Il dibattito

«In futuro dovremo intervenire sui branchi per regolare la specie»

Due esperti si confrontano sul tema della convivenza tra uomo e lupo – Federico Tettamanti: «L’abbattimento è parte intergrante di questo concetto» - Raphaël Arlettaz: «La natura sa regolarsi da sola ma l’uomo deve recuperare l’antica tradizione del pastore»
©CdT/Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
20.05.2022 06:00

«Ma quale convivenza?». Armando Donati taglia corto. A rafforzare la sua tesi - dice - c’è la tabella excel che cita quasi a memoria, con il numero dei capi predati nel 2022 dal lupo. «30 marzo, 4 pecore a Cerentino. 11 aprile, 1 pecora in val Morobbia. 12 aprile, 13 pecore a Novazzano. 19 aprile, 1 capra in val Pontirone, 26 aprile, 19 pecore a Cerentino». Totale: 38 capi uccisi da inizio anno. «Senza contare le dieci pecore predate in Val Rovana e Leventina che due allevatori non hanno annunciato al Cantone. Sa perché? Perché sono scoraggiati. Ed è quello che mi fa più tristezza. Altro che convivenza uomo lupo». Se si vuole evitare la fine dell’allevamento ovicaprino di montagna, prosegue Donati, bisogna intervenire «perché i lupi crescono mentre gli alpeggi diminuiscono». Dati alla mano, il presidente dell’Associazione per la Protezione del territorio senza grandi predatori ammonisce: «Negli ultimi dieci anni, dal 2011 al 2021, il 30% degli alpeggi caricati a ovini sono stati abbandonati. Quelli caricati a capre sono diminuiti del 20%. Sa perché? Perché la gente è stufa. Stufa di vedere le proprie bestie fare quella fine. Non è questione di risarcimenti».

Cosa dicono i numeri?

Non sarà una questione di risarcimenti, ma le predazioni del lupo sull’attività dell’allevamento ovicaprino quanto pesano realmente? Secondo la statistica dei pagamenti diretti, in Ticino, nel 2020 si contavano 11.697 pecore e 10.289 capre, per un totale di circa 22 mila capi. Quelli destinati agli alpeggi - spiega però Donati - sono 18 mila, 10 mila ovini e 8 mila caprini. Di qui, le conclusioni di chi ritiene che il dibattito vada inserito nel suo contesto numerico. Ossia, che la percentuale dei capi predati rispetto a quelli censiti risulta piuttosto esigua. Stesso discorso per gli indennizzi: dal rendiconto del Consiglio di Stato risulta che annualmente i danni per i capi predati dai lupi si aggirano fra i 10 mila e i 20 mila franchi, mentre quelli per i danni da ungulati si avvicinano al milione di franchi. Una differenza piuttosto cospicua che dovrebbe dare la reale dimensione del problema e, in un certo senso, legittimare anche la domanda di fondo: la convivenza tra uomo e lupo è possibile? A quali condizioni? E poi ancora: l’abbattimento del lupo rientra in questo concetto di convivenza?

Il compromesso

«C’è chi pensa che l’attività dell’uomo sia prioritaria sulla natura. E chi, invece, ritiene il contrario. Per trovare un equilibrio occorre che tutte le parti interessate - contadini, allevatori, cacciatori e ambientalisti - trovino un compromesso», commenta al CdT Federico Tettamanti, biologo e CEO di Studio Alpino. Un compromesso che secondo il nostro interlocutore deve passare anche dall’abbattimento: «I lupi non sono tutti uguali. Ci sono quelli schivi che vivono lontano dalle attività umane e quelli che, per indole, si avvicinano alle greggi e le attaccano». In questo senso, «il concetto di abbattimento fa parte dell’idea di convivenza». Impostare il dibattito pubblico attorno al concetto di abbattimento, osserva Tettamanti, non è del tutto corretto. La legge, del resto, autorizza l’intervento dell’uomo proprio in presenza di un esemplare problematico. Non solo. Tettamanti si spinge oltre: «Oggi il lupo si sta espandendo ma in futuro, giocoforza, si dovrà ragionare sulla necessità di regolare la specie». Ancora Tettamanti: «Una volta che i lupi avranno occupato i loro spazi vitali, si dovrà intervenire anche sui branchi, nonostante questi non abbiano prodotto danni». Una posizione forte con cui il Paese, presto o tardi, sostiene Tettamanti, dovrà confrontarsi. «Il lupo non ha minimamente colonizzato tutti territori ancora disponibili. È giusto che lo faccia e che crescano popolazioni sane di lupi. Ma sarà anche necessario una gestione attiva della sua presenza sul territorio». Una posizione che collima solo in parte alla posizione dell’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori: «Servono abbattimenti preventivi», ha dichiarato Donati (vedi box a destra).

L’anomalia e la regola

Decisamente più sfumata la lettura di Raphaël Arlettaz, professore di biologia della conservazione all’Università di Berna: «Oggi abbiamo l’impressione che il ritorno del lupo sia un’anomalia. Ma non è così. La vera anomalia è stata l’assenza del lupo per un secolo intero». Oggi, il lupo è tornato, perché sono tornate le sue prede naturali - il cervo e il capriolo - che erano completamente sparite dalle Alpi svizzere. Secondo Arlettaz, tuttavia, la convivenza tra uomo e lupo non può passare dalla canna di un fucile, ma dal recupero di quella tradizione che ha sempre accompagnato gli allevatori dalla notte dei tempi: «Dobbiamo recuperare un sapere tanto semplice quanto ancestrale. Ovvero, il fatto che la coesistenza tra uomo e lupo, da sempre, si regge su una triade: la presenza dell’allevatore al pascolo, la presenza di alcuni cani da gregge e la presenza di una stalla in cui proteggere gli animali di notte». La tradizione del vago pascolo sugli alpeggi, secondo Alrettaz, è un’invenzione del secolo scorso, quanto il lupo, appunto, era fuggito dai nostri territori. «Questa è l’anomalia e non la tradizione, come invece ripetono, a torto, i nostri contadini». Secondo Arlettaz, la legge che autorizza l’abbattimento diventa quindi uno strumento «temporaneo», in attesa che si recuperi la vera tradizione, «l’unica che consente di gestire la convivenza tra uomo e lupo». È chiaro, fa però notare Arlettaz: «Il mio sguardo è quello del biologo della fauna, per il quale il lupo ha un posto preciso all’interno dell’ecosistema. Se il lupo si riproduce, vuole dire che ha una sua collocazione. Se il lupo c’è, è perché ci sono il capriolo e il cervo. Che sono le sue prede naturali. E non gli ovini, che invece attacca in maniera del tutto occasionale». Per Arlettaz, questo rimane un concetto chiave: «Il lupo non può riprodursi se non in armonia con le sue prede. È una legge della natura che ne garantisce l’equilibrio». Per proteggere le greggi, ribadisce ancora Arlettaz, bisogna fare quello che hanno fatto i nostri antenati per secoli «e laddove possibile affidarsi alla tecnologia, per esempio, con sistemi di monitoraggio delle mute». Una conclusione in parte condivisa anche da Tettamanti, per il quale però «gli allevatori vanno aiutati, perché il ritorno del lupo non può ricadere unicametne sulle loro spalle». Cantone e Confederazione devono stare al loro fianco, «non tanto attraverso gli aiuti che già oggi esistono, ma anche con figure disposte ad accompagnare il cambiamento», conclude Tettamanti. Magari verso una nuova tradizione.

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