«Il nostro Bar tra due mondi»

«Un apprendistato in capanna»: così James Mauri, gestore insieme a Serge Santese della capanna Monte Bar, racconta i primi mesi a 1.600 metri d’altezza. Dopo un periodo caratterizzato da qualche nube, in quota sembra essere tornato il sereno. Quello a cavallo tra 2019 e 2020 è stato infatti un periodo non facile per la capanna aperta tutto l’anno. Prima c’è stata la partenza dei giovani cuochi che l’avevano presa in gestione dopo la ristrutturazione e poi la rescissione del contratto, questa volta da parte del Club alpino svizzero (CAS), con la coppia grigionese che era arrivata ad occuparsi della struttura nel dicembre 2019. Ed è così che in piena pandemia Santese e Mauri hanno preso le redini della capanna più amata dai luganesi, sportivi e non.
«Per quanto riguarda i pernottamenti, - spiega Mauri - a giugno abbiamo avuto circa il 50% delle prenotazioni dell’anno scorso. Mentre a luglio e agosto, nonostante la capienza ridotta da 42 a 30 posti letto a causa del virus, abbiamo raggiunto il 70% dei pernottamenti. A settembre è andata ancor meglio e lo stesso sarebbe stato per ottobre se non ci fosse stata l’ascesa dei contagi che ha portato a nuove misure limitative e alla cancellazione di quasi tutte le prenotazioni». In generale, il ritrovo ha accolto molti turisti svizzero tedeschi, appassionati di e-bike e tanti ticinesi, soprattutto in giornata e per i pasti.
Il coronavirus si è fatto sentire anche sui monti, costringendo i capannari a gestire in modo differente la struttura. «La pulizia e la disinfezione delle camera vanno effettuate tutti i giorni, come in un albergo: per questo abbiamo dovuto avere una persona dedicata. Prima della COVID-19, secondo le direttive CAS, la biancheria andava lavata una volta al mese». Per questo motivo i gestori hanno chiesto una modifica della ripartizione degli incassi sui pernottamenti. Oggi vengono divisi a metà tra loro e il CAS (proprietario della struttura). «Non perché vogliamo guadagnarci, - spiega ancora Mauri - ma per coprire i costi extra generati dalle misure anti-COVID».

Di costi si è parlato anche riguardo al cronico dilemma identitario di questo ritrovo: dev’essere più ristorante-albergo o più capanna montana? Secondo Mauri «resta un dilemma: chi arriva da fuori si sente in capanna e la considera come tale. La clientela del Luganese, invece, si aspetta un ristorante a 1.600 metri con tutti i servizi del caso: assecondare questa aspettativa non è semplice e non sarebbe del tutto corretto. Dal canto suo il CAS, con il quale abbiamo un ottimo rapporto, vuole che rimanga una capanna. Però ha investito ben 3,8 milioni di franchi per ristrutturarla e chiede un cospicuo affitto per ammortizzare il debito: quindi da gestore, per starci dentro con i costi, devi fare un passo in più e, di fatto, diventare un ristorante con piatti di qualità e un servizio professionale. Alla fine - dice - io vedo il ritrovo più come un alberghetto di montagna». Un dilemma è stata spesso anche l’affluenza: «Non è sempre prevedibile e anche per questo, soprattutto nel corso dei weekend estivi, alcuni amici ci hanno dato una mano per il piacere di passare del tempo in montagna».
Troppe auto?
Nel corso della stagione, infine, alcuni «vicini di casa» si sono lamentati del passaggio sulla strada per salire al Bar: «Troppe auto», ha detto qualcuno.Dopo la barriera per salire in macchina serve un permesso da parte del Consorzio Vedeggio Cassarate. «A noi è capitato - spiega Mauri - qualche volta di dover andare a recuperare con l’auto persone che stavano salendo a piedi e si sono trovate in mezzo al brutto tempo o sono state spaventate dal cane di protezione dell’alpeggio qui vicino: si tratta di eccezioni che, in accordo con il CVC, dovrebbero essere sempre molto poche».
Meno pernottamenti, più pasti: il bilancio delle altre capanne
Quella sul monte Bar è una delle poche capanne a rimanere aperta tutto l’anno, per le altre la stagione si sta per concludere. Per questo abbiamo fatto un piccolo giro tra alcune strutture della regione per capire com’è andata. «In generale, in Ticino c’è stato il 20-30% di pernottamenti in meno - spiega Edgardo Bulloni, responsabile tecnico delle capanne del CAS, - ma i passaggi giornalieri, sia di locali che di turisti, sono stati tanti». Un trend confermato dalla capannara del Pairolo, Christine Sertori: «Questa è stata una stagione molto particolare nella quale, nonostante tutto, si è lavorato benissimo. È vero, - continua - abbiamo registrato meno pernottamenti, ma il loro calo è stato compensato dall’aumento di passaggi non solo a pranzo ma anche a cena e questa è stata una novità per noi. Abbiamo accolto molti ticinesi, turisti svizzero tedeschi e pure romandi, che solitamente non si vedevano da queste parti». Per mettere in atto le misure legate al coronavirus, però, «sono stati richiesti più impegno e maggiori costi a chi gestisce le capanne».
Cauto ottimismo anche dall’Alpe Bolla. «Nonostante la situazione e avendo perso un mese di lavoro su sei, è andata bene», spiega il gestore del rifugio Fabio Continati. «Il problema è stato fare i conti con i posti in meno, circa un terzo, ma per il resto siamo contenti: pensavamo peggio».