Il «no» ticinese ai tagli di Berna

Un «no» su tutta la linea. Il Consiglio di Stato, nel rispondere alla consultazione sulle misure di sgravio della Confederazione – fondate sul discusso «rapporto Gaillard» –, non ci ha girato troppo attorno, rispedendo di fatto al mittente tutte le proposte. La presa di posizione dell’Esecutivo ticinese sul tema dei tagli federali (che, se approvati, saranno applicabili dal 2027) rispecchia dunque pienamente quelle della Conferenza dei governi cantonali e quella dei Cantoni alpini, che pure avevano bocciato la consultazione. Nel documento inviato alla «ministra» delle finanze Karin Keller-Sutter, il Consiglio di Stato si dice «consapevole che il risanamento delle finanze federali sia anche nell’interesse dei Cantoni». Questo, tuttavia, non può avvenire «trasferendo direttamente e indirettamente gli oneri» su di essi. Al contrario, andrebbe privilegiato «un intervento sulle spese proprie della Confederazione». Già. Ma quanto sarebbe forte l’impatto delle misure di risparmio sulle casse ticinesi? Il Governo ribadisce di prevedere «un impatto diretto fino a 40 milioni di franchi e un impatto indiretto di almeno 15 milioni (a carico degli istituti universitari USI_e SUPSI)». Decisamente una mazzata: il tutto «risulta insostenibile per le nostre finanze», sottolinea infatti l’Esecutivo.
C’è chi può e chi non può
La questione è semplice: ci sono Cantoni che possono permettersi sia maggiori oneri, sia maggiori uscite. Altri, come il Ticino appunto, no. Se i tagli andassero in porto con questa forma, non farebbero altro che accentuare «le diseguaglianze esistenti», vanificando «gli sforzi intrapresi a livello federale in questo senso». Un simile approccio unilaterale rischia di «compromettere i principi del federalismo e della coesione nazionale». Non solo: una delle critiche principali che il Consiglio di Stato muove a Berna è il mancato coinvolgimento. «Deploriamo il fatto che i Cantoni non siano stati adeguatamente coinvolti nel lavoro preliminare (...), nonostante siano i principali interessati dal progetto», riprende la risposta. Il tutto, in un contesto già difficile per secondo livello istituzionale: il Governo ricorda infatti che «a livello federale sono state adottate o stanno per essere adottate decisioni che potrebbero contribuire a mettere sotto forte pressione le finanze cantonali nei prossimi anni». A questo proposito vengono citati il progetto EFAS (che peserà sulle casse cantonali per 100 milioni l’anno nella fase iniziale), l’abolizione del valore locativo e la Legge federale sull’imposizione individuale. «Senza dimenticare che in alcuni settori di competenza della Confederazione, in particolare quello dell’asilo, i costi posti a carico dei Cantoni stanno aumentando in modo esponenziale». Di qui, l’appello del Consiglio di Stato a Berna: «Riteniamo sia necessario agire con maggiore attenzione e lungimiranza verso i Cantoni, tenendo conto del difficile quadro globale attuale e che si prospetta negli anni a venire».
Non è finita qui
Nella sua risposta, il Consiglio di Stato individua però un altro pericolo. Le misure poste in consultazione a fine gennaio, infatti, sono soltanto quelle che implicano delle modifiche legislative. Ce ne sono altre - di stretta competenza del Consiglio federale - che avranno ripercussioni sulle casse del Cantone e che andrebbero ad aggravare il peso stimato in precedenza. L’elenco è corposo e vanno dall’aumento del grado di copertura dei costi nel traffico regionale viaggiatori (Cantoni e Comuni saranno chiamati a ridurre le prestazioni di trasporto pubblico in ambito regionale oppure ad assumersi l’onere finanziario derivante dal mancato aiuto della Confederazione) alla riduzione dei contributi in ambito universitario, nello specifico alla diminuzione del contributo della Confederazione per l’USI_e la SUPSI, passando per minori finanziamenti per turismo e strade principali. «Queste misure rappresentano un chiaro disimpegno della Confederazione in questi ambiti, che il nostro Cantone respinge fermamente», attacca l’Esecutivo.
La lista è lunga
Tra i tagli sottoposti alla consultazione fra i Cantoni (ce ne sono più di 35), spiccano quelli nell’ambito delle scuole universitarie e nella formazione professionale. Come la proposta di aumentare le tasse universitarie, conseguenza al taglio dei contributi di base. Secondo il Governo, ciò «avrebbe un impatto negativo significativo sulla qualità dell’insegnamento e della ricerca svolti dalle scuole universitarie, minandone la stabilità nel medio lungo termine». Viene inoltre ricordato che le scuole universitarie ticinesi hanno già tasse fra le più alte in Svizzera, «pertanto un incremento non è praticabile se non in modo molto contenuto, per non compromettere l’accesso a una formazione universitaria di qualità» a chi non ha sufficienti mezzi economici. Per continuare a garantire l’accesso a tutti, il Cantone dovrebbe quindi intervenire direttamente, «con pesanti conseguenze sulle finanze» dello Stato. «Il rischio è che si crei un settore universitario a due velocità», con conseguente perdita di competitività per i Cantoni che non possono permettersi di sostenere efficacemente le accademie. Per quanto riguarda la misura che intende eliminare i finanziamenti per la formazione continua degli adulti (che al Ticino costerebbe 450 mila franchi all’anno), il Governo è altrettanto chiaro: «Non è accettabile», chiosa. La soppressione di questi contributi federali «comporterebbe un aumento sproporzionato dei costi sociali, che supererebbe di gran lunga i risparmi a breve termine scaricando la responsabilità unicamente sui Cantoni». Stesso discorso per la riduzione dei contributi di Berna per la formazione professionale (aggravio di 1,25 milioni di franchi): «Questa riduzione metterebbe a rischio la qualità e la sostenibilità della formazione professionale nel Cantone, aggravando ulteriormente le disparità regionali e limitando le opportunità per gli studenti». In un momento, viene ricordato, delicato per quanto riguarda l’approvvigionamento di manodopera qualificata. La risposta critica quindi anche tutti gli altri ambiti di intervento messi sul piatto dalla Confederazione, come la riduzione del 10% dei contributi destinati al finanziamento di compiti legati al settore stradale, il taglio ai servizi per il controllo del traffico aereo degli aeroporti regionali (una misura definita «assolutamente inspiegabile, ingiustificata se non addirittura punitiva») oppure ancora il contenimento dell’evoluzione delle uscite nel settore dell’assicurazione obbligatoria delle cure mediche.
«Il COVID ha fatto del male»
Insomma, un contrattacco ufficiale in piena regola. «Il Governo si è allineato a quanto espresso dalla Conferenza dei governi cantonali: intende cioè combattere questo concetto di federalismo predatorio, che recupera le risorse di cui necessita dai livelli istituzionali sottostanti», ribadisce al CdT Norman Gobbi, presidente del Consiglio di Stato. «Il federalismo deve vivere di dialogo e soluzioni condivise. Abbiamo l’impressione che la Confederazione sia sempre più uno Stato centralizzato e che non tenga conto della peculiarità dei Cantoni o dei diversi settori». Per Gobbi, questo modo di procedere di Berna si è accentuato dopo il COVID. «Quell’esperienza ha fatto del male, perché c’è stata una spinta verso l’accentramento dei poteri da parte della Confederazione». A questo punto, una volta inviata la risposta alla consultazione, il Consiglio di Stato lavorerà con la Conferenza dei governi cantonali per combattere le misure di risparmio, coordinandosi anche con la deputazione ticinese a Berna.