L’intervista

«Il leghista e la liberista, quel 1995 fu traumatico»

Chiacchierata con Pietro Martinelli, già Consigliere di Stato socialista
Pietro Martinelli. ©CDT/Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
14.01.2022 06:59

«Le battaglie di una vita» è il titolo del libro nel quale Pietro Martinelli racconta e si racconta. Lo abbiamo incontrato per un’intervista sul suo vissuto ma anche su situazioni e persone che hanno segnato il suo percorso politico. Senza dimenticare il PS di oggi, il Governo, gettando già lo sguardo alle elezioni cantonali del 2023.

«Le battaglie di una vita» (a cura di Roberto Antonini) è il titolo del suo libro di 250 pagine nel quale racconta e si racconta. Ma perché ha sentito la necessità di una pubblicazione?

«Più che di una “necessità” si è trattato di una “opportunità”: la disponibilità di un giornalista che stimo a interrogarmi su una vita dove pubblico e privato si sono intrecciati durante un periodo storico intenso che ha coinvolto e affascinato molti ticinesi. Per me è stata anche l’occasione per rendermi conto di quanto fossero state importanti nella mia vita tre donne: mia madre, Flora Ruchat e, negli ultimi sessanta anni (!) mia moglie Nora. Infine riconosco anche un peccato di vanità: giunto vicino al traguardo della vita ho voluto lasciare una traccia, pur se effimera come quelle, imperfette, che mi piaceva lasciare nella neve nei molti giri con le pelli di foca».

Facciamo un esercizio: scelga le 1.000 battute del suo scritto che meglio raccontano un fatto o un’opinione che reputa autentica nel suo profondo essere cittadino, politico e socialista.

«Propongo la risposta a pagina 129 alla domanda “è infondo un’ottica socialdemocratica, no?” Il termine socialdemocratico è un termine generico utilizzato per esperienze molto diverse che vanno dal ruolo di pompiere al servizio del capitalismo a quello di artefice di riforme che hanno modificato profondamente la ripartizione delle risorse e delle opportunità. In generale in Europa ritengo che la socialdemocrazia, dove è stata maggioranza (e di riflesso anche altrove), ha modificato, con lo Stato sociale, la distribuzione della ricchezza e delle opportunità. Questo è stato possibile anche a causa della paura del comunismo. Poi negli anni ’90, dopo l’implosione dell’URSS, il modello è stato rimesso in discussione e sono riesplose le disparità sociali e le diverse forme di povertà. Dove “povertà” non è un concetto assoluto, ma va commisurata con la ricchezza complessiva della società. Più la società è ricca, più l’esclusione e la povertà sono inaccettabili».

Tra l’altro afferma: «Non sono mai stato comunista». Lo dice come motivo di vanto o con rimpianto?

«Né vanto né rimpianto. Rispetto chi ha creduto nel comunismo sovietico e a questa fede ha dedicato la vita, magari perdendola. Penso anche che la rivoluzione del 1917 abbia favorito la presa di coscienza da parte del proletariato di poter aspirare a diventare soggetto e non oggetto della Storia, ma se non ho mai pensato di entrare in un Partito comunista è perché per me le libertà “borghesi” non sono un dettaglio. Ho fatto troppo uso della libertà nel rispetto dello Stato di diritto per poter aderire a partiti che, pur tra molti distinguo, miravano a una, seppur transitoria, “dittatura del proletariato”. Per Lenin le priorità erano altre perché, come teorizzò nel 1918, “quando diventerà possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale avrà cessato di esistere”».

La politica le ha permesso di conoscere molte persone: maggiori le amicizie nate o i conflitti esplosi?

«Credo siano maggiori le “amicizie nate” o, perlomeno la stima e il rispetto reciproci con molte persone pur se, a volte, nella differenza delle idee e delle battaglie».

Era in Governo quando arrivò Marina Masoni: la prima donna (e questo le dovrebbe fare piacere) ma di un’area politica a lei ostile. Eppure poi nacque quella che potremmo descrivere come «la strana coppia». Che ne dice?

«L’inizio della mia seconda legislatura alla direzione delle opere sociali (1995-1999) fu traumatico. Nel Governo erano entrati un leghista e una liberista. Dopo aver vinto la sfida interna alla sinistra mi ritrovavo con un Governo spostato a destra. Colpa nostra? Può darsi, ma questo è un altro discorso. Per ritagliarmi uno spazio nel nuovo Governo incomincia a lavorare sulle cifre, sui dati: finanziari, della socialità, fiscali. Trovai in Marina Masoni una interlocutrice che rispondeva dato su dato. Il confronto durò quasi due anni, ma alla fine i miei ragionamenti trovarono se non accoglienza almeno attenzione. Allora prestai attenzione anch’io, per esempio, alle richieste di sgravi fiscali per il “ceto medio”. Cosi nacque un clima di collaborazione che credo fu utile al Cantone per uscire dalla crisi finanziaria e economica degli anni novanta (nel 1997 la disoccupazione nel Cantone era salita oltre il 7%, ma ridiscese al 2% nel 2001) e nel contempo incrementare la socialità con nuove riforme».

Nel pieno della sua attività governativa nacque anche la Lega dei ticinesi. Un movimento rivoluzionario che, sulla carta, poteva anche essere in linea con certi suoi ideali. Ma alla fine furono maggiori i punti d’attriti rispetto a quelli di contatto. Come lo spiega?

«Ritengo che la Lega sia sempre stata un movimento reazionario legato ai poteri forti. Giuliano Bignasca, che era un creativo furbo, quando creò la Lega aveva troppo bisogno delle banche e dell’economia per potersi permettere di alienarsi le simpatie di banchieri e padronato. Inoltre, demagogia e razionalità non vanno d’accordo. Demagogia come quella rappresentata ad esempio dalla confusa proposta di una tredicesima AVS cantonale invece che federale. Se fosse passata, siccome i soldi a disposizione del Cantone non sono infiniti, avrebbe sottratto mezzi alla socialità di competenza del Cantone (i “redditi di complemento” che aiutano le persone con redditi insufficienti come ad esempio gli “assegni famigliari”) per intromettersi nella socialità di competenza della Confederazione (i “redditi di sostituzione” che aiutano le persone che per vecchiaia, malattia o altro non possono più lavorare). Ma queste sono finezze istituzionali che alla Lega non interessano».

Ha vissuto il boom economico della piazza finanziaria che ci ha portato tanto benessere. Oggi, per contro, stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità?

«Il boom del settore bancario (da 500 addetti nel 1950 a 9.000 nel 1990) esplose soprattutto negli anni 70/80 grazie alle “tonnellate di soldi” affluiti dall’Italia con il seguito di truffe, malversazioni, fallimenti, ma anche con l’acquisizione di nuove competenze grazie all’impulso di alcune persone capaci e oneste (ricordo per tutti Amilcare Berra col quale collaborai come direttore del Dipartimento Giustizia per scrivere la legge sui fiduciari). Oggi sono rimasti circa 5.000 addetti e un importante settore fiduciario. In generale l’economia ticinese fu spesso caratterizzate da una produttività bassa rispetto agli altri Cantoni e dallo sfruttamento di rendite di posizione finanziarie, fondiarie e industriali, rifugiandosi poi nel vittimismo quando veniva presentato il conto. Evidentemente una economia “disordinata” provoca attese non sempre giustificate, quindi squilibri e la tendenza a vivere “sopra le proprie possibilità” sia nel pubblico che nel privato».

La sinistra che lei ha vissuto fa ormai parte del passato o, in qualche modo, potremmo ritrovarla anche nel presente e nel futuro?

«Il progresso tecnologico ed economico, fin dai tempi della prima rivoluzione industriale di fine ’700, è stato il risultato delle iniziative di una piccola minoranza (i capitalisti) che si è impossessata in modo squilibrato del potere e della nuova ricchezza prodotta. Poi la Storia ha periodicamente riprodotto le lotte dei “produttori” per una ripartizione più equa di quanto prodotto. Anche se le modalità furono diverse, il confronto avvenne sempre tra “conservatori” (destra) e “riformisti” (sinistra). “Ripensando il futuro” credo che, in un contesto diverso, quindi ancora una volta con modalità diverse, la Storia si ripeterà».

Avrà sentito che Bertoli ora non esclude di ricandidarsi. Buona cosa o meglio evitare deroghe alla regola dei 12 anni del PS?

«Non entro nel merito di quelle che per il momento sono ancora “voci” e, comunque, la lista PS avrà quasi certamente 5 candidati. È importante che vengano scelti per la loro competenza, la loro esperienza politica, la loro cultura e la capacità di sapere creare emozioni quando si rivolgeranno al pubblico. Le emozioni favoriscono il passaggio delle idee, dei progetti, delle visioni come la tensione favorisce il passaggio della corrente. Ma la capacità di trasmettere emozioni non si improvvisa: si costruisce con il lavoro, la cultura, il piacere di comunicare».

Vedrebbe di buon occhio una lista unica PS-Verdi per il Governo?

«L’unità della sinistra è, a mio parere un imperativo categorico. Cioè è valida indipendentemente dai vantaggi di una o di un’altra delle diverse correnti della sinistra. Il momento è troppo delicato e le potenzialità dei diversi partiti troppo fluide per giocare alle rivalità intestine. I numeri dei seggi in Gran Consiglio e i risultati della elezione degli Stati mostrano che la “sinistra unita può mirare ancora a due seggi in Consiglio di Stato. Per il Ticino sarebbe un cambiamento di tendenza epocale».

E se alla fine la spuntasse un uomo o una donna ecologista, per il PS sarebbe l’inizio della fine a livello di Consiglio di Stato?

«Porsi questa domanda significherebbe essere opportunisti. Non siamo più nella seconda metà del secolo scorso, i problemi, come le inquietudini diventano sempre più grandi e richiedono determinazione e chiarezza concettuale».

Cosa le è piaciuto e cosa meno dei quasi 12 anni di Bertoli in Consiglio di Stato?

«Di Manuele ho apprezzato il coraggio, la lucidità, lo sguardo sul mondo, la capacità di mantenere un comportamento collegiale anche quando si hanno visioni politiche molto diverse, i risultati raggiunti collaborando con altri nel potenziare il mondo accademico e della ricerca e la sua fedeltà, indipendentemente dalle mode, all’idea di una scuola inclusiva, premessa indispensabile per l’uguaglianza delle opportunità».