«Il clima è sereno, ma negli anni il livello del dibattito è calato»

Da maggio dello scorso anno, ossia dall’insediamento del nuovo Parlamento dopo le elezioni cantonali, presiede il Gran Consiglio. Nadia Ghisolfi ci racconta come sta andando la sua attività da prima cittadina del Cantone.
Cosa ha significato per lei presiedere il Gran Consiglio nei primi mesi della nuova legislatura?
«Assumere la carica di prima cittadina è un indubbiamente un grandissimo onore. Avere la possibilità di farlo aprendo la legislatura è ancora più emozionante. Si tratta di un momento unico, vissuto non solo dalla presidenza ma da tutti i Deputati, e dai loro cari, come un momento speciale. Quest’anno inoltre, i neo Deputati erano numerosi, e questo rinnovo si è percepito nell’aria. Dall’altra parte la responsabilità è molto forte: ogni Presidente da un suo “ritmo” ai lavori parlamentari; non si può però negare che se si riesce ad iniziare bene, si gettano delle buone basi ed “abitudini” per tutta la legislatura».
Dalle urne è uscito un Parlamento con un numero record di forze politiche (sono 12 tra partiti e partitini) e ognuna fa il suo gioco. Questa realtà ha complicato o scompaginato il lavoro istituzionale e politico?
«Il numero di forze politiche gioca un ruolo molto importante nell’allestimento e nello svolgimento dei lavori parlamentari. Nonostante ci siano delle regole ben definite sui tempi e diritti di parola, è evidente che ogni nuova forza aggiuntiva può potenzialmente “allungare” il dibattito, con un conseguente rallentamento dei lavori parlamentari. D’altra parte, ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione. I gruppi ed i singoli parlamentari, ancor più rispetto al passato, hanno perciò la responsabilità di fare degli interventi il più possibile mirati e concisi».
Quali sono le principali difficoltà alle quali ha dovuto fare fronte?
«La difficoltà maggiore sta nel restare nei tempi e far rispettare i tempi e le procedure ai Deputati. È sempre antipatico dover interrompere o “togliere” la parola ad un Deputato, ma d’altra parte, proprio per quanto citato prima sul numero e sui tempi di intervento, è fondamentale farlo».
E quali, eventualmente, le opportunità date dalle scelte degli elettori?
«Una pluralità di vedute è sicuramente arricchente; non sono tuttavia certa che questa debba passare per forza di cose da nuove forze politiche. Credo che anche i “grandi” partiti possano e debbano garantire una pluralità di pensiero. Alcune nuove formazioni si sono però create proprio perché all’interno dei rispettivi partiti “di riferimento” non hanno trovato il giusto spazio per esprimere la loro idea. Penso sia un peccato, perché alla fine per portare avanti dei progetti negli interessi della popolazione è importante riuscire a trovare degli accordi e delle maggioranze, ascoltando anche le esigenze delle minoranze. Il fatto che questo non sia avvenuto già a partire dall’interno è probabilmente significativo di un nuovo modo di fare politica che deve farci riflettere su come affrontare la situazione in futuro, perché il rischio che per ascoltare tutti si immobilizzino le istituzioni esiste. L’eccesso di democrazia potrebbe paradossalmente portare ad un blocco della democrazia».
Intanto è diminuito il numero delle donne parlamentari (da 31 a 23) ed è aumentata leggermente l’età media, oggi a quota 47,5 anni. Sono fatti rilevanti o che la lasciano indifferente?
«Per lo stesso discorso di prima, circa la pluralità di vedute, sono convinta che questa passi anche da una buona rappresentanza non solo dei sessi, ma anche di svariate categorie professionali ed età. Le esperienze di vita e lavorative ci permettono di comprendere meglio determinate problematiche, ed affrontarle in maniera efficace per la popolazione tutta. Se ci fossero solo medici o avvocati in gran consiglio, potrebbero certo portare avanti determinate problematiche in un certo modo, ma non si potrebbe ritenerle rappresentative di tutta la popolazione».
Da anni la formula “colleghi e colleghe” è realtà in Parlamento. Lei è una fan del modus “tutte e tutti” o è una questione che lascia il tempo che trova?
«Penso sia importante avere un linguaggio rispettoso e corretto ma penso anche non si debba esagerare. Come in tutte le cose, si rischia poi di ottenere l’effetto contrario. Si tratta di usare il buon senso e soprattutto, dietro alle parole ci sono le intenzioni di chi le trasmette che sono altrettanto, se non più importanti».
