all’effettivo valore del quadro, abbiamo letto diverse stime, dai 3 ai 7 milioni di euro. Quella che abbiamo riportato l’abbiamo letta nel rapporto d’attività lavorativa 2020 del Comando carabinieri tutela patrimonio culturale, la forza dell’ordine autrice del sequestro. Quanto all’attribuzione a Tiziano, o quantomeno alla sua bottega, questa è stata contestata in particolare dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. A pochi giorni dall’annuncio del sequestro, all’edizione torinese del Corriere della Sera Sgarbi aveva definito il dipinto «mezza crosta»: «Ho solo certezze: se questo dipinto fosse stato di Tiziano sarebbe stato pubblicato e poi nella sua produzione non si trova nemmeno un quadro simile per soggetto o colori». Indagando, sono però emerse diverse perizie, e tutti attribuiscono l’opera al pittore veneto. «Ma chi è che scopre un Tiziano e non si prende il merito?», si è chiesto Sgarbi.
Il precedente
Non è la prima volta che un dipinto fa discutere ai due lati del confine. L’ultimo caso era riguardava il ritratto di Isabella d’Este, dipinto secondo alcuni esperti almeno in parte da Leonardo Da Vinci. Secondo la proprietaria, deceduta di recente, il quadro si trova in Svizzera dal 1913; secondo gli inquirenti italiani dal 2009, perché aveva intenzione di venderlo per una cifra superiore ai 100 milioni di euro. In Italia era stata pronunciata la confisca del dipinto, ma la donna si era rivolta al Tribunale federale il quale, nel 2019, le aveva dato ragione e aveva ordinato il dissequestro del dipinto.