Il dibattito

Inflazione, visioni e ricette diverse per tutelare i salari

Per Edoardo Beretta (USI) bisognerebbe intervenire solo dopo che i prezzi si sono fermati - Sergio Rossi (UNI Friburgo): «Ma è ora il momento per recuperare quanto è andato perduto negli ultimi anni»
© CdT/Gabriele Putzu
Generoso Chiaradonna
03.10.2022 06:00

«I segnali di un ritorno dell’inflazione in grande stile erano già presenti alla fine del primo lockdown all’inizio dell’estate del 2020 ed erano tutti segnali legati all’aumento della domanda», afferma Edoardo Beretta, professore titolale all’Istituto di economia politica dell’Università della Svizzera italiana. «Tanti soggetti economici (famiglie, consumatori e imprese) durante la fase più acuta dell’epidemia di Covid-19 hanno dovuto ridurre i consumi. Ora questi soggetti esercitano una domanda di recupero su beni e servizi di cui si sono privati nei mesi scorsi», afferma il professor Beretta che precisa: «Nello stesso tempo l’offerta dei produttori non è stata in grado di soddisfare la maggiore domanda, frenata com’era dai colli di bottiglia nella filiera produttiva internazionale. Colli di bottiglia dovuti anch’essi ai vari lockdown in giro per il mondo».

Siamo in un mare agitato

Ma nel frattempo si è aggiunta una crisi geopolitica (l’invasione russa dell’Ucraina) che ha fatto aumentare i costi delle materie prime che alimenta un’inflazione da offerta che si riflette in prezzi di vendita più alti dei beni di consumo. Non sarebbe corretto adeguare i salari e pensioni al tasso d’inflazione? «Fermo restando che è necessario garantire la capacità di spesa di lavoratori e pensionati», spiega Beretta, «questo non può avvenire con un meccanismo automatico che trasmette integralmente gli aumenti dei prezzi ai salari. È il modo migliore per alimentare la spirale prezzi-salari con i secondi che alimentano i primi e viceversa».

Ma in questo modo i salari rimarrebbero fermi al palo e il potere di acquisto drasticamente diminuito? Come recuperarlo? Con diminuzioni dell’Iva, per esempio? «Anche tagliare le aliquote IVA su base temporanea non serve a molto. Un altro conto sono le diminuzioni delle imposte sul consumo in modo permanente. I prezzi, come si dice tecnicamente, sono collosi al ribasso e fluidi al rialzo. Cioè aumentano velocemente, ma diminuiscono molto lentamente. In un mare agitato, come è l’inflazione, non bisogna agire d’istinto. Per questo mi sento di dire che è corretto tutelare il potere di acquisto dei salariati, ma questo dovrebbe avvenire soprattutto a mare calmo. Sarebbe quindi molto meglio attendere che la fiammata inflazionistica dia segnali di frenata e principalmente in seguito, nell’ambito della contrattazione collettiva dei singoli settori, le aziende che sono in grado di riconoscere aumenti salariali dovranno farlo. Con prudenza nell’immediato e con maggiore vigore e regolarità (cioè non una tantum) in seguito».

La Banca nazionale ha riportato i tassi in territorio positivo. Al di là degli effetti che ciò avrà sulla politica monetaria, come inciderà sui risparmiatori?

«In questi anni il risparmio del ceto medio ha sofferto. Non bisogna sottovalutare l’impatto che ha sulla mitigazione della perdita del potere di acquisto il ritorno a una remunerazione, per quanto sia minima, del piccolo risparmio. L’inflazione si alimenta, o si raffredda, anche con le aspettative. E i segnali di un ritorno a una normalità monetaria vanno anche in questa direzione».

Conviene anche alle aziende

Che i salari debbano essere adeguati al rincaro ne è convinto il professor Sergio Rossi, ordinario di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo. «Le aziende incassano nel mercato dei prodotti quanto spendono nel mercato del lavoro. È perciò anche nell’interesse delle aziende colmare il potere di acquisto perso dai lavoratori in questi anni e acutizzatosi negli ultimi mesi», commenta il professor Rossi.

La tesi prevalente è che accettando integralmente le richieste di aumenti salariali si alimenti la spirale inflazionistica. È d’accordo? «No, non sono d’accordo per vari motivi. Per prima cosa chiederei agli imprenditori, soprattutto ticinesi, se in coscienza negli anni scorsi hanno versato salari corretti, vale a dire che corrispondono alla produttività del lavoro, che è aumentata a seguito del progresso tecnico e anche dell’esperienza cumulata negli anni dai lavoratori, una parte dei quali ha seguito un percorso di formazione continua. E per salari corretti intendo anche quelli che sono in grado di far vivere dignitosamente un lavoratore e la sua famiglia in Ticino senza chiedere aiuti pubblici. Ho piuttosto l’impressione del contrario e cioè che i dirigenti aziendali abbiano – almeno in determinati settori – cercato di tenere le retribuzioni le più basse possibili per massimizzare i profitti».

Non tutti i settori economici e tutte le aziende sono in grado di compensare l’intero carovita. Come intervenire?

«All’interno delle imprese c’è una stratificazione retributiva con differenze salariali spesso elevate tra i dirigenti e i loro collaboratori. Si potrebbero diminuire gli stipendi più elevati per aumentare quelli più bassi senza intaccare la massa salariale. Sarebbe un modo per evitare che le retribuzioni più basse siano ridotte ulteriormente nel prossimo futuro».