Il ricorso è tardivo, confermata la condanna di Xenia Peran

BERNA/LUGANO - Niente da fare per Xenia Peran al Tribunale Federale: il suo ricorso è stato inoltrato oltre il tempo utile previsto dalla legge ed è pertanto stato dichiarato inammissibile dai giudici di Mon Repos, che di conseguenza non l’hanno neppure esaminato nel merito.
L’avvocata era stata condannata con sentenza del 29 gennaio 2019 dalla Corte di appello e revisione penale (CARP) a una pena di 20 mesi sospesa per due anni per appropriazione indebita ai danni di un suo cliente e per tentata estorsione nei confronti dell’ex patron del Napoli Calcio Corrado Ferlaino, nonché a una pena pecuniaria unica, non sospesa, di 45 aliquote giornaliere di 30 franchi per dei reati contro l’onore. Una decisione che Peran intendeva contestare chiedendo in particolare di annullarla e di essere prosciolta dalle imputazioni di ripetuta appropriazione indebita qualificata, tentata estorsione e ingiuria. Postulava inoltre l’annullamento della pena detentiva e della revoca della sospensione condizionale della precedente condanna.
Tutto inutile, come detto, visto che il ricorso non è arrivato in tempo utile sui tavoli del Tribunale federale. Peran ha sostenuto invano di averlo inviato non appena entrata in possesso della sentenza motivata (cioè quando l’ha ritirata alla posta), ma i giudici hanno ribadito che a fare stato è la data d’intimazione al suo legale, l’avvocato Edy Meli, che ha ritirato la raccomandata una settimana prima di quando l’abbia fatto Peran. Meli aveva pure inoltrato un ricorso a titolo prudenziale, ma Peran gli aveva revocato nel frattempo il mandato di patrocinio. Scrive il TF: «Il gravame inviato prudenzialmente dal legale non può essere considerato in questa sede, giacché egli non era più autorizzato a rappresentare la ricorrente, che gli aveva revocato il mandato di patrocinio il 1° marzo 2019. Interpellata al riguardo dal Tribunale federale, la ricorrente ha confermato tale revoca ed ha comunicato che l’atto di ricorso del patrocinatore era da «cestinare» e che doveva essere preso in considerazione soltanto quello da lei redatto personalmente».
Contro la sentenza della CARP ha ricorso pure una delle vittime di Peran, un cliente che dalla donna ha subito un’appropriazione indebita di 150.000 franchi circa. L’uomo, patrocinato dall’avvocato Massimo Bionda, chiedeva che Peran venisse condannata anche per ripetuta appropriazione indebita qualificata e di ripetuta sottrazione di cose requisite o sequestrate, come nella sentenza di prima istanza (poi rivista dalla CARP). Anche il suo ricorso è stato giudicato inammissibile dal TF, in quanto per i giudici di Mon Repos l’uomo non poteva costituirsi accusatore privato (come sosteneva Peran e come invece l’hanno riconosciuto le Corti di prima e seconda istanza). Scrive il TF: «Il ricorrente non fornisce tuttavia chiarimenti circa la sua eventuale legittimazione ricorsuale». Nessun dubbio, invece, che fosse l’avente diritto economico dei soldi in questione. Qual è la differenza? Che a costituirsi come accusatori privati avrebbero dovuto essere le due società sui cui conti si trovavano questi soldi, e non lui in prima persona, in quanto giuridicamente «difetta al riguardo della qualità di danneggiato» necessaria per essere riconosciuto come AP.