Polizia scientifica

Il metodo Bataclan fa scuola

Si è svolta nel canton Lucerna la prima esercitazione nazionale sui protocolli di indagine in caso di attentato terroristico
© Daniel Duschletta
Francesco Pellegrinelli
10.03.2022 06:00

Bataclan, 13 novembre 2015. Gli agenti della Prefettura di Parigi suddividono la scena del crimine in 16 aree d’intervento. All’interno del locale ci sono 130 persone decedute. Ci vorranno 12 ore per  «liberare» la sala concerti. Dodici ore in cui gli agenti della Scientifica metteranno a punto un protocollo che farà scuola in tutto il mondo e che, nelle scorse settimane, a Lucerna, è stato condiviso con 250 agenti svizzeri.

«È una prima assoluta a livello nazionale», spiega Giancarlo Santacroce, commissario capo della Scientifica della Polizia cantonale ticinese. «Non era mai accaduto che tutti i corpi della Scientifica svizzeri partecipassero a un’esercitazione comune su un tema così delicato», aggiunge l’omologo vodese, promotore della formazione intercantonale, Nicola Albertini.

Come si gestisce la scena del crimine di un attentato terroristico? Dove occorre prestare attenzione e quali sono gli errori da non commettere? Quali informazioni vanno comunicate per primo agli inquirenti? Tante, tantissime domande. Ognuna con un grado di priorità diverso.

«In queste situazioni la pressione esterna è forte.  La stampa, la politica, l’opinione pubblica chiedono chiarimenti e in assenza di un protocollo preciso il rischio di perdersi - o peggio commettere errori che possono pregiudicare l’indagine o la sicurezza degli agenti - è grande», chiosa Albertini.

L’esempio emblematico è quanto accaduto in Inghilterra alcuni anni fa durante un’aggressione all’arma bianca di matrice terroristica. Spiega Santacroce: «Gli agenti hanno effettuato tra 4 e 5 mila prelievi. Poi, si sono resi conto di non essere più in grado di collocarli sulla scena del crimine». Un mosaico infinito di tessere la cui ricostruzione, in assenza di un protocollo preciso, diventa nebulosa e complicata: «Serve un metodo».

La formazione
Lucerna, novembre 2021. In una fabbrica dismessa a Hitzkirch viene simulato un attacco terroristico. Durante una conferenza stampa, un commando fa irruzione con armi ed esplosivo. Dopo aver aperto il fuoco sui presenti, segue una detonazione che uccide 30 persone. «Su questa scena fittizia, 250 agenti della Scientifica di tutte le polizie cantonali hanno praticato il protocollo elaborato sui principi del metodo francese», osserva Albertini.

Con omologhi della Scientifica di Germania, Croazia, Afghanistan, Brasile, Libano e Arabia Saudita, Santacroce ha appreso questo metodo nel 2019 al Centro Internazionale degli Studi Pedagogici di Parigi, nell’ambito di una collaborazione con la Direzione della Cooperazione Internazionale del Ministero degli interni francese e le ambasciate francesi in Svizzera. I due agenti formatori avevano lavorato sia nella strage di Charlie Hebdo, sia al Bataclan.

Le zone d’intervento
Ma cosa prevede allora questo protocollo?  I primi ad arrivare sul posto, precisa Santacroce, sono gli artificieri che hanno il compito di bonificare la scena del crimine controllando che sia sicura. «Dopodiché occorre delimitare delle zone d’intervento, suddividendo la scena del crimine in settori. Non tanto in funzione dell’ampiezza, ma in ragione del numero di vittime  presenti in ogni area». Poi, inizia il lavoro di ogni singola squadra che si occuperà esclusivamente del proprio settore. «Ogni squadra è composta da 5 - 6 agenti: un caposettore, un vice, un fotografo, un disegnatore e due agenti che fanno i prelievi e che manipolano i corpi».  

Stabilire le priorità
I punti fermi di questo protocollo, prosegue Santacroce, sono due. La scena del crimine deve essere preservata ma nello stesso tempo le informazioni operative devono arrivare più celermente possibile agli inquirenti: «Se osserviamo che sulla scena del crimine un presunto attentatore, per esempio, indossa una scarpa particolarmente riconoscibile, questa informazione deve passare immediatamente al coordinatore che la comunicherà agli inquirenti. I quali avranno così un elemento d’indagine da verificare sulle video sorveglianze esterne per scoprire eventuali complici o potenziali rischi di attacchi ulteriori».

Per i medesimi motivi, sulla scena del crimine - prosegue Santacroce - si cercheranno dapprima i corpi dei terroristi, «prestando attenzione a elementi come giubbotti, armi e simili». La presa delle impronte e del DNA inizierà  da questi corpi alfine di identificarli il prima possibile, fornendo utili informazioni sull’attentato e sui terroristi». La loro identificazione è infatti prioritaria per gli sviluppi dell’inchiesta. Albertini su questo punto è perentorio: «Rispetto a un’inchiesta tradizionale le domande da porsi sono altre: chi sono i terroristi? Ci sono complici da arrestare? C’è il rischio di nuovi attentati?». Per questo motivo, aggiunge Santacroce, è indispensabile che il lavoro venga suddiviso in squadre autonome e «che ognuno sappia esattamente che cosa fare all’interno del proprio perimetro. Solo così si può agire velocemente senza commettere errori». Spetterà quindi al caposettore decidere le priorità da accordare all’interno del proprio perimetro. Ogni prelievo, poi, verrà catalogato secondo una metodo preciso: «Ogni oggetto  viene fotografato con un codice di riferimento, in modo che possa essere collocato precisamente sulla scena del crimine in fase di istruttoria».  A Lucerna, la scena del crimine con i 30 morti fittizi è stata “liberata” in sole tre ore, osserva Santacroce: «Segno che le dinamiche sono state pienamente acquisite e che il metodo è stato appreso».

In questa prospettiva, il fatto che «tutti gli agenti dei corpi svizzeri abbiano imparato un protocollo comune, rappresenta un enorme vantaggio operativo nel caso di una cooperazione intercantonale», aggiunge Albertini. «L’armonizzazione del metodo ci sembrava un obiettivo strategico importante. Oggi tutti i corpi di polizia parlano la medesima lingua». Per Albertini, il bilancio è senza dubbio positivo. «Dalla formazione iniziale di pochi agenti a Parigi nel 2017, oggi abbiamo trasmesso il metodo a quasi la metà dei collaboratori della Scientifica a livello svizzero». Un obiettivo raggiunto solo in quattro anni che riempie d’orgoglio sia Santacroce che Albertini.