La cosiddetta teoria del gender e le origini dello scontro tra visioni
Parlare di sesso è difficile, ma parlare di diversità lo è ancor di più. Se poi mettiamo i due temi insieme, la frittata è subito fatta. La dimostrazione? Sono bastate due battute su un’agenda scolastica per dimostrare la confusione che regna attorno alla cosiddetta «teoria del gender». Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza.
Il dibattito si è subito cristallizzato su due posizioni estreme. Semplificando, troviamo da un lato i «pro-gender» che affermano che il dato biologico oggi è un elemento parziale. Secondo questa posizione rilanciata dall’attivismo gay e femminista radicale, il sesso sarebbe solo un costrutto sociale. Si è insomma un po’ tutti uguali, o neutri, con il tempo ognuno viene modellato dall’ambiente, dalla cultura e persino dalle proprie scelte individuali. Le possibilità sono tante, si può essere ovviamente maschi e femmine, ma poi anche tanto altro, riassunto dalla ormai nota sigla LGBT+ (Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender, dove il + contempla una lista sempre più lunga di opzioni come queer, intersessuali, asessuali, pansessuale e altro). I «no-gender» invece, sostengono che dietro alla parola «gender» si celi un preciso disegno che mira a distruggere l’ordine naturale delle cose e quindi anche la famiglia tradizionale. I programmi di educazione sessuale, ormai conditi in salsa gender, tenterebbero di far passare all’interno della scuola progetti perversi e comportamenti contronatura. Questo scontro di visioni ha creato due fazioni che non permettono di cogliere in questo dibattito alcuni elementi molto interessanti sulla nostra natura umana. Senza dimenticare un fatto essenziale. La teoria del gender nasce solo da un equivoco: essa infatti non esiste.
Gli inciampi
Con la parola «genere» gli esperti in materia fanno riferimento agli studi di genere (i gender studies) e non a una teoria. Gli studi di genere si basano su numerose ricerche iniziate oltre 70 anni fa che hanno evidenziato che cosa significa essere uomini e donne all’interno di un contesto culturale e storico, e non solo biologico. I gender studies, tra le altre cose ci ricordano che non è il solo cromosoma X o Y e nemmeno gli organi genitali a determinare il ruolo che una donna o un uomo avrà nella nostra società, il salario che percepirà, i compiti che potrà svolgere, i riconoscimenti e i ruoli che potrà avere. Questa visione permette alle bambine di oggi di pensarsi informatiche, astronaute o casalinghe. Non c’è nulla di biologico che lo impedisce. Permettono anche ai maschietti di pensarsi maestri della scuola dell’infanzia, ostetrici o casalinghi. Questi studi hanno permesso di evidenziare che oltre al sesso biologico, esistono un insieme di norme e credenze che socialmente e culturalmente vengono associate al maschile e al femminile. E che trasgredirle è difficile, non perché la biologia non lo permetta, ma perché l’identità e il ruolo di genere si basano su precise regole culturali che, cambiando nel tempo, determinano l’appartenenza di tutti noi al mondo maschile o al mondo femminile.
La fantasia della biologia
All’inizio, certo, vi è il dato biologico. La prima domanda che facciamo davanti l’annuncio di nascita di un bambino è, infatti, sempre la stessa: è un maschietto o una femminuccia? A questa risposta normalmente si risponde facilmente, gli organi genitali ci informano sul sesso. Ma in una percentuale minima di casi la risposta è complicata e bisogna passare a identificare i cromosomi sessuali. Con molte sorprese. Esistono infatti dal punto di vista clinica degli stadi chiamati di intersessualità (sindrome di Turner, i Klinefelter, di Morris, Swyer, ermafroditismo, ecc) che appaiono con percentuali basse fra i nascituri ma tuttavia non diverse da quelle di altre patologie genetiche per quale esprimiamo solidarietà e creiamo fondazioni per sostenerle. L’elemento biologico poi si intreccia con quello sociale. Se fino a pochi anni fa si affermava che non era naturale che l’uomo cucinasse, o si occupasse dei figli piccoli, oggi si dichiara che non è naturale l’omosessualità o chi fatica a trovare una corrispondenza tra il proprio sesso biologico e la sua identità di genere. I «no-gender» definiscono queste situazioni semplicemente contro-natura. Semplicemente perché è contro l’ordine naturale e quindi sono sbagliate, cioè fuori norma. È allora utile ricordare che in natura ci sono centinaia di specie con comportamenti omosessuali, in natura inoltre esiste l’infanticidio, lo stupro persino quello omosessuale. Ci sono coppie di animali naturalmente omossessuali che allevano i figli insieme. Quindi lasciamo bufali, pinguini e albatros al loro posto. Non facciamo della natura un modello di giustizia o peggio ancora, un giudice morale.
Nell’uomo e nella donna sono sempre esistite molte sfumature per vivere la propria identità. Anche l’orientamento sessuale non è univoco. È una realtà normale – naturale - dell’essere umano. Le sfumature sono un dato di fatto, così come ci sono persone più alte e persone più basse, alcuni che hanno livelli di colesterolo elevati e altri no, o altri che hanno la pelle chiara, altri scura e tanti altri che hanno dei colori intermedi. È una questione biologica. Letta così la vicenda si fa un po’ più complessa. La domanda che potremmo porci è in base a quale giudizio morale vogliamo escludere alcune espressioni, anche se minoritarie, dell’essere umano e giudicarle anormali. O meglio, come fare, in questo dibattito così come in altri (penso in particolare al mondo della disabilità), riuscire ad