John Wayne e quel treno a Chiasso
La storia che vogliamo raccontarvi ha molto del surreale e moltissimo dell’incredibile. Ma come, John Wayne a Chiasso? Immortalato in una fotografia? È una storia, come la definisce Flavio Stroppini, autore di testi teatrali e non solo, «a metà tra leggenda e realtà». Deformata dal passaparola, accarezzata ed esaltata nei racconti. Come quello dello stesso Stroppini, risalente a un’edizione di ChiassoLetteraria di qualche anno fa. L’autore narra una vicenda che ruota attorno all’attore statunitense e a un uomo, Carlo Brunati, che a Chiasso ce lo condusse. Siamo nel pieno dell’età dell’oro della cittadina, nel 1963, quando Chiasso era un po’come «il Klondike alla fine dell’800»: nella città di confine era facile arricchirsi per strada, non sempre rispettando i vincoli della legge. Prosperità era la parola d’ordine. Arraffoni, contrabbandieri e faccendieri la fin troppo logica conseguenza.
Carlo Brunati era in un certo senso figlio del suo tempo. «Un cialtrone stupendo, che ogni tanto tornava con molti soldi», così Stroppini. Cosa non rara, all’epoca. Faceva di tutto: da ferroviere che era si riscoprì assicuratore, poi discografico (ha stampato dischi di cantautori poi finiti nel dimenticatoio), aveva persino una carta da visita che recitava «Console della Costa Rica». Cambiava di giorno in giorno, con una costante: era un grande, affascinante venditore. Così lo ricordano Stroppini e Franco Ghielmetti, artista attivo nell’organizzazione di ChiassoLetteraria. Ghielmetti poi Fagiano Dorato – questo l’appellativo dato a Brunati in virtù della capigliatura biondo platino – l’ha conosciuto davvero: «Era un faccendiere in quella Chiasso dell’inizio degli anni Settanta, dove tutto era permesso». Fu lui ad accompagnare Wayne nella cittadina di confine: l’attore, che all’epoca si trovava a Roma, a Cinecittà, per valutare la realizzazione del film «Combattenti della notte», voleva acquistare un Maggiolino sfuggendo alle complicanze fiscali di Milano. «Fagiano Dorato accolse Ringo Kid a Milano, lo portò a Chiasso. Risolsero la faccenda Maggiolino e in un qualche modo saltò fuori la storia che all’attore americano piacevano le locomotive», scrive Stroppini. Il suo obiettivo era aggiungere qualche modello europeo alla collezione, nella sua villa di Los Angeles, ricorda Ghielmetti. Desiderio esaudito (almeno in parte): Brunati gli mostrò una locomotiva, e da lì nacque la mitica fotografia, ora appesa alle pareti del ristorante Carlino di Chiasso. Si narra che a scattarla fu un ferroviere/fisarmonicista di Balerna.
Fa strano oggi, quasi sessanta anni dopo, ripensare a un’epoca che rese Chiasso non solo splendida, ma anche incredibilmente attraente, da entrambe le parti del confine. Un terreno più che propizio per l’indisturbato proliferare di traffici e contrabbando. «C’erano persone che, dalla mattina alla sera, si ritrovavano con migliaia di franchi in tasca facendo qualche passaggio particolare», così Stroppini: «Se sente i racconti di chi conosceva la Chiasso degli anni Settanta, vedrà: c’era gente che da un giorno all’altro aveva due automobili». Il confine era una «miniera a cielo aperto» a cui tutti attingevano, ognuno a suo modo. Brunati non faceva eccezione: uomo dai mille progetti e con altrettante conoscenze (portò Mina a Chiasso quando il suo nome ancora non valeva oro), tendeva ad approfittare un po’ di tutti. Girava su automobili sportive e non si lasciava scoraggiare dalle iniziative che fallivano sul nascere. Chissà che cosa ha convinto John Wayne a fidarsi e a venire con lui. Peccato che le fotografie non possano parlare.