Il corridore dell’impossibile: il ticinese Matteo Tenchio trionfa in Transilvania

La Transilvania non è solo castelli e leggende. Per sei giorni, dal 29 giugno al 5 luglio, è diventata il regno di un altro tipo di creatura notturna: Matteo Tenchio. Ticinese di Carì, classe infinita, resilienza disumana, ha vinto la Transylvania 6 Days Ultramarathon con 703,9 km percorsi su un circuito di 850 metri. Quasi 900 giri di un mondo chiuso, monotono, spietato. Una corsa che pochi osano anche solo immaginare. Lui l’ha dominata. Ed è solo la seconda impresa in pochi giorni.

Due vittorie in 55 giorni
Lo aveva già fatto poco più di un mese fa, in Repubblica Ceca, con una gara gemella: 790,6 km, record personale e seconda miglior prestazione svizzera di sempre. Ora, in Romania, ha confermato uno stato di forma che va oltre la logica e l’umana resistenza: ha vinto ancora, nonostante il caldo soffocante (oltre 40 gradi), i dolori muscolari, la fatica accumulata. «È stata una delle gare più estreme che abbia mai affrontato, soprattutto per il caldo e per la crisi che ho dovuto superare la prima notte. Ma alla fine, quando senti il traguardo vicino, qualcosa dentro ti spinge oltre», racconta. Non è una frase ad effetto. È il riassunto di una filosofia.

Il ritmo del silenzio
«Il percorso era una pista d’atletica con una deviazione in un parco cittadino. Ripetitivo? Forse. Ma è proprio questo che cerco». Matteo ama la corsa «lenta», la solitudine, il silenzio. Si allena di notte per insegnare al corpo a non cedere al sonno. Si nutre di strategia, oltre che di frutta secca. «Ho corso quasi tutta la gara senza integratori, solo cibo normale. Funzionava. Solo l’ultimo giorno ho dovuto cedere ai gel, per restare in testa». Si allena anche sette-otto ore al giorno, spesso durante i momenti più critici della giornata, come l’alba e il tramonto. «Ho iniziato questo percorso da autodidatta. All’inizio sembrava una follia. Ora è diventato il mio mestiere interiore. Un dialogo tra me e la strada», dice con quella sobrietà che lo contraddistingue. Non urla, non cerca gloria. Ma corre più lontano di tutti.

La strategia del dolore
La corsa lunga non è solo corpo: è mente, psicologia, calcolo. Matteo gioca con i suoi rivali, li osserva, li studia. «Facevo finta di andare in crisi, poi ripartivo a tutta. Fingevo di dormire per farli accelerare. Poi li superavo più fresco. Sono cose che impari solo correndo, cadendo, perdendo». In Romania è andato da solo, senza massaggiatori né assistenza. Ha curato i piedi, misurato il sonno – solo due ore e mezza in sei giorni – e gestito il dolore come un compagno di viaggio. Un dolore che conosce, che rispetta. Che a volte finge di ascoltare, mentre lo supera.
Una corsa per gli altri
La sua corsa non è mai solo per sé. Spesso partecipa o promuove corse a scopo benefico. Il 22 marzo scorso, in occasione della Giornata mondiale dell’Acqua, Matteo ha partecipato a «Correre per l’Acqua», attraversando il Ticino da Airolo a Chiasso (116 km in un solo giorno), per raccogliere fondi destinati al ripristino degli acquedotti distrutti a Lavizzara. Ma non è la sola. Ha corso per i disastri in Vallemaggia, ha in programma una 1000 km in Danimarca per sostenere bambini con disabilità. «Se posso mettere le mie gambe a disposizione di chi ha bisogno, allora ha ancora più senso fare quello che faccio».
Un sogno chiamato Ticino
Matteo corre con il nome della sua terra, Carì, e del gruppo Podistico Leventinese cucito addosso: «Anche se arrivo primo, sul podio ci siamo tutti». Il suo è un inno alla costanza, all’allenamento invisibile, a chi non cerca riflettori ma traguardi interiori. Eppure i riflettori adesso lo inseguono: dopo aver partecipato a cinque mondiali in due anni, con medaglie e prestazioni storiche, ha ottenuto inviti da tutto il mondo. In Danimarca, a novembre, correrà 1000 km in dieci giorni. Poi sogna la Spartathlon Atene-Sparta-Atene, quasi 500 km, e la mitica ASA: 490 km tra andata e ritorno. Imprese che nessun altro ha mai osato condensare in una sola stagione. Ma Matteo non corre per superare gli altri. Corre per superarsi.

Correre per restare umani
«Sono emozioni che ti porti dietro tutta la vita. Quando hai finito, non è solo gioia. È qualcosa di più profondo. È come se fossi uscito da te stesso. E ritornato diverso». In fondo, Matteo corre per questo. Per cambiare. Per capire. Per resistere. Per sentire. Ogni chilometro è una domanda. Ogni arrivo, una risposta provvisoria. E se qualcuno chiede quale sia il senso di correre così a lungo, in tondo, in silenzio, la risposta forse è tutta in quello che succede dentro.
Dove i piedi non arrivano. Ma il cuore sì.