Il processo

In aula il giallo della camera 501

Si apre il dibattimento sulla morte violenta di una giovane inglese provocata dal suo partner in una camera d’albergo a Muralto – Lui continua a negare di averla voluta uccidere – Il processo servirà anche a far luce sulla storia dei due amanti, lontani anni luce tra loro
© CdT/Chiara Zocchetti
Barbara Gianetti Lorenzetti
Mauro Giacometti
Barbara Gianetti LorenzettieMauro Giacometti
20.09.2021 06:00

«Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano. Qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano». Non è andata proprio come se l’era immaginata e cantata Lucio Dalla tra Anna e Marc (senza “o” finale). Lei, 22 anni, giovane e benestante donna inglese, è sepolta nella tomba di famiglia in un villaggio del Norh Yorkshire. Lui, palestrato e supertatuato trentenne tedesco, è in carcere a Lugano, rischiando di restarci ancora per molto tempo se sarà giudicato colpevole di assassinio nel processo che si apre oggi alle Criminali. La storia tra Anna e Marc s’è drammaticamente interrotta una notte di due anni e mezzo fa nella camera 501 dell’Hotel La Palma Au Lac di Muralto. Era il 9 aprile 2019 quando Marc, all’alba, piombò nella hall dell’albergo, concitato e confuso, urlando al portiere di notte che la sua amica era svenuta in bagno, stava male, non si muoveva più. Non stava male, Anna, stava morendo, soffocata dal suo boy friend in quello che lui, maschio alfa - sui social si firmava «Marc Dirtywhite» - ha sempre dichiarato fosse stata una disgrazia, un gioco erotico finito nel peggiore dei modi.

Due poli opposti
Il processo servirà anche a far luce sulla storia dei due amanti, travolti da un incontrollabile passione ma lontani anni luce tra loro. Lei di ottima famiglia, con un nonno famoso e un padre brillante manager, fino a 18 anni aveva condotto una vita esemplare e nell’agiatezza: studentessa modello in un prestigioso college privato inglese, un buon rapporto con la sorella maggiore e i genitori, soprattutto con la madre. Poi il dramma: la madre muore prematuramente, a causa di una caduta. La sua scomparsa sconvolge Anna, che da ragazza modello si trasforma in ribelle, svogliata, incostante. Si trasferisce in Germania da alcuni parenti e sui social diventa «Berlin Baby», ragazza giramondo alla costante ricerca del divertimento, della visibilità e dello sballo. È in una delle sue vacanze in Thailandia che conosce Marc, allora 29.enne, buttafuori in una discoteca del posto per arrotondare i suoi magri guadagni. Sposato con una zurighese, un figlio da mantenere, nonostante percepisse una rendita d’invalidità per un infortunio occorsogli come ascensorista, era sommerso dai debiti. Ma nella primavera del 2019 conosce appunto Anna, bella, disponibile e disposta a spendere e spandere con la sua carta di credito sempre ben fornita. Così Marc, dopo la passione che li travolge in Thailandia, invita Anna in Svizzera, per una vacanza sul Lago Maggiore, sempre molto scenografico quando si vuol far colpo. Alloggiati da qualche giorno al quinto piano dell’hotel La Palma, la coppia frequenta i ristoranti di Ascona e i negozi di Locarno. Naturalmente i conti li paga sempre Anna.

Certezze e indizi
È un processo indiziario dunque quello che comincia stamattina a Lugano. La versione di Marc, che fin dai primi interrogatori, dopo aver lanciato l’allarme per gli inutili soccorsi alla partner, ha sempre escluso la sua volontà omicida, si scontra con la tesi della procuratrice pubblica, Petra Canonica Alexakis, che nell’atto d’accusa parla di assassinio e in via subordinata di delitto colposo o non intenzionale. Il movente? Futile, economico, per certi versi agghiacciante. Marc non amava Anna, la sfruttava. Secondo le risultanze dell’inchiesta, gli interrogatori dei testimoni e soprattutto la carta di credito della giovane donna rinvenuta nascosta nell’ascensore dell’albergo (l’imputato conosceva bene gli ascensori), lui cercava solo di prosciugarle il conto corrente. Perché la giovane donna che apparteneva ad una ricca famiglia inglese, poteva disporre di molto denaro e quando lei si ribellò, rifiutandosi di farsi ulteriormente spennare da quel focoso amante conosciuto qualche settimana prima in Thailandia, lui l’avrebbe uccisa. Oltretutto per poche decine di migliaia di franchi, ha stabilito l’accusa, dopo che la carta di credito della vittima era stata appena alimentata con 30 mila franchi donati da uno zio. Ma ad avvalorare la tesi dell’omicidio, nell’atto di accusa a carico di Marc c’è anche una lunga serie di illeciti precedenti all’incontro con la vittima e commessi in Svizzera interna: ripetuta falsità di documenti, truffa all’assicurazione invalidità fino ad un aggressione con pestaggio.

Analisi e perizie
Il processo doveva svolgersi lo scorso primo luglio, ma un supplemento di accertamenti chiesti dal presidente della Corte, Mauro Ermani, su alcune macchie di sangue già repertate, ha fatto slittare il dibattimento. Le analisi ematiche commissionate all’Università di Zurigo, però, non hanno portato nulla di nuovo: troppo degradate le macchie di sangue per poter stabilire con esattezza se sono della vittima, dell’imputato o di una terza persona. Così la Corte, coadiuvata anche da sei giudici popolari, dopo aver già esaminato la copiosa documentazione agli atti (sei faldoni), ascoltando l’imputato, difeso da Yasar Ravi e Luisa Polli, piuttosto che le conclusioni della pubblica accusa e le argomentazioni di Maria Galliani, che rappresenta la famiglia della vittima, dovrà decidere se credere o meno che il delitto di Muralto sia ignobile o imperfetto. Di sicuro Anna è morta e sepolta e Marc non l’ha certo presa per mano per camminare insieme.

Un «Murder Mystery» super mediatizzato

Aveva tutti gli ingredienti per diventare una notizia da prima pagina e da migliaia di clic sui siti d’informazione, il cosiddetto «giallo di Muralto». E così è puntualmente stato, tanto da risollevare in Ticino un tema che ricorre a scadenze regolari. Ogni volta, cioè, che si verifica un fatto di cronaca la cui portata fa sì che se ne parli ampiamente anche all’estero. Dove non vigono le nostre stesse regole e dove identità di vittime e presunti autori, immagini e dettagli d’inchiesta sono oggetto di regole meno ferree di quelle svizzere, finendo spesso pubblicati senza remora alcuna. È quanto accaduto, dunque, anche per il caso muraltese, che è rimbalzato in poche ore su colonne e siti di tutto il mondo. Particolarmente coinvolti, ovviamente, i media inglesi, che – come sempre capita con vicende di questo genere – si sono divisi fra quelli che hanno mantenuto un profilo decisamente «british» (come The Times o la BBC) e quelli che non hanno taciuto nulla (con come capofila i tabloid The Sun e The Mirror).

Il dilemma delle identità
Il che in Ticino ha riaperto l’eterno dilemma legato alle identità dei protagonisti dei fatti di cronaca nera, taciute da noi (per rispettare le disposizioni del Codice di procedura penale), ma riportate (e, dunque, immediatamente disponibili anche per il lettorato del cantone) dai portali esteri. Nell’aprile del 2019 due siti di informazione ticinesi ne hanno seguito l’esempio, incorrendo in una condanna per «pubblicazione di deliberazioni ufficiali segrete». Uno dei cronisti ha però deciso di ricorrere e il caso è dunque finito nell’aula della Pretura penale. Il dibattimento ha visto sui due fronti il procuratore generale Andrea Pagani e l’avvocato difensore Mattia Tonella. La giudice Sonia Giamboni ha, alla fine, accolto la richiesta di proscioglimento avanzata da quest’ultimo. Secondo il magistrato, infatti, il Ministero pubblico non è riuscito a dimostrare che le informazioni svelate dal sito (nome e foto della vittima) sarebbero state ottenute da un documento istruttorio.