I ristoranti cinesi e di sushi a Ponte Tresa: «Zona gialla ok, ma senza ticinesi siamo in crisi»

Persone in attesa per entrare, il via vai dei camerieri, i tipici rumori che si sentono in cucina. La normalità sembra essere tornata in uno dei tanti ristoranti cinesi di Ponte Tresa, che all’orario di pranzo vede la sua sala di nuovo piena di clienti. «Ma in realtà non siamo neanche vicini al numero di persone che avevamo quotidianamente prima del lockdown» racconta la proprietaria. «Forse è perché siamo solo al secondo giorno di zona gialla, vedremo nei prossimi giorni. Comunque, fintanto che rimangono chiusi i confini con il Ticino, per noi i problemi rimangono».
Già, perché il ritorno in zona gialla della maggior parte delle regioni italiane, tanto atteso da esercenti e commercianti per ricominciare a lavorare, in realtà nei comuni di frontiera non risolve affatto i problemi dei ristoratori, che vedono nella clientela transfrontaliera una risorsa fondamentale per le loro attività. «Il nostro locale è a meno di 500 metri dalla dogana e i ticinesi rappresentano il 70-80% della nostra clientela totale» continua la proprietaria, in un perfetto italiano che rivela la sua lunga permanenza nella zona. «Non potete neanche immaginare quanto sia complicato sopravvivere senza la clientela che arriva da oltreconfine».
Una difficoltà che tuttavia con ogni probabilità non trova la comprensione del Presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi, il quale nei giorni scorsi ha espresso la sua preoccupazione per i pochi controlli alle dogane, chiedendo anche l’intervento del Consiglio federale. Una richiesta presa con ironia dalla nostra interlocutrice: «Ticinesi e cinesi: in fondo siamo divisi solo da una sillaba e da una linea di confine... A parte gli scherzi, sappiamo che tra Italia e Ticino ci sono spesso scintille, ma queste non dovrebbero influire sulla vita quotidiana delle persone, da entrambi i lati della frontiera, che della politica non hanno alcun interesse e vedono questa vicinanza come un’opportunità e non come una divisione. Per questo speriamo che i politici siano comprensivi e soprattutto speriamo di rivedere presto i nostri clienti ticinesi».
Restrizioni o meno, c’è comunque chi, tra i ristoranti cinesi e tra quelli che offrono sushi, ha trovato qualche espediente per soddisfare la clientela ticinese. «Noi riceviamo ogni giorno almeno una ventina di ordini dal Malcantone» racconta il gerente di un altro ristorante etnico della zona. «La maggior parte dei clienti al incontriamo al confine, alcuni di loro invece con qualche scusa vengono direttamente da noi, ma è capitato addirittura che facessimo la consegna a domicilio in Ticino, magari a qualche affezionato cliente in quarantena. In meno di venti minuti andiamo e torniamo: non siamo mai stati fermati».
Una pratica che però, è bene ribadirlo, è illegale: «Forse, ma trovo assurdo che tecnicamente c’è gente che può venire dalla Valtellina o da Mantova, facendo centinaia di chilometri senza problemi mentre si fa un dramma se uno passa il confine di pochi chilometri, ritira la merce e torna a casa senza essere stato a contatto con nessuno», replica l’esercente. Il quale rincara la dose: «Nei nostri ristoranti assumiamo anche tanti italiani. Che, se perdono il lavoro perché siamo costretti a chiudere, poi cercheranno lavoro in Ticino, aumentando di conseguenza il numero dei frontalieri. Un altro dei motivi per cui ritengo che attaccare i nostri ristoranti sia solo controproducente».
Gli attacchi alle attività gestite da cinesi arrivano però anche dalla parte italiana del confine: «Ho 45 anni e in tutta la mia vita sono stato solo una settimana in Cina» continua il ristoratore. «Eppure qui a Lavena Ponte Tresa ho dovuto subire insulti come se avessi portato io il coronavirus nel Varesotto. Alcuni clienti hanno addirittura smesso di venire a trovarci. Altri miei colleghi hanno subito la stessa situazione. Dispiace, perché già viviamo la difficoltà dell’integrazione e dell’accettazione in un altro Paese, farlo poi con la limitazione della chiusura dei confini rende il tutto un po’ più complicato. Ma rimaniamo positivi e continueremo a lavorare al meglio, aspettando di riabbracciare, o perlomeno salutare con il gomito, i nostri amici ticinesi».