Il part-time piace in Ticino, e c'è anche il «boom» di posti vacanti

Il lavoro a tempo parziale sta diventando – pian piano ma con grande costanza – una realtà ben consolidata anche in Ticino. Basti pensare che, cifre alla mano, negli ultimi vent’anni nel nostro cantone i posti di lavoro non a tempo pieno (quindi con un grado d’occupazione inferiore al 90%) sono passati da 46.100 a 85.600 (+39.500 unità). Si tratta, in termini percentuali, di una vertiginosa crescita pari all’85,6%. Un incremento che con regolarità prosegue di anno in anno.
Come fatto notare in un recente studio dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) intitolato «tra demografia, frontalieri e tempi parziali: i trend del mercato del lavoro», solo nell’ultimo anno, dal primo trimestre 2022 allo stesso periodo di quest’anno, gli impieghi a tempo parziale hanno conosciuto un aumento del 4,1%, pari a 3.300 unità.
Bellinzona come Berna
«Ci stiamo avvicinando alla media nazionale. E ciò dimostra che le tendenze sono in qualche modo identiche in tutta la Svizzera», commenta da noi contattato il direttore della Camera di commercio del Canton Ticino (Cc-Ti), Luca Albertoni. «Il lavoro a tempo parziale è una realtà conosciuta da moltissimo tempo Oltregottardo. Ricordo che vent’anni fa, quando lavoravo a Berna, già molti colleghi ricorrevano a questa tipologia d’impiego». Già, i dati in questo senso parlano chiaro: a livello nazionale la quota di addetti a tempo parziale nel 2003 si attestava già al 34,5% del totale. Una quota che a Sud delle Alpi abbiamo invece raggiunto (e leggermente superato) solo recentemente, nel corso del 2021.
Oggi, al primo trimestre 2023, in Ticino tale quota si attesta infatti al 35,5% del totale degli addetti, mentre la media svizzera nel frattempo è rimasta “ferma” al 40,7%. Negli ultimi vent’anni il Ticino ha guadagnato 10 punti percentuali (era al 25,7% nel 2003), mentre la media nazionale è incrementata solo di 5 punti. In questo senso, dunque, per Albertoni «si tratta di una normale evoluzione della società e del mondo del lavoro, tramite la quale ci stiamo uniformando al resto del Paese».
Dal canto suo, il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (AITI) Stefano Modenini osserva che «il lavoro a tempo parziale è una modalità che anche in Ticino concerne prima di tutto le donne. E in questo, credo che il nostro Cantone segua il trend nazionale, dove nel 2022 il 58 % delle donne lavorava a tempo parziale». Detto ciò, aggiunge Modenini, «bisogna anche dire che il numero degli uomini che lavora a tempo parziale è in crescita negli ultimi anni. Ciò rappresenta per le aziende certamente una sfida, perché dobbiamo abbinare la sfavorevole evoluzione demografica alle mutate abitudini delle nuove generazioni». Insomma, andare incontro alle richieste dei giovani non sarà semplice. «Non solo manca e mancherà personale, sia specializzato sia meno qualificato – rimarca il direttore di AITI –, ma i giovani chiedono sempre più spesso di lavorare a tempo parziale per preservare la qualità di vita. Questo significa che per trovare una persona un’azienda in realtà ne deve trovare almeno 1,5 se non 2».
Soprattutto donne
Come rilevato da Modenini, un aspetto degno di nota di questa tendenza riguarda il maggior ricorso al tempo parziale da parte delle donne. Un «fenomeno nel fenomeno» non da poco. Basti pensare che, tornando alle cifre dell’USTAT, nel 2023 degli 85.600 addetti a tempo parziale ben 57.400 (il 67%) sono di sesso femminile, a fronte di 28.300 uomini. Una quota in leggera flessione rispetto a 20 anni prima, nel 2003, quando si attestava al 69,2%. In questo senso, come detto, va appunto sottolineato che, malgrado resti un fenomeno che riguarda soprattutto le donne, il lavoro a tempo parziale sta pian piano prendendo piede anche tra gli uomini. Negli ultimi vent’anni le donne a tempo parziale sono aumentate di 25.500 unità (+80%), mentre gli uomini di 14.100 (+ 99%). In termini percentuali, dunque, gli uomini hanno recuperato un po’ di terreno.
Andando a guardare i settori economici, emerge poi che la tendenza riguarda soprattutto i servizi, dove – stando ai dati dell’USTAT – il 41% degli impieghi è a tempo parziale, rispetto al 15,3% del secondario.
Dal fondo all’apice
Un’insidia rappresentata dall’affermarsi di questo fenomeno riguarda come detto la mancanza di manodopera, un tema sempre più presente in Ticino, come in Svizzera e nel resto del mondo. Un aspetto sottolineato anche nel già citato studio dell’USTAT. A questo proposito viene infatti notato che in Ticino, a fronte di un aumento degli impieghi, anche i posti vacanti sono cresciuti in maniera importante.
«Per quanto riguarda gli impieghi – si legge, appunto, nel contributo dell’Ufficio di statistica –, l’ultimo periodo mostra una ripresa: in un solo anno gli impieghi sono cresciuti dell’1,3% (+3.150). Un segnale positivo confermato dalla marcata evoluzione dei posti vacanti che, pur rimanendo intorno all’1% dei posti di lavoro, corrispondono a poco più di 2.500 posti di lavoro, in aumento su base annua del 39,3%». Insomma, in un solo anno i posti vacanti in Ticino sono aumentati quasi del 40%. E, anche andando a spulciare i dati disponibili per gli ultimi anni, emerge una crescita importante di questo fenomeno. L’indice dei posti liberi (calcolato con base 100 al secondo trimestre del 2015) è infatti in costante crescita negli ultimi anni, soprattutto dopo il periodo pandemico. Nel quarto trimestre 2020 l’indice segnava infatti un dato in forte calo a quota 55,4 (il dato più basso in Ticino dal 2004 a oggi). Poi, è man mano aumentato fino a toccare il suo apice proprio nel primo trimestre 2023, a quota 174,5. Da segnalare che una cifra così alta non è mai stata raggiunta nel nostro cantone negli ultimi vent’anni. Anche se, va pure notato, attualmente l’indice sul piano nazionale è ben più alto, a quota 235.
Il rovescio della medaglia
«Con la crescita dei tempi parziali – rileva dal canto suo Albertoni – il rischio di avere ancor meno manodopera si fa più concreto. È il rovescio della medaglia di questo fenomeno». Un’evoluzione che si inserisce in un contesto di difficoltà generalizzata a trovare manodopera, dettato in particolar modo dalla questione demografica. «La mancanza di manodopera è un fenomeno abbastanza trasversale a tutti i settori – chiosa il direttore della Camera di commercio ticinese –. Una problematica nota da molto tempo. Con sempre più persone della generazione del baby boom che escono dal mercato del lavoro, il problema è peggiorato parecchio negli ultimi tempi».
Una problematica, quella della mancanza di manodopera, rilevata anche da Modenini: «Sì, è già un problema. Il trend demografico negativo riguarda la Svizzera e tanti altri paesi europei, ma oramai anche Paesi come la Cina». Per il direttore dell’AITI, dunque, «è necessario prendere coscienza di questo problema e mettere in atto possibili contromisure: maggiore entrata e permanenza delle donne nel mercato del lavoro, servizi di conciliabilità lavoro-famiglia, offerte formative e condizioni di lavoro adeguate per i collaboratori, maggiore automazione dei processi produttivi, eccetera». Insomma, chiosa Modenini: «Siamo di fronte alla sfida più grande per la nostra società, perché è evidente che senza personale le attività economiche si fermano e le conseguenze negative arriveranno rapidamente allo Stato e alla popolazione stessa».