Gioielliere assolto, autorità di nuovo bacchettate dal TF

Nuovo capitolo nella vicenda giudiziaria del gioielliere luganese accusato di aver riciclato denari per conto della criminalità organizzata e prosciolto da tutte le accuse dal Tribunale federale (TF) il 1. luglio 2024. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) aveva chiesto una revisione della sentenza ritenendo che la presenza del giudice federale Giuseppe Muschietti nel collegio giudicante avrebbe violato le norme concernenti la ricusazione. Muschietti aveva già giudicato l’uomo insieme ad altre persone già nel 2018, nell’ambito di un altro procedimento, quando era giudice del Tribunale penale federale (TPF). Il TF ha però ricordato al Ministero pubblico della Confederazione che la composizione delle Corti gli era già nota e che, dunque, «non v’è spazio per una revisione della sentenza del 1. luglio 2024» in quanto «il motivo di ricusazione invocato doveva e poteva essere sollevato prima della chiusura del procedimento». La sentenza di assoluzione è dunque definitiva.
Verifiche carenti
Il caso risale a oltre quattro anni fa. Il 28 maggio 2021, il TPF aveva condannato il gioielliere di Lugano per riciclaggio di denaro, carente diligenza in operazioni finanziarie e attività senza autorizzazione a una pena pecuniaria di 160 aliquote giornaliere, sospesa per un periodo di prova di due anni. In buona sostanza, gli era stato contestato il fatto di aver riciclato denaro per conto di Filippo Magnone, già condannato in Svizzera e in Italia per aver a sua volta ripulito a Lugano i soldi di Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino, ex esponenti della «Nuova Famiglia» e a capo a Milano di quella che i media italiani hanno soprannominato «La banca della camorra». L’impianto accusatorio aveva retto anche in Appello ma, come detto, nel luglio dello scorso anno il TF ha ribaltato tutto accogliendo il ricorso dei legali dell’imputato, gli avvocati Luca Marcellini e Demetra Giovanettina. Dalla sentenza emergeva in particolare un elemento molto importante: per l’Alta Corte federale, le verifiche da parte dell’autorità inquirente non sono state sufficienti a provare la colpevolezza dell’imputato. Per esempio, il gioielliere era accusato dal procuratore federale Sergio Mastroianni di aver custodito 639 mila franchi in contante – appartenenti a Magnone – depositati in due cassette di sicurezza ubicate nel caveau della sua società. Per la Corte di primo grado e per i giudici d’Appello, l’uomo «non poteva non sapere che quel denaro era provento di reato».
Per i giudici di Mon Repos, invece, «la problematica della datazione del provento del crimine a monte, irrisolta dall’autorità precedente, escluderebbe a priori il riciclaggio di denaro. Non sarebbe infatti possibile escludere che i crimini pregressi siano prescritti». Anche per quanto riguarda l’accusa di attività senza autorizzazione, il TF aveva riconosciuto «un accertamento arbitrario» dei fatti: non è stato correttamente verificato il ruolo del ricorrente in un sistema per aiutare dei clienti italiani con averi in Svizzera ad aprire un conto in Ungheria. Per i primi due gradi di giudizio, dopo i bonifici sui conti ungheresi gli averi dei clienti venivano trasferiti su un conto da lui controllato, ma per l’Alta Corte federale «tale accertamento è risultato arbitrario, non essendo supportato da alcun elemento». Di qui, come detto, la sua assoluzione.