Energia

Giovanni Leonardi: «L'apertura sul nucleare? Ragionevole ed equilibrata»

Dopo la mossa del Governo, facciamo il punto della situazione sulle prospettive energetiche della Svizzera con il presidente del CdA dell'Azienda elettrica ticinese
©GAETAN BALLY
Giona Carcano
30.08.2024 06:00

Il Governo vuole «aprire» al nucleare. O, almeno, non privarsi di questa tecnologia. Con Giovanni Leonardi, presidente del CdA di AET e già CEO di Alpiq, facciamo il punto della situazione sulle prospettive energetiche della Svizzera.

Il Consiglio federale ha deciso di non privarsi della possibilità di costruire nuove centrali nucleari in Svizzera. La volontà dell’Esecutivo è quella di abolire il divieto accolto dal popolo nel 2017. Come valuta questa scelta, lei che aveva vissuto in prima persona la decisione del Governo di sospendere i progetti in corso di nuove centrali nucleari?
«Mi sembra una proposta ragionevole ed equilibrata, che tiene in giusta considerazione l’evoluzione del sistema di approvvigionamento energetico nazionale nell’ultimo decennio e le mutate sensibilità politiche sul tema. Penso in particolare ai timori sulla sicurezza dell’approvvigionamento emersi nell’anno dello scoppio della guerra in Ucraina, ai crescenti problemi di instabilità della rete e alla necessità di rispondere con un progetto credibile alle sollecitazioni giunte dell’iniziativa “stop al blackout”».

In questi giorni si sentono pareri discordanti circa il futuro fabbisogno di energia della Svizzera. C’è chi sostiene che la crescita non sarà esponenziale, anche grazie all’evoluzione tecnologica. Altri invece dicono che, con l’adozione della Strategia energetica 2050, si rischia di andare incontro a una pericolosa penuria di energia. Dal suo punto di vista, quali sono le prospettive da qui a 25 anni? Esiste il rischio concreto di blackout prolungati?
«Il problema va analizzato su scala continentale, poiché la rete europea è un tutt’uno e risente delle scelte di politica energetica di ogni singolo Stato. In quest’ottica, osserviamo che negli ultimi anni i blackout a livello regionale sono diventati molto più frequenti. Il principale rischio sul medio termine per la Svizzera, oltre alla sostituzione della produzione invernale delle centrali nucleari di Beznau, Gösgen, Leibstadt (un terzo dell’attuale produzione del nostro Paese), è dunque rappresentato dall’‘‘importazione’’ di blackout dall’estero, in particolare dalla Germania che dopo l’uscita dal nucleare intende spegnere anche le centrali a carbone».

Rispetto al 2017 la situazione geopolitica internazionale è totalmente cambiata. La paura di una penuria energetica in Svizzera o in Europa nei mesi e negli anni successivi l’invasione russa in Ucraina ha cambiato l’opinione pubblica. Sarà dunque automaticamente più facile accettare nuove centrali nucleari da parte della popolazione?
«È difficile prevedere come la popolazione accoglierà la proposta. Constato però che la stessa è stata formulata in risposta al deposito di un’iniziativa popolare che ha raccolto numerose firme e che in diversi Paesi europei, ad esempio Svezia, Finlandia e Regno Unito, il nucleare è tornato in auge. Senza considerare i nostri vicini francesi, che non hanno mai smesso di credere in questa tecnologia».

Il solare cresce, l’idroelettrico verrà potenziato, l’eolico pure. Le capacità rinnovabili della Svizzera saranno sufficienti a sostenere l’approvvigionamento elettrico e realizzare la neutralità climatica del Paese nel 2050 anche senza nucleare?
«Un anno ha 8.750 ore e con la strategia energetica 2050 la Svizzera ha scelto di sostituire il nucleare, che funziona almeno 8.000 ore all’anno, con il solare, che produce solo sull’arco di 2.000 ore all’anno. Per le circa 6.000 ore rimanenti non vedo, al momento, un piano ‘‘solido’’, capace di garantire un adeguato grado di sicurezza dell’approvvigionamento».

Giovanni Leonardi è stato CEO di Alpiq. Ora è presidente del CdA dell'AET
Giovanni Leonardi è stato CEO di Alpiq. Ora è presidente del CdA dell'AET

Dietro allo sviluppo delle rinnovabili c’è però anche la mano dello Stato, che sovvenziona i nuovi impianti. A suo giudizio si tratta di un mercato dopato? Può reggere un sistema del genere sul lungo periodo?
«Il problema del mercato svizzero è dato dal suo regime ibrido: libero per i grandi consumatori/produttori e monopolista per quelli più piccoli (le utenze domestiche) e le nuove produzioni rinnovabili. Un sistema di questo genere presenterà sempre degli squilibri e non funzionerà mai bene. Le alternative, dal mio punto di vista, sono due: la liberalizzazione completa o il ritorno al monopolio di tutte le tecnologie».

Prendiamo la Germania: ha spento tutte le sue centrali nucleari e si ritrova con bollette esorbitanti. La Francia, invece, vive una situazione opposta. Per un Paese come la Svizzera, qual è in prospettiva il giusto mix energetico?
«La Svizzera, grazie alle Alpi, conta su importanti risorse idriche e può permettersi un mix energetico differenziato e ben bilanciato. Al fine di ridurre i rischi, io sono sempre stato a favore di un approvvigionamento basato su tre pilastri. Per la Svizzera significherebbe: idroelettrico e nuovo rinnovabile (solare ed eolico) in combinazione con un terzo vettore, che dovrà essere scelto dal popolo».

Con le decisioni del Consiglio federale si è dato inizio alle discussioni sull’abolizione del divieto tecnologico. Poi, eventualmente, si porrà il tema del finanziamento delle centrali. A oggi, è possibile stimare i costi di una nuova centrale nucleare?
«Al momento non esistono progetti o ipotesi concrete, né sui tavoli delle aziende elettriche, né su quello del Consiglio federale. Sarebbe pertanto prematuro parlare di costi».

Le recenti esperienze estere ci mostrano numerosi cantieri con durate decennali, ma anche altri, in particolare in Asia e Medio Oriente, che vengono completati in soli cinque

E le tempistiche (al netto del processo politico)?
«Penso che numerose incognite tecniche e procedurali non permettono di avanzare ipotesi nemmeno sulle tempistiche. Le recenti esperienze estere ci mostrano numerosi cantieri con durate decennali, ma anche altri, in particolare in Asia e Medio Oriente, che vengono completati in soli cinque».

BKW e Axpo hanno frenato gli entusiasmi, sostenendo che il nucleare non è redditizio. Come si spiega questa chiusura?
«È ancora una volta una questione di modello di mercato. Il regime ibrido attualmente in vigore in Svizzera, come pure la legislazione, non danno al momento le garanzie di equilibrio e stabilità necessarie ad affrontare un investimento di lungo periodo di questa portata».

I privati infatti sembrano già scesi dalla barca del nucleare…
«I privati investono laddove intravvedono sufficienti garanzie di rendita, rispettivamente di ritiro garantito dell’energia prodotta, anche quella superflua. Queste condizioni, come detto, non sono al momento date».

In conclusione, ritiene sia possibile raggiungere in Svizzera l’autosufficienza assoluta?
«No, ma neanche penso che questo debba essere l’obiettivo. La totale autosufficienza costerebbe troppo e renderebbe il Paese molto meno concorrenziale. Ricordiamoci che fino al primo decennio degli anni 2000 i nostri costi dell’elettricità erano tra i più bassi d’Europa».