Sbaglio o (tranne qualche noto agitatore) la situazione in Gran Consiglio è tutto sommato tranquilla e senza troppe tensioni?
«Penso che non ci siano tensioni a prescindere, salvo forse qualche eccezione, ma a dipendenza delle tematiche specifiche che vengono affrontate. Ci sono dei temi particolarmente “caldi” e combattuti che naturalmente creano più tensioni di altri, ma mi sembra che una volta passata la tematica tutto sommato il clima ritorni alla tranquillità. Oltre a tematiche particolari si percepisce poi un clima diverso ogni qualvolta ci si avvicina a qualche elezione (o votazione). In questi casi, le tensioni aumentano forse e anche indipendentemente dai temi, in quanto ogni partito, ed ev. candidato, approfitta dei dibattiti parlamentari per mettersi in evidenza».
In verità sulla riforma fiscale qualche parola è volata, si attende un clima più caldo a febbraio quando arriverà l’ora della manovra che non soddisfa nessuno?
«Questo è sicuramente uno dei quei temi che suscita tensione e dibattito, a meno che naturalmente, non si arrivi ad un accordo in commissione».
Lei è ormai parlamentare di lungo corso, siede in Gran Consiglio dal 2008. Se affermo che il livello del dibattito politico con il passare degli anni è calato, conferma o smentisce?
«Penso che è sempre una questione soggettiva e di cosa si intende per dibattito politico. Dal mio punto di vista sì, è calato. Non vuole essere un giudizio di valore negativo su chi siede oggi in Parlamento; è proprio cambiato il sistema di far politica e questo si ripercuote inevitabilmente anche sulla qualità del dibattito. Oggi fa più scalpore - e voti (!) - un certo tipo di dibattito e quindi questo viene premiato e portato avanti. E purtroppo, come dicevo, è calata la qualità perché si tende a premiare più la forma del contenuto».
Ma il Parlamento fa ancora realmente politica nel senso autentico del termine?
«Questo sì: a volte è difficile seguire tutte le tematiche che vengono portate avanti anche perché i tempi di realizzazione sono lunghi e anche tortuosi, ma i cambiamenti passano ancora e sempre dal legislativo. È una macchina molto lenta, e si può sicuramente migliorare, ma ha sempre e ancora il suo impatto e traccia la via».
Prima di assumere l’attuale carica lei ha tentato la via della presidenza del suo partito, oggi Il Centro. Come ricorda quella corsa che poi premiò Fiorenzo Dadò?
«È stato un momento molto emozionante. Sono stata la prima donna ad essere candidata per la Presidenza del nostro Partito, e questo resta per me un grande onore».
E cosa ne dice delle discussioni in atto da anni nel centro politico, tra voi e il PLR?
«Penso facciano ormai parte della storia, e siano state più o meno accese a dipendenza dei Presidenti che si sono susseguiti. Penso che continueranno ad esserci in particolare su alcune tematiche; visto la frammentazione attuale del parlamento, sarà però sempre più importante, laddove possibile e su temi importanti, trovare un terreno di dialogo ed una collaborazione comune».
Quando lascerà il Parlamento farà altrettanto con la politica, oppure ha altri obiettivi?
«Sinceramente non lo so, non ci ho ancora pensato. Quando arriverà il momento valuterò».
E alle comunali di aprile, al Municipio di Lugano ci pensa?
«L’esperienza in un esecutivo mi interessa, ma per il momento resta nel cassetto. Nel rispetto della carica che ho assunto in qualità di prima cittadina non mi sembrava corretto candidarmi».
La scorsa estate è stata sfortunata protagonista di un grave incidente della circolazione all’estero. Oggi tutto è superato e dimenticato, o qualcosa è rimasto?
«Per fortuna gli acciacchi fisici sono quasi del tutto passati. Il ricordo della sensazione provata resta, anche se in maniera più lieve, così come resta la consapevolezza di quanto siamo impotenti di fronte a certe situazioni. Questa consapevolezza è uno stimolo a fare ed intervenire laddove invece possiamo fare qualcosa di concreto, che sia nell’impegno nella cosa pubblica, sul lavoro, o nella vita privata».
Faccia un augurio per il 2024 alle e ai ticinesi.
«Che sia un 2024 dove possiamo ritrovare un po’ di serenità e positività. Ne abbiamo bisogno».