Lavoro e società

In Ticino parità uomo-donna ancora lontana, soprattutto sul lavoro

L’USTAT ha pubblicato un aggiornamento dei dati sulle pari opportunità - Le differenze di genere sono tuttora molto evidenti: «Prevalgono modelli sociali tradizionali» - Nel nostro cantone meno di una donna su sette esercita funzioni di responsabilità o è dirigente
In Ticino, la parità di genere nelle professioni e nei salari è ancora lontana. ©Carlo Reguzzi
Dario Campione
24.04.2024 06:00

Lavoro, salute, politica. E molto altro. Misurare la parità tra uomo e donna - ma sarebbe forse più corretto parlare delle disuguaglianze - significa transitare attraverso un numero impressionante di parametri. Rivelatori di differenze (e veri e propri divari) spesso difficili da colmare, quantomeno in assenza di una volontà precisa che si muova nella giusta direzione.

L’Ufficio statistico del Cantone (USTAT) ha pubblicato l’altroieri sul proprio sito l’aggiornamento 2024 delle «Cifre della parità online», uno sguardo molto ampio e dettagliato grazie al quale è possibile farsi più di un’idea sullo stato dell’arte delle «pari opportunità».

Numeri e tabelle rivelano, ancora una volta, una società binaria, a due velocità. Un sistema, ad esempio, in cui gli uomini guadagnano di più e occupano molti più posti di comando delle donne.

«Nel settore privato - scrivono i ricercatori dell’USTAT - le donne risultano avere salari più bassi del 13% rispetto agli uomini, per un totale di 719 franchi in meno al mese. Nell’ambito pubblico, i salari sono più alti e la differenza salariale in proporzione è minore, ma nemmeno questo settore è risparmiato dal fenomeno. Infatti, la differenza tra i salari maschili e femminili è pur sempre del 7,7% e corrisponde a circa 577 franchi».

Altro esempio: le statistiche permettono di osservare, in modo chiaro, il fenomeno della cosiddetta «segregazione verticale», ovvero la «differenza di carriera tra i generi». In Ticino, «meno di una donna su sette (il 14,8%) esercita una funzione di responsabilità o è membro di direzione, mentre oltre un uomo su quattro (il 27,5% del totale) occupa queste posizioni. Al contrario, le donne occupano più spesso degli uomini posti senza funzione di responsabilità (il 69,5% contro il 50,9%) e lavorano meno come indipendenti (13,7% contro 19,7%)».

Altro dato interessante: «Più della metà delle donne (il 57,7%) lavora a tempo parziale a fronte di meno di un uomo su cinque (il 18,7%). La partecipazione delle donne al mercato del lavoro, espressa mediante il tasso di attività, è simile a quella degli uomini soltanto fino ai 30 anni, dopodiché - complice anche l’arrivo dei figli - diminuisce e resta sempre inferiore a quella maschile».

E tuttavia, più che una scelta, il part-time sembra essere una necessità, una sorta di strada obbligata per gran parte delle donne. «I motivi che spingono uomini e donne a lavorare a tempo parziale sono molteplici» e, soprattutto, «differenti», si legge nella ricerca dell’USTAT. Soltanto il 19,7% delle donne, ad esempio, dice di «non essere interessato» a un impiego a tempo pieno. Il 25,9% deve farlo per curare i figli, e il 15,4% perché non ha trovato un’alternativa. È nitida, in questo senso, la fotografia di un sistema che tuttora incasella, più o meno deliberatamente, i generi in ruoli predeterminati: la donna a casa e l’uomo al lavoro. «Il tempo ridotto, in alcuni casi, può essere una scelta voluta e una buona soluzione per conciliare gli impegni lavorativi e familiari, ma non tutte le persone occupate a tempo parziale sono soddisfatte del loro grado d’occupazione - scrivono ancora i ricercatori dell’USTAT - Alcune vorrebbero lavorare di più e vivono una situazione di sottoccupazione, fenomeno che interessa circa due persone occupate a tempo parziale su dieci. In oltre due terzi dei casi, queste persone sottoccupate sono donne».

D’altronde, le coppie ticinesi con figli tuttora «adottano in maggioranza (attorno al 42%) il modello “neo-tradizionale”, in cui l’uomo lavora a tempo pieno e la partner a tempo parziale, seguito dal modello “tradizionale” che vede occupato professionalmente unicamente l’uomo (tra il 25 e il 29% dei casi, a seconda dell’età dei figli). Tra le coppie senza figli, invece, in oltre la metà dei casi lavorano sia la donna sia l’uomo a tempo pieno». Un modello, come si vede, ancora troppo penalizzante per le donne. Per quanto, dice l’USTAT, «il confronto tra le situazioni nel 2000 e nel 2022 mostra una diminuzione del modello “tradizionale” e una crescente adesione al modello “neo-tradizionale”». In aumento pure i casi in cui entrambi i genitori lavorano a tempo pieno».