In aula per un impero conteso: di chi sono quei 70 milioni?

Per anni, dal 2010 in avanti, ha amministrato due società (una svizzera, l’altra panamense) gestito un patrimonio immobiliare dal valore di svariati di milioni di euro, incassato affitti e svolto transazioni finanziarie sui propri conti luganesi. Compiti, questi, svolti non come semplice amministratore bensì in veste di vero e proprio avente diritto economico. Fin qui tutto bene, se non fosse che la vicenda approderà il prossimo 26 maggio davanti a una Corte delle assise criminali. Il problema, di qui l’inchiesta penale sfociata appunto in due rinvii a giudizio, sta nel fatto che colui che afferma di essere il vero proprietario di questo impero, un 92.enne imprenditore italiano, sostiene di aver incaricato il nipote di amministrare i suoi beni. Quest’ultimo, un 53.enne cittadino italiano, afferma invece che il tutto gli sarebbe stato donato dallo zio stesso e che quindi ora sarebbe suo.
L’inchiesta penale, aperta nel 2019, ruota principalmente attorno a una serie di documenti con la firma dell’anziano imprenditore, per esempio per aprire dei conti bancari. E su uno in particolare: un foglio che attesterebbe la presunta donazione. Presunta perché la firma apposta, secondo lo zio, sarebbe falsa mentre il nipote la ritiene l’autentica. A dirimere la questione sarà la Corte presieduta dal giudice Paolo Bordoli (a latere Chiara Ferroni e Renata Loss Campana).
Un decreto di abbandono
Per arrivare a processo ci sono voluti ben sei anni e tre ricorsi alla Corte dei reclami penali; uno dei quali ha portato, nel 2022, all’annullamento di un decreto di abbandono firmato dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti. Le indagini sono partite dopo che l’anziano imprenditore, tra il 2016 e il 2017, si era insospettito in quanto non riusciva a ottenere, nonostante numerosi solleciti, i rendiconti delle sue aziende. Parliamo di un patrimonio ingente: basti pensare che lo zio accusa il nipote di essersi impossessato del pacchetto azionario di una società svizzera, proprietaria di un palazzo in pieno centro di Milano dal valore di circa 50 milioni di euro.
Documenti e perizie
Stando quanto ricostruito nell’atto d’accusa, il presunto raggiro sarebbe stato ordito con la complicità di un ex fiduciario ticinese 58.enne, già noto alle cronache giudiziarie per essere stato condannato nel 2021 in Italia, in prima istanza, a 4 anni per un maxi-raggiro nell’ambito dell’importazione di carburante. Quest’ultimo, difeso dall’avvocato Emanuele Stauffer, è accusato di amministrazione infedele aggravata, appropriazione indebita e falsità in documenti. Il 53.enne, difeso dall’avvocato Davide Ceroni, è invece accusato di istigazione all’amministrazione infedele, appropriazione indebita, istigazione all’appropriazione indebita e falsità in documenti. Rigamonti chiederà pene inferiori a cinque anni. Entrambi si professano innocenti: il nipote sostiene che è stato proprio lo zio a donargli il suo impero. Centrali in questa vicenda sono sia il documento citato poc’anzi – per sostenere la falsità della firma del 92.enne i suoi patrocinatori, gli avvocati Giampiero Berra e Marco Vito Scarvaglieri, fanno leva sulla perizia giudiziaria ordinata dalla Procura che lo dimostrerebbe – sia una serie di altri documenti, accertati come falsi. Tra vendite di immobili in Corsica e a Lugano, incassi di affitti, transazioni finanziarie e il valore del palazzo milanese, l’ammontare delle presunte malversazioni ammonta a circa 70 milioni di euro: cifra che lo zio, oggi praticamente al verde, chiede come risarcimento al nipote.