I ricordi sbiaditi del «prima», per i bambini c’è solo il futuro

«Il virus? È piccolissimo, tanto che nessuno di noi può vederlo», racconta Marta. I suoi genitori lavorano in ambito sanitario. Le raccontano le giornate in corsia, tentano di spiegarle cosa accade. «Quando torna dal lavoro in ospedale, la mamma è stanca». Difficile non esserlo, d’altronde, dopo due anni passati in prima linea. «La mia mamma fa il medico, mi racconta del suo lavoro e parliamo del virus. Ma so che adesso fa meno paura, è quasi passato tutto», dice con sicurezza Diego. Sono confuse le immagini del mondo prima della pandemia, ancor di più per loro, i bambini della prima elementare di Magliaso.
Il prima non c’è più
Sentono le notizie al telegiornale, riportano quanto dicono gli adulti, «che parlano sempre del virus». A sei anni raccontano di quarantene e di isolamenti come se fossero sempre stati parte della loro vita. Per loro è quasi normalità, perché il prima è stato inghiottito in una sorta di buco nero. Quando chiediamo di raccontare cosa ricordano, abbozzano. «Giocavo e basta», dice Filippo. «Io non me lo ricordo bene, ma probabilmente ero all’asilo e stavo sempre insieme ai miei compagni», racconta Diego. Mentre Marta ripesca l’immagine dei «negozi senza mascherina e senza il disinfettante». Un gel che adesso usano spesso nelle ore passate in classe. Se ne occupa Sara, che passa tra i banchi con il flacone, versando l’igienizzante sulle mani dei compagni.
Le finestrelle nascoste
Hanno imparato a gestire in fretta anche la mascherina obbligatoria in classe, che tra pochi giorni verrà abbandonata. «Non ci dà fastidio, però sentiamo l’aria calda che esce dalla bocca», raccontano. «Siamo abituati a metterla anche fuori dalla scuola, però ogni volta che la indosso mi viene sete e ho voglia di togliermela», precisa Elisa. «E poi non vediamo i nostri visi», ammettono i suoi compagni. Chiedono anche a me di abbassare la mascherina, «così ti possiamo vedere bene». E poi, di riflesso, abbassano anche la loro, scoprendo un sorriso a finestrelle, per i denti da latte caduti. Come tutti i bambini, fanno tante domande. «Come funziona il giornale? Ci fai vedere cosa stai scrivendo?». E nel frattempo si avvicinano, per sbirciare il quaderno e sfogliarne le pagine.
La puntura e il male alle ossa
Raccontano del virus, «di cui però non parliamo mai tra di noi». E del vaccino, «una puntura che poi ti fa sentire male alle ossa». Ciascuno di loro ha avuto parenti o amici infettati. «La mamma ha preso il COVID. Se ne stava chiusa in camera, mentre io dormivo con papà. Le portavamo la cena davanti alla porta», dice Marta. Ricordano quando non potevano stare con i loro nonni, per non rischiare di contagiarli. «Io ho una nonna di cento anni - interviene Diego con entusiasmo - e per un po’ di tempo non l’ho vista. La videochiamavamo, ma altrimenti dovevamo stare distanti». «Sì, ad almeno un metro», precisa Marta. «Me lo hanno spiegato i miei genitori». Poi è arrivato il vaccino. «E allora sì che abbiamo potuto abbracciarli ancora, perché adesso i nonni sono protetti». Un po’ a tutti è capitato di dover fare il tampone: «Il bastoncino quando entra nel naso tocca dei sensori che poi ti fanno tossire», dice Marta. «A me sono scese anche le lacrime e ho starnutito», ribatte Filippo.
«Tutti in piscina»
La loro classe, per fortuna, non è mai finita in quarantena. «Ma l’asilo sì, invece», si affrettano a precisare. Quando chiediamo come abbiano vissuto il periodo chiusi in casa, durante la prima ondata della primavera del 2020, non sanno bene come rispondere. È come se fosse un’immagine sbiadita: ci pensano, ma poi confessano di non ricordarselo più. E quando sarà tutto finito? «Andremo a comprare tutte le mascherine al supermercato e poi le bruceremo», azzarda con coraggio Diego. «Manca poco, questo virus sta andando via. Arriva anche il caldo», concorda Martina. E così riprendono a fantasticare: «Torneremo in piscina tutti insieme e giocheremo ancora in tanti». Parole che permettono di inquadrare la loro nuova realtà, vissuta in gruppi ristretti, nel rispetto delle disposizioni stabilite dalle autorità sanitarie. «Io tornerò a prendere l’aereo, come quando ero piccola. Con i miei genitori sono stata in tanti Paesi, anche in Cina. E ho persino usato le bacchette per mangiare», ricorda entusiasta Marta.
Le abitudini che tornano
A più riprese, mentre parlano della pandemia, i bambini corrono ad abbracciare la maestra Serena. Prima uno, poi tutti insieme. E poi finiscono per abbracciare anche me. Impacciata, non so bene come reagire. Ma come? E il virus? Malgrado i ricordi annebbiati del prima, forse, a differenza degli adulti, loro non hanno perso l’abitudine del contatto fisico. O forse, invece, proprio perché gli abbracci sono mancati tanto anche ai bambini, adesso non vogliono più farne a meno.

«Nei più piccoli il processo di rimozione è facilitato»
«I processi cognitivi della memoria nei bambini sono progressivi, mano a mano che il bambino cresce aumenta la capacità di ricordare e collocare fatti, situazioni e informazioni. Questo permette ai bambini di dimenticare più facilmente alcuni avvenimenti, quelli banalmente ingombranti per un buon funzionamento generale, o di rimuoverli, nel caso siano emotivamente troppo intensi per le loro capacità di comprenderli e integrarli». A chiarire cosa può accadere nella mente dei più piccoli sono Isabella Saglio e Gaia Cattaneo, psicologhe e psicoterapeute del Servizio medico psicologico, specializzato nella presa a carico dell’età evolutiva. Normale, quindi, che i bambini fatichino a ricordare il mondo senza il virus. «Tendono a vivere molto nel momento attuale, mentre i ricordi, spesso, sono fissati nella memoria solo a posteriori, attraverso i racconti dei genitori».
La spensieratezza
Nei più piccoli il mondo reale e quello simbolico, della fantasia, tendono a sovrapporsi. «Questo li porta a vivere la realtà che li circonda con strumenti più creativi e maggiori possibilità di integrazione rispetto agli adulti. Siamo noi, infatti, spesso a vivere con più ansia la pandemia».
La fascia più protetta
Tutti noi subiremo le ripercussioni di due anni di pandemia - ammettono le psicologhe - e «da qualche parte anche i bambini rifletteranno le angosce, ma anche la ritrovata serenità, dei genitori». Tuttavia la capacità di dimenticare o di rimozione dei bambini potrebbe rappresentare un vantaggio. «Molto dipenderà dalla fragilità e dalla sensibilità dei singoli individui», premettono. «È però probabile che siano la fascia della popolazione che risentirà meno delle conseguenze a lungo termine del virus, in quanto i nuovi comportamenti sanitari fanno parte della loro attualità e vengono integrati con maggior naturalezza. La socializzazione e il contatto corporeo, infatti, sono temi che toccheranno molto gli adolescenti, mentre i più piccoli, protetti dall’ambito sociale familiare, potrebbero subire un impatto inferiore».
Nessuna difficoltà
Non avendo percezione di com’era esattamente il mondo di prima, i bambini «valutano l’oggi come normale». E questo «implica anche l’accettazione della mascherina come se fosse un aspetto ordinario della vita, una vera e propria abitudine. Non a caso, infatti, quando è stato introdotto l’obbligo della mascherina alle elementari, gli allievi non hanno avuto difficoltà ad accettarla. È stata piuttosto una preoccupazione degli adulti».
Il ruolo dei genitori
Secondo le psicoterapeute, poi, un ruolo importante lo giocano i genitori: «Sono loro le figure di riferimento principali per i bambini piccoli. A differenza degli adolescenti, che hanno perso il confronto con i loro coetanei, i bambini non hanno perso le proprie figure guida. E questo ha giocato un ruolo protettivo importante». Al contempo, però, le esperienze vissute in famiglia possono determinare la risposta dei bambini alla pandemia. «Dove il clima è stato più sereno la risposta è stata migliore. I bambini, infatti, tendono a essere molto permeabili alle ansie familiari e attenti al tema della perdita. Nelle famiglie che hanno subito un lutto per COVID, i bambini hanno vissuto in maniera forte l’irruzione del tema della morte tra le mura di casa e possono aver risentito dell’instabilità del vissuto quotidiano». Episodi che «possono determinare un’ingerenza nello sviluppo dei bambini, ovvero una confusione nel vissuto di continuità dando vita anche a reazioni affettive o comportamentali. A livello di prevenzione potrebbe essere utile aiutare i bambini, nel tempo, ad integrare i vissuti e l’esperienza di questo periodo, lavoro che i genitori, o gli adulti di riferimento, potranno fare insieme a loro tessendo una trama di continuità tra la pre-pandemia e la post-pandemia».