La battaglia di un padre

Storia di una decisione – rivista pochi giorni dopo – che cambia la vita di un padre. Il quale ora ha deciso di lottare per far sì che cose del genere non accadano più o che, per lo meno, non accadano con quella che per lui è stata una fatale leggerezza, superficialità. «C’è molta emotività, scusami». La voce di Stefano – 38.enne residente nel Mendrisiotto, professionalmente attivo in una posizione che richiede moralità ineccepibile e formazione anche pedagogica, allenatore di calcio giovanile e, soprattutto, papà di due figli ormai adolescenti – lascia trasparire uno stato d’animo a volte combattuto, ma anche combattente.
Stefano ha infatti deciso di lottare: «Il mio obiettivo non è quello di riportare in Svizzera i miei figli, ma è quello di migliorare il sistema». Già, perché il 38.enne ha intrapreso una vertenza legale per far sì che «certe cose non avvengano più». Al centro v’è una decisione – modificata poco più tardi – dell’Autorità Regionale di protezione 1 di Chiasso che ha, di fatto, cambiato la sua vita. Tutto nasce da un matrimonio che sia avvia verso la fine, un’unione che ha portato alla nascita di due figli. Tra dicembre 2019 e marzo 2020 v’è l’accordo di divorzio e alla madre viene data la custodia. Il padre mantiene comunque l’autorità genitoriale. Un anno più tardi, «mi accorgo che stava cambiando qualcosa nel comportamento dei miei figli», ci racconta Stefano, il quale decide di scrivere all’ARP e segnalare «problemi di comunicazione con la mia ex moglie: percepivo malessere e mancanza di condivisione.
I miei figli avevano cambiato atteggiamento nei miei confronti». Un distacco ravvisato anche dai servizi che si attivano in questo genere di situazioni, come ad esempio l’Ufficio dell’aiuto e della protezione (UAP), nonché il consultorio Coppia Famiglia. «Dopo gli incontri l’UAP ha rivelato che i miei figli avessero un conflitto di lealtà nei miei confronti e che avevano già interiorizzato una partenza in Francia». Un segnale, quest’ultimo, «probabilmente sottovalutato».
Sistemare le relazioni
Si arriva ad agosto 2021, mese in cui giunge una prima sentenza: «Prima di essere autorizzato un trasferimento in Francia vanno sistemate le relazioni e deve essere presentato un chiaro progetto educativo». A seguito della decisione – ci spiega Stefano – i rapporti con i figli si complicano ulteriormente: «Cercavo di incontrarli ma venivo ricattato: i miei figli mi dicevano che se non gli avessi permesso di andare in Francia non ci saremmo visti». La situazione, a questo punto, si fa ancora più delicata.
A tal punto che nel febbraio del 2022 il Servizio Medico Psicologico accetta di occuparsi del caso. Nel frattempo giunge una nuova richiesta di trasferimento inoltrata dalla madre. Ed è questo il punto focale: «A lavori ancora in corso arriva la decisione». Il 6 luglio 2022 l’ARP1 autorizza il trasferimento dei minori in Francia unitamente alla madre. Una decisione immediatamente esecutiva. Il 14 luglio – dopo un’istanza di modifica della decisione inoltrata dal padre – il presidente dell’ARP1 modifica la decisione specificando che la stessa «non è immediatamente esecutiva», concedendo dunque l’effetto sospensivo. Nel frattempo, però, i figli non sono più in Svizzera, sono partiti. «Con la partenza dei minori in un'altra nazione europea la Svizzera perde così ogni competenza del caso – annota –. Non è inoltre stato concesso il tempo necessario ai servizi preposti per migliorare le relazioni».
Si va in tribunale
Stefano, il 28 luglio 2022, decide quindi di denunciare ARP1 per abuso d’autorità e coazione. Nemmeno una settimana dopo il Ministero pubblico, nella figura del sostituto procuratore generale Moreno Capella, emana un decreto di non luogo a procedere, non «riscontrando alcun elemento di rilevanza penale», si legge nel documento. Il padre non ci sta e, senza l’ausilio di un legale, impugna la decisione davanti alla Corte dei reclami penali. Tribunale d’appello che, il 3 febbraio di quest’anno, annulla il decreto d’abbandono.
Tra le motivazioni, il presidente della Corte Nicola Respini ravvisa: «L’inchiesta che non ha esperito alcun atto istruttorio è carente e la fattispecie merita ulteriori approfondimenti». Ciò anche a fronte «della palese contraddizione tra la decisione del 6 luglio e l’ordinanza del 14 luglio che ripristina l’effetto sospensivo». Tutto da rifare, insomma.
Le posizioni non cambiano
Seguono quindi nuovi scambi epistolari, prese di posizione delle parti coinvolte. Approfondimenti. ARP, in questo caso, mantiene la propria linea: «Teniamo a precisare che la decisione adottata è stata emanata dopo approfondita valutazione della fattispecie – si legge nella presa di posizione dello scorso aprile – e nella piena convinzione di tutelare al meglio i minori».
Stefano, dal canto suo, di nuovo, non ci sta: «Questa negazione a ricorrere non mi ha permesso di fatto di tutelare l’interesse dei miei figli, considerando che sono il padre e che dispongo dell’autorità genitoriale da quando sono nati». Per il 38.enne ARP «ha grandi responsabilità per aver demolito sostanzialmente la mia figura genitoriale» evidenzia nell’istanza probatoria. E sulla sua linea resta anche il sostituto procuratore generale il quale, il 4 luglio, chiede alla Corte dei reclami penali di confermare la decisione impugnata (ovvero il decreto di non luogo a procedere). «Svolgere ulteriori accertamenti – si legge in coda alle osservazioni – a mente dello scrivente Magistrato è del tutto superfluo».
Questo perché sarebbe stata ritenuta «l’assenza di corroborati sufficienti indizi di reato per quanto riguarda l’asserito abuso d’autorità e, dall’altro, non risultando adempiuti i presupposti per il reato di coazione». Si aggiunge inoltre un fatto di «economia processuale, laddove si tratterebbe di un atto puramente formalistico che ritarderebbe inutilmente il giudizio definitivo della vertenza, risultato questo incompatibile con l’interesse delle parti a ottenere una rapida conclusione della controversia». Stefano è pronto a continuare la sua battaglia in tutte le sedi legali opportune. Lo ripete: «Io non punto a riportare qua i miei figli, ma a migliorare il sistema. Con il loro agire mi hanno impedito di fare opposizione e di tutelare i miei figli, seppure in mio diritto».