I ticinesi voteranno sul futuro delle ARP

È stato un sì corale quello espresso martedì sera dal Gran Consiglio in favore della prima tappa della riforma delle Autorità regionali di protezione (ARP). In aula, tutte le forze politiche, senza eccezioni, hanno infatti sostenuto la modifica costituzionale che porterà un’importante novità nel settore della protezione del minore e dell’adulto: le attuali ARP saranno “cantonalizzate” (e quindi non saranno più gestite dai Comuni, bensì dal Cantone) e il loro «modello» passerà da quello amministrativo a quello giudiziario. Altrimenti detto, al posto delle attuali sedici autorità regionali amministrate dai Comuni, verranno create quattro Preture di protezione cantonali, delle vere e proprie autorità giudiziarie a sé stanti costituite da un collegio giudicante di tre persone: il Pretore di protezione e due membri specialisti; uno in ambito psicologico/pedagogico e uno in ambito di lavoro sociale.
Tuttavia, va detto, trattandosi di una modifica della Costituzione cantonale il «via libera» del Parlamento non è sufficiente. Nei prossimi mesi, il progetto sarà quindi posto in votazione popolare e saranno i ticinesi a dare (o meno) l’avallo finale alla tanto attesa riforma. E va pure precisato, infine, che quello approvato dal Parlamento è “solo” il primo passo della riforma: il popolo sarà chiamato a esprimersi sul principio generale del progetto (ossia la creazione delle Preture di protezione in quanto autorità giudiziarie), dopodiché il dossier tornerà nuovamente al Legislativo per i “dettagli”.
Un sostegno corale
Ad ogni modo, come detto il sostegno al cambiamento proposto negli scorsi mesi dal Dipartimento delle istituzioni è stato pressoché unanime da parte della politica.
«È una riforma necessaria per garantire una migliore tutela delle fasce più fragili della popolazione e che consentirà una risposta alla popolazione più celere e di qualità», ha esordito il co-relatore del rapporto commissionale, il popolare democratico Luca Pagani, a cui ha fatto eco la collega leghista Sabrina Aldi: «È una riforma importante anche perché va a toccare un settore molto sensibile», come quello delle tutele e curatele. E proprio perché si tratta di un cambiamento importante, ha aggiunto Aldi, «la commissione ha deciso di sottoporre in prima battuta il principio della riforma al popolo, per poi tornare sui dettagli in un secondo momento». Un modo di procedere che permetterà di «blindare» il principio della riforma nella Costituzione cantonale, evitando così che il progetto possa in qualche modo arenarsi per questioni politiche di secondaria importanza.
Il deputato Giorgio Galusero, dal canto suo, non ha nascosto qualche dubbio sui rischi che comporta questo modo di procedere, ma si è detto convinto della scelta poiché in sede di consultazione il 95% dei Comuni si è detto favorevole al cambiamento.
E un sì convinto è poi giunto anche dai banchi del PS, con il deputato Nicola Corti a sottolineare che, «anche se non si tratta della panacea a tutti i mali, questa riforma è un significativo passo avanti per migliorare un settore di grande interesse e che tocca le fasce più deboli della popolazione, come i minorenni, gli anziani e tutte le persone che non sono in grado di provvedere a sé stesse».
Sostegno alla riforma è poi stato espresso pure dall’UDC. La granconsigliera Roberta Soldati, tra i vari aspetti positivi che comporta questo cambiamento, ha evidenziato che il fatto di creare un’autorità giudiziaria (e non più amministrativa) permetterà di superare alcune problematiche riguardo al riconoscimento delle decisioni da parte di Paesi terzi, come l’Italia. Un aspetto, questo, sottolineato anche dal deputato ecologista Marco Noi, secondo cui il modello giudiziario darà al sistema un contenitore più chiaro per tutti, ossia anche per coloro che, in caso di disaccordo, vorranno far valere le proprie ragioni.
Dal canto suo, il consigliere di Stato Norman Gobbi non ha esitato a definire la riforma «un passaggio essenziale in un ambito molto delicato» e, più in generale, un «momento storico per il Ticino», anche perché, ha spiegato, sin dal 1803 l’ambito delle tutele e curatele è stato sempre gestito dai Comuni.