In aula l’ultimo incidente al passaggio a livello

Quasi nessuno ricorderà cosa accadde a Lugano il 4 settembre del 2020. Chi invece questa data farà fatica a togliersela dalla testa è il 52.enne che poco dopo le 9 del mattino rimase intrappolato con la propria auto – poi urtata da un treno merci proveniente da sud – tra le barriere dell’ormai ex passaggio a livello che collegava via Maraini con via Basilea, nell’area della stazione FFS. L’incidente (il terzo in nove mesi, ndr) non provocò feriti, ma il caso è finito venerdì in Pretura penale con un decreto d’accusa nei confronti dell’uomo per perturbazione del servizio pubblico per negligenza e infrazione alle norme della circolazione. Decreto stilato dall’ex procuratore pubblico Arturo Garzoni e sposato quasi interamente durante la lettura della sentenza dalla giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti (scriviamo quasi, perché il primo reato è stato derubricato in perturbamento di pubblici servizi per negligenza), che gli ha inflitto una pena pecuniaria sospesa. L’esatta dinamica dei fatti era nota a pochi, e per descrivere la vicenda con le parole della difesa, si tratta di «una storia con una grande prontezza di spirito».
La corsa incontro al treno
Sono circa le 9 di venerdì mattina. L’imputato deve recarsi a Besso e imbocca il passaggio a livello da via Maraini. Nel momento in cui si trova tra le due barriere si accorge del segnale lampeggiante rosso che ne indica la chiusura. «Ho visto abbassarsi la sbarra su via Basilea, ho fatto retromarcia ma si è chiusa contemporaneamente anche quella su via Maraini – racconta l’uomo in aula –. Sono sceso dall’auto e ho chiesto aiuto per alzare una delle due barriere, ma essendo di ferro non c’era modo né di alzarle né di romperle con la macchina. Allora ho iniziato a correre incontro al treno che stava giungendo da sud per farmi vedere dal macchinista così che azionasse il freno di emergenza. Se fosse stato un treno passeggeri, non so cosa sarebbe potuto succedere». Come noto, la macchina è stata urtata e distrutta da un treno merci proveniente da Paradiso. «Per rimuovere l’auto ci sono volute più di due ore» e il traffico ferroviario è rimasto perturbato tanto da richiedere l’intervento di bus sostitutivi. Ed è proprio su questi ultimi punti che entra in gioco la difesa, che per bocca dell’avvocato Stefano Perucchi ha contestato fermamente l’accusa di perturbamento del servizio ferroviario per negligenza. Il motivo? Le barriere del passaggio a livello sono controllate dalla sede delle FFS a Bodio, non a Lugano. «Se fossero state controllate da Lugano, il tutto si sarebbe concluso in 15 minuti, non in oltre 2 ore, evitando così i disagi».
«Trappola senza uscita»
Ma quando si è scoperto che le barriere del passaggio a livello erano controllate in Leventina? Sono stati gli stessi pompieri delle FFS, che una volta giunti sul posto dopo l’incidente hanno riferito all’imputato che non erano in grado di rimuovere la macchina perché le sbarre erano controllate dalla sede delle FFS di Bodio. «Così abbiamo dovuto aspettare che qualcuno si recasse lassù e schiacciasse il pulsante per l’innalzamento delle barriere – ha detto Perucchi –. L’attesa di due ore è dovuta solo a questo e non a problemi di rimozione dell’auto». Il patrocinatore dell’uomo ha rilevato che «quando sento queste cose mi sembra di vivere nell’Ottocento. Inspiegabilmente i pompieri delle FFS non sono in grado di sbloccare il passaggio a livello principale di Lugano, il più trafficato. I ritardi che ci sono stati sulla linea ferroviaria non possono essere imputati al mio assistito, se mai alla disorganizzazione delle Ferrovie federali svizzere in caso di emergenza». Quella mattina del 4 settembre 2020 l’uomo si è trovato «in una trappola, ma ha cercato di avvisare del pericolo il macchinista del treno merci – che non ha subito danni – andandogli incontro. Ha avuto una grande prontezza di spirito, non è stato con le mani in mano. Inoltre, le FFS hanno pensato bene un paio di settimane dopo l’incidente di smontare le barriere in ferro e mettere quelle di alluminio». In ogni caso, la giudice ha confermato l’accusa di infrazione alle norme della circolazione perché «ha omesso di arrestarsi prima della sbarra», mentre ha derubricato l’accusa principale perché «non ha messo in pericolo la proprietà altrui (le Ferrovie, ndr)», anche se «ha comunque perturbato il traffico ferroviario».