La collina di San Pietro ha una storia tutta da scoprire

La chiesa rossa a Castel San Pietro, in posizione dominante verso le gole della Breggia, è uno degli edifici religiosi maggiormente conosciuti nel Mendrisiotto. La sua facciata, inconfondibilmente rossa, si narra sia stata voluta di quel colore acceso per ricordare la strage di sangue che avvenne al suo interno la notte di Natale del 1390. Decine di persone vennero uccise a seguito di una lotta tra famiglie: i Busioni (oggi Bosia) di Mendrisio e i Rusconi (o Rusca) di Castel San Pietro. La leggenda vuole che la guerra tra famiglie sia stata acuita – oltre alle appartenenze «politiche» dell’epoca – dall’amore, osteggiato, tra Vizzardo Rusconi e Lavinia Busioni. La chiesa rossa, come dicevamo poc’anzi, è conosciuta; ciò che vi sta sotto (e intorno) ancora no. O meglio: qualcuno, già alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, su quel terreno aveva certificato la presenza di un palazzo (o castello), dall’inestimabile valore storico e culturale. E ora – stando alle intenzioni – si è al lavoro per far tornare alla luce un vero e proprio tesoro. Più attori sono infatti al lavoro per effettuare i necessari passi affinché archeologi e volontari possano tornare a scavare e a far tornare alla luce le ricche testimonianze del passato. Al comando del progetto che intende riattivare la campagna di scavi – va comunque sottolineato che si è ancora allo stato embrionale – ci sono l’Associazione ricerche archeologiche del Mendrisiotto (ARAM), l’Ufficio dei Beni culturali del Cantone, il Comune di Castel San Pietro e la Fondazione del Parco delle Gole della Breggia.

Gli scavi negli anni ‘80
Come detto, l’obiettivo finale è quello di tornare a scavare attorno all’edificio di culto. Già, perché della terra si è già mossa alla fine degli anni ‘80. Allora alla direzione dei lavori c’era l’archeologo Alfio Martinelli: lo scopritore di quello che oggi chiamiamo parco archeologico di Tremona. Attorno alla chiesa rossa erano emerse delle mura perimetrali, segno della presenza di un edificio, un castello divenuto, con gli anni, il palazzo del vescovo di Como (e poi, forse, una struttura a vocazione artigianale). La nuova campagna di scavi potrebbe sgomberare il campo dai dubbi. Oltre alle mura, però, archeologi e volontari quasi quarant’anni fa portarono alla luce reperti degni di nota. Furono trovate tre monete del 1395-1402, della ceramica smaltata con decorazioni. Ma non solo. Dal rapporto dell’Associazione archeologia ticinese del 1989 si legge: «Va segnalato anche il ritrovamento di diverse monete romane riferibili ai primi secoli della nostra era che potrebbero indicare una presenza romana sulla collina di San Pietro». Oppure ancora: «Un ritrovamento assai significativo è costituito da oggetti in bronzo molto ben conservati e perfettamente leggibili. Come nel caso dei bicchieri con piede a disco con anello di base a sezione tubolare». Insomma, materiale proveniente dall’Alto Medioevo. Che si possa tornare a scavare è d’interesse anche per il Comune. Anzi, un segnale è partito proprio dall’amministrazione cittadina. «Siamo ancora allo stato embrionale» premette la sindaca Alessia Ponti. Però qualcosa si è già mosso: «Indicazioni in tal senso ci sono giunte dal gruppo di lavoro del PAC, il Piano d’azione centripeta, e dal Consiglio comunale è giunta un’interpellanza che ha chiesto all’Esecutivo di approfondire il tema relativo ai resti storici». Un invito che non rimarrà inascoltato. «Stiamo cercando di comprenderne la fattibilità. Da parte del Municipio posso però dire che c’è la volontà di dare supporto a quest’attività».
Prima il consolidamento
Se per gli scavi archeologici veri e propri v’è ancora un po’ di strada da fare, diverso è il discorso per le antiche mura perimetrali che oggi riaffiorano dal terreno. «Di concerto con gli uffici cantonali e dopo aver effettuato le perizie del caso, i lavori di consolidamento dovrebbero cominciare entro la fine dell’anno» ci conferma il direttore del Parco delle Gole della Breggia Andrea Stella.