Il vostro Corriere, una finestra per affacciarsi sulla realtà

Non è una storia di capelli bianchi, questa del Corriere. La contabilità delle rughe non fa parte del giornalismo – che si svecchia da sé ogni mattina – e pure le narrazioni di «un grande avvenire dietro le spalle», sinceramente, di questi tempi, interessano a pochi. È invece un racconto di passione e orizzonti comuni. Il racconto di cosa accade oggi, di dove si va domani.Tornate a una pagina fa. Osservate l'immagine della donna che apre la finestra. Ha davanti a sé il monte Brè, il golfo di Lugano, il cielo limpido del Ticino, sotto di lei, sul lago, scivola un battello con la bandiera rossocrociata. Questa donna siamo tutti noi. Ogni giorno apriamo gli occhi e vediamo la nostra famiglia, i colleghi di lavoro, l'iconico paesaggio della Sonnenstube e sulla scrivania, naturalmente, le bollette da pagare, le schede per votare, la richiesta, vicina o lontana, di un aiuto, di una presenza, di una partecipazione. Ogni giorno ci affacciamo su un caos imponderabile, intessuto di mille variabili, tra soddisfazioni e sconfitte, bellezze gratuite e soverchie meschinità, tra commedia e dramma. E pensiamo: «Com'è difficile fare ordine in tutto ciò. A chi e a cosa dare la precedenza?».
L'errore di valutazione, la tentazione dell'indifferenza, il mancato approfondimento sono i pericoli nascosti dietro l'angolo. E che dire della noia, quella che ci fa ritenere che «tutto è uguale, qui come altrove, meglio tirare dritto, e per informarmi dò un'occhiata allo smartphone», ecco, che dire di questa leggerezza fatale? Qualcosa che somiglia a un ancoraggio, ci arriva dalla donna alla finestra. Tornate a osservarla bene.
Lei non guarda distrattamente la realtà attraverso uno schermo, ma vi si affaccia con tutta se stessa. Sente l'aria del lago sulla pelle, gli afrori di fine estate, il vento nelle vele delle imbarcazioni. Il suo sguardo non si smarrisce – un clic tira l'altro, una mail manda via quell'altra, e magari la batteria è scarica – ma prende un contatto deciso col mondo. Come fanno i contadini quando valutano il cielo e decidono qual è l'attività più adatta oggi: saggezza quasi perduta, trascinata via dalla corrente digitale delle news 24/7, dove ogni tanto si spera di acchiappare un pesce ma più spesso si va a letto senza cena.
Per fortuna esistono finestre a cui affacciarsi. Per fortuna, continuano ad arrivare in edicola e nella cassetta della posta quei miracoli di intelletto carnale, di conoscenza, di definizione, di messa in gerarchia e di meditazione sul mondo che sono i giornali. Quella donna si affaccia sul «suo» Ticino attraverso la porosa carta del Corriere.
Col quotidiano in borsa, con quella notizia o quell'inserzione in mente, scenderà per strada, si recherà al lavoro, andrà a votare, firmerà un'assicurazione o spedirà il curriculum, forse in patria forse all'estero. Il rapporto col suo giornale l'aiuterà in ogni attività più che blog, tweets e snapchat dell'ultimo minuto. È il vero potere del giornalismo: far chiarezza. Non c'è dubbio, ha avuto proprio una bella idea, il pittore e illustratore Lucio Schiavon, che ha firmato la sovraccoperta.
D'altronde, Schiavon è nato a Venezia. Chi conosce questa città sa quanto numerosi siano i punti di somiglianza col nostro cantone. Anche laggiù, sulla marina adriatica, su un'isola minuscola a forma di pesce, conficcata nel mare su pali di legno, convivono realtà estremamente tradizionali, radicate nel territorio, e slanci quasi esplosivi, centrifughi, verso la dimensione globalista.
Venezia, come ora il Ticino, è stata nel Settecento una sovraffollata Repubblica dove hanno trovato modo di vivere e lavorare genti d'ogni razza. Venezia s'è dovuta misurare con culture, lingue, religioni, sovraccarichi di traffico d'ogni tipo, da ultimo quello delle grandi navi, e alla fine ha portato a casa un successo che resta un unicum nella storia. Tutto questo dev'essere inevitabilmente passato nel sangue di Schiavon alle prese con la nostra sovraccoperta ticinese: non si vive in una bella realtà glocal senza far propria questa sensibilità liberale e cosmopolita.
«In Ticino - ci racconta Schiavon - la prima cosa che mi ha catturato la fantasia è stato il riflesso delle città nei laghi. Sono quindi partito dall'idea del riflesso, o se vogliamo dalla riflessione su se stessi e sulla realtà. C'è un po' di Magritte in questa illustrazione e c'è un po' di Venezia: quel battello con la bandiera svizzera ricorda un vaporetto. E perché non dovrebbe? Anni fa alla Biennale ho visto un'installazione artistica: un battello del Tago, il fiume di Lisbona, trasportato in Laguna. Questo estendersi del mondo, delle relazioni e dei commerci, fin sotto casa nostra, e da casa nostra al mondo, e in egual misura il senso d'appartenenza vitale a un territorio: non è il Ticino? E il Ticino, non è il mondo?».
Solo un veneziano può uscirsene con una frase così, alla Hugo Pratt. «Centoventicinque anni di Corriere - prosegue Lucio - sono un viaggio nel tempo ma ancor più un rapporto con lo spazio fisico dei lettori. Io e Luciano Nardi della Kube Libre, l'agenzia con cui lavoro, ci abbiamo pensato parecchio. Alla fine, la mia illustrazione è, letteralmente, una semplice e frizzante ventata di aria fresca: come altro definire il rapporto con le notizie che ci arrivano dalla realtà intorno a noi e da quella che 'avvertiamo' dietro le montagne? Usare una fotografia, pur ritoccandola, sarebbe stato sbagliato: nella foto c'è tutto troppo in evidenza, è pornografica. In un'illustrazione risaltano invece i rapporti: è più poetica».
«Lucio ha ragione» ci dice Nardi, che di Kube Libre, compagnia con alle spalle molti anni di lavoro nella comunicazione internazionale, è il direttore creativo e il fondatore. «Questa del Corriere non è solo una festa di compleanno, è una festa di futuro. Abbiamo perciò osato, in queste sovraccoperte dalla tiratura limitata, operazioni che riserviamo solo a realtà talmente riconoscibili e familiari da potersi permettere di 'scherzare' con la loro identità. Con lo stesso carattere e stesso ingombro abbiamo cambiato il nome del Corriere con la sua età. Altro paragone: la donna in sovraccoperta non è un po' il LAC? Ogni volta che ci passo davanti lo vedo non come un edificio che si slancia nel lago ma come una proiezione in avanti di un mondo che si occupa d'arte. Un po', allora, come il Corriere, che lega i fatti col futuro di tutti noi».