Il missile aria-aria? «Un simulacro vuoto»

Sono cadute, su richiesta della stessa autorità inquirente, tutte le accuse mosse in Italia a un 44.enne italo-svizzero con residenza nel Basso Ceresio che era stato accusato - assieme ad altre persone - di aver cercato di vendere un missile Matra aria-aria ad alcuni combattenti ucraini di estrema destra. «Non vi è dubbio - ha sancito il Giudice delle indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Milano - che il missile Matra sia stato sottoposto a procedure di disattivazione, all’esito delle quali lo stesso ha perso tutto l’enorme potenziale bellico ed è divenuto del tutto inidoneo a recare offesa alla persona, nonché insuscettibile di ripristino. Il missile è divenuto ormai un mero simulacro vuoto e, contrariamente a quanto millantato da alcuni degli indagati, assume un valore solo quale (forse bizzarro) complemento d’arredo». Per questa vicenda l’italo-svizzero ha dovuto trascorrere tre mesi ai domiciliari in Italia (dove di fatto risiederebbe). «Piena stima e fiducia nella magistratura milanese che, dopo il trasferimento di competenza dell’indagine da Torino e Pavia, ha accertato come la vicenda non avesse nulla di penalmente rilevante», ci ha riferito il suo avvocato di fiducia Agostino Garagiola.
Dal KGB all’FBI
La vicenda era emersa nell’estate del 2019 ed era nata da un ex agente del KGB che aveva avvertito le autorità italiane di un possibile attentato ai danni dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. La notizia si era poi rivelata priva di fondamento, ma dalle indagini era emerso che qualcuno stava cercando di vendere a delle forze ucraine un missile aria-aria. Quel qualcuno, per gli inquirenti, era un italiano 62.enne, trovato poi in possesso di diverse armi. Fra le altre persone coinvolte vi sono l’italo-svizzero e un italiano di 53 anni, in quanto il missile (e altri oggetti militari) è stato rinvenuto in un capannone in uso da una società italiana dedita alla compravendita di aerei di cui il 44.enne era amministratore. Della vicenda si era interessato anche l’FBI.
Perizia scagionante
Sulla base di queste informazioni, gli inquirenti italiani si sono messi al lavoro, apprendendo innanzitutto che il missile era di proprietà di un collezionista italiano 72.enne. L’italo-svizzero ha inoltre sin da subito affermato che esso fosse «un oggetto inoffensivo, inerte, da esposizione o collezione». Secondo chi ha svolto i primi accertamenti, però, il missile «poteva essere riattivato da una ditta specializzata». Il Pubblico Ministero ha poi chiesto un’altra perizia, a opera di esperti dell’Areonatica militare italiana. È questa che ha concluso che il missile «non è riattivabile perché per farlo sarebbe necessario procedere alla sostituzione di oltre il 95% delle componenti attraverso la casa madre e con impiego di specifiche attrezzature e manodopera ad altissima specializzazione». Addirittura, la DIGOS di Torino ne ha ricostruito la storia, scoprendo che era stato demilitarizzato dall’Aeronautica militare spagnola fra il 2001 e il 2003 e che poi era stato regolarmente venduto all’asta.
Stesso discorso per gli altri oggetti militari rinvenuti nell’hangar (un razzo, sistema di guida e di comando di altri missili): tutti non più riattivabili. Tranne due contenitori lanciarazzi risultati ancora funzionanti. Sono stati confiscati, ma anche in questo caso nessuno reato. Perché, per vari motivi, gli indagati non potevano supporre che potessero ancora funzionare.
Nemmeno la truffa
Resta in tutto questo che il 62.enne aveva cercato di spacciare il missile per funzionante e di venderlo per mezzo milione di euro. Ma per il GIP difettano pure gli estremi del delitto di tentata truffa.