«Il virus in alcuni lascia dei danni ma un buon recupero è possibile»

Siamo nel pieno della seconda ondata della pandemia da COVID-19, ma gli specialisti si stanno ancora occupando di pazienti che dal virus SARS-CoV-2 erano stati colpiti nel corso della prima. Sono persone che dopo aver superato la fase acuta della malattia e aver lasciato l’ospedale hanno avuto comunque a che fare con problemi di varia natura. Ma quali sono tali conseguenze? A spiegarlo è uno degli specialisti che in Ticino sono attivi sul fronte più avanzato della COVID-19.
Un gruppo di questi contagiati è stato preso in considerazione per un importante studio multicentrico e di respiro nazionale che è partito dall’Inselspital di Berna. Per il Ticino è coordinato dal dottor Christian Garzoni, infettivologo attivo alla Clinica Luganese Moncucco, e fra i ricercatori vede impegnato anche il suo collega Bruno Naccini, pneumologo alla Moncucco e all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio, nonché presidente della Lega polmonare ticinese.


Dottor Naccini, quali sono le prime considerazioni emerse grazie a questo studio?
«L’idea di partenza è stata quella di osservare e valutare il decorso di questi pazienti, a cui abbiamo proposto di sottoporsi a controlli a scadenze regolari, prima dopo tre mesi e quindi dopo sei, per poi arrivare fino a un anno dal periodo in cui sono stati colpiti più severamente dalla malattia causata dal nuovo coronavirus. I primi risultati di questo nostro lavoro – intitolato Studio prospettico osservazionale di gruppo per indagare sugli effetti polmonari ed extrapolmonari a lungo termine dovuti al COVID-19 – dicono che ci sono conseguenze a medio-lungo termine, così che occorre del tempo per rimettersi, ritrovare la salute. La nota positiva è che dal SARS-CoV-2 si guarisce, ma si tratta pur sempre di un virus di quelli cattivi. E che dunque non va per nulla sottovalutato e deve indurre ognuno di noi a mantenere alta l’attenzione, a osservare sempre le misure di prevenzione, ossia lavaggio e disinfezione frequente delle mani, mantenimento delle distanze fra persone e utilizzo della mascherina quando queste ultime si riducono».

Quali sono state le vostre constatazioni una volta trascorsi i primi tre mesi?
«Dalle prime osservazioni dei pazienti ticinesi ricoverati alla Clinica Moncucco che hanno aderito allo studio e che saranno integrate con quelle riguardanti gli altri ammalati sul piano nazionale, si può osservare in questo primo lasso di tempo la persistenza di una stanchezza cronica e fiatone permanente. Inoltre, si sono presentate ancora una perdita della massa muscolare, una capacità polmonare ridotta che abbiamo quantificato attorno al 20-30%, a volte delle piccole embolie e raramente più severe, nonché dei problemi con la coagulazione del sangue. Evidentemente, ci sono delle differenze a seconda dei singoli casi, per quel che riguarda i pazienti. Medesima è l’evoluzione sul piano radiologico, vale a dire sulle alterazioni evidenziate dalla TAC polmonare. Le immagini mostrano frequentemente il classico “vetro smerigliato”, presente nella fase acuta della malattia. Ossia i segni di infiammazione del polmone spesso presenti in maniera estesa e caratteristica negli ammalati colpiti dal virus SARS-CoV-2».


E dopo sei mesi come si presenta in generale la situazione?
«Osserviamo un netto miglioramento delle condizioni dei pazienti e ciò è indubbiamente confortante. A contribuire al ristabilimento, per esempio, è stato anche il lavoro svolto dai pazienti con i fisioterapisti domiciliari, un lavoro che prima di tutto ha portato significativi benefici sulla riapertura dei territori polmonari colpiti dalla malattia e sul piano della muscolatura diaframmatica, quella che utilizziamo per respirare. Quindi, possiamo affermare che c’è un buon recupero con il passare del tempo, anche perché di norma la stanchezza se n’è andata, le difficoltà respiratorie sono scomparse o al più sono ormai lievi oppure moderate. Anche la perdita della capacità polmonare osservata inizialmente spesso evolve favorevolmente e lo stesso vale per le immagini radiologiche, dove fortunatamente, nella maggior parte dei casi, si può osservare una diminuzione quasi completa del “vetro smerigliato”. Purtroppo, d’altro canto, si osserva pure lo svilupparsi di cicatrici più o meno estese, che speriamo evolvano favorevolmente nell’arco dei dodici mesi».
Tutto bene, quindi? Oppure la seconda ondata ci dirà altro?
«Intendiamoci, il SARS-CoV-2 è un virus bello tosto, con cui bisogna stare molto attenti e si deve usare tutta la circospezione del caso. Ciò non toglie che per i pazienti colpiti più duramente si può sperare in bene per il futuro, in un recupero più che soddisfacente. Bisogna comunque mantenere un’attenzione e una collaborazione da parte di tutti ed è quello che ci sta dicendo la seconda ondata con i suoi numeri».


Da medico come ha vissuto questa pandemia scatenata da un virus che fino a pochi mesi fa era del tutto sconosciuto?
«Soprattutto all’inizio della pandemia non avevamo le certezze che avremmo voluto avere per poter tranquillizzare in maniera assoluta i nostri pazienti. Quindi, è stata davvero dura e frustrante, perché agli ammalati non sapevamo proprio cosa dire: non avevamo le risposte imparate sui libri di medicina o maturate con gli anni di esperienza. Si sono forniti trattamenti antivirali, antimalarici o antibiotici che però sono serviti a poco o niente, come ci hanno insegnato i mesi successivi. Di grande utilità sono invece risultate l’ossigenazione, l’intubazione quando necessaria e – qui la grande scoperta – la prevenzione o la cura della malattia tromboembolica che accompagnava il processo di infiammazione da SARS-CoV-2».


Il dottor Bruno Naccini, in conclusione, non scorda il notevole contributo dato dal personale curante:
«Durante le fasi iniziali della pandemia, quelle purtroppo caratterizzate dalla nostra impotenza davanti alla malattia, mi sono reso conto di quanto fosse importante il sostegno del paziente da parte del personale infermieristico, degli assistenti di cura e dei fisioterapisti, mentre noi medici, seppur privi di certezze, eravamo presenti con le nostre competenze. Questa presenza a fianco dell’ammalato l’ho potuta ulteriormente osservare in occasione del rientro al domicilio dei pazienti, perché paure, domande e incertezze erano ancora presenti. Di grande sostegno è quindi stato il lavoro d’accompagnamento da parte dei collaboratori della Lega polmonare ticinese che hanno chiamato, sostenuto e visitato a casa sua il paziente colpito dal virus e i suoi cari. Adesso, pensando all’arrivo dei vaccini e tenendo conto delle cure che abbiamo perfezionato passo dopo passo da quando è scoppiata la pandemia, si incomincia a intravedere una luce in fondo al tunnel. Inoltre, iniziano a formarsi delle certezze mediche anche su questa malattia, ma da qui al poter cantare vittoria di tempo ce ne vorrà ancora. In ogni caso, ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno lavorato sul fronte più avanzato nella lotta contro il SARS-CoV-2 e ancora lo stanno facendo durante la seconda ondata».
I primi risultati dello studio
Ecco i possibili problemi accusati dai pazienti a 3 mesi di distanza dalla fase acuta: persistenza di stanchezza cronica e fiatone permanente, perdita di massa muscolare, capacità polmonare ridotta del 20-30%, piccole embolie e raramente più severe, problemi con la coagulazione del sangue, presenza dei segni di infiammazione del polmone spesso estesa e caratteristica nei pazienti colpiti dal SARS-CoV-2.