Cent'anni fa

Il sequestro lampo fascista del sindaco di Ponte Tresa

Eccitati da presunte provocazioni al confine di soldati svizzeri, una decina di camice nere trattenne a Varese per un’ora e mezza un ignaro Pietro Tognetti, costringendolo con la minaccia a firmare un telegramma di condanna dell’accaduto
Ponte Tresa nel 1923: Tognetti viveva nel «castello». © A. Finzi, collezione iconografica Archivio storico Lugano
Federico Storni
13.04.2024 18:30

«Intanto non sappiamo, soggiunsero i fascisti, se ella tornerà ancora in Isvizzera o se piuttosto non andrà all’ospedale. Ad ogni modo, se le sarà dato di rimpatriare, ella deve provvedere a far stampare immediatamente dei manifesti dai quali risulti chiaro che ella stigmatizza e deplora i fatti di Ponte Tresa e deve poi farli affiggere su tutte le case del paese. Voi altri svizzeri non siete capaci di governare, e chi non sa fare da padrone, faccia da servitore. Abbiamo a nostra disposizione 350 armati che possono entrare di corsa nel vostro paese e conquistarlo fino al Gottardo». Accadeva l’11 aprile 1924: i fascisti italiani avevano sequestrato per un’ora e mezza a Varese il sindaco di Ponte Tresa Pietro Tognetti.

Era ignaro di tutto

Quanto letto dalla viva penna del quotidiano Gazzetta Ticinese del 14 aprile oggi può sembrarci inconcepibile, e fu straordinario anche per il contesto dell’epoca. Fu il culmine di una serie di tensioni qua e là dal confine fra fascisti e antifascisti ticinesi (soprattutto socialisti). Tensioni che negli scorsi mesi abbiamo in parte raccontato nel nostro podcast «La cara vecchiarassegna stampa» e su queste pagine (ad esempio sull’edizione del 12 febbraio o nella rubrica giornaliera «Cent’anni fa»). In questo caso vi fu una causa scatenante. Il giorno stesso del sequestro i giornali italiani davano ampio risalto a presunte provocazioni lanciate da dei soldati svizzeri a quelli italiani lungo la Tresa, per cui immediatamente scattò la rappresaglia. Tognetti, ignaro della cosa, quel giorno si trovava a Varese per affari ed è lì che fu trattenuto dagli squadristi.

Intervenne il Consiglio federale

Oggi la diatriba è quasi dimenticata, ma nel suo dispiegarsi fu un grosso caso e finì anche sui giornali internazionali. Dopo le presunte provocazioni svizzere al confine malcantonese, il regime fascista si fece immediatamente sentire a Berna per chiedere soddisfazione, e in questo senso il grave sequestro di Tognetti diede al Consiglio federale moneta di scambio. Si decise che entrambi i paesi avrebbero indagato gli accaduti nell’ambito delle rispettive competenze, e poi si sarebbero condivisi i risultati delle inchieste.

Inchiesta svizzera e italiana

La questione venne sbrigata in un mesetto. L’inchiesta svizzera appurò che, forse, qualche soldato confederato gridò al massimo «abbasso Mussolini». Ma il riferimento poteva anche essere al milite Bussolini, che i compagni d’arme chiamavano scherzosamente come il Duce. Fu insomma appurato che non successe granché e che gli italiani gonfiarono la vicenda. Tre militi vennero puniti con tre giorni di carcere più che altro per non essersi resi conto delle possibili conseguenze dei loro scherzi. Per contro l’inchiesta italiana fu chiusa senza colpevoli, non avendo accertato alcuna violenza contro il sindaco Tognetti. Il Consiglio federale, in un comunicato stampa, si fece andare bene la cosa e la faccenda finì lì. Addirittura acconsentì a che non venisse citato il fatto che la Svizzera rafforzò i controlli al confine per diversi giorni, per tema di scorribande fasciste. Da parte sua Mussolini invitò una delegazione di giornalisti ticinesi in visita in Italia e parlò di «rapporti fraterni» tra Italia e Svizzera. E gli animi si distesero quanto bastava.

Notti insonni

In realtà l’incidente non fu da nulla. Tanto per cominciare i fascisti fecero effettivamente firmare un telegramma a Tognetti. Vi si leggeva (lo pubblicò il giornale socialista Libera Stampa): «Il sottoscritto Tognetti Pietro, sindaco di Ponte Tresa (Svizzera) legato all’Italia da vincoli di sangue idealista, mentre deplora l’accaduto nel proprio comune, parte per Bellinzona a farne personale protesta». Tognetti andò sì a Bellinzona, ma per denunciare quanto a lui accaduto. In quei giorni, in ogni caso, chi abitava in zona non era tranquillo: «Anche le autorità ticinesi avevano raddoppiato la sorveglianza alla frontiere - scrive la storica Paola Bernardi-Snozzi - e gli abitanti di Ponte Tresa avevano passato notti in bianco per timore di venire sorpresi dalle gesta degli squadristi italiani». La tesi della ricercatrice è che questo episodio fu decisivo nel maturare nella coscienza ticinese un’«avversione e distacco netto dal fascismo».

In carica quarant’anni

Quanto a Pietro Tognetti, continuò a fare il sindaco di Ponte Tresa: restò in carica dal 1900 al 1940. Ancora oggi è ricordato per il suo importante, se non decisivo, ruolo, nella rapida realizzazione del collegamento ferroviario con Lugano, che sognava di prolungare anche in Italia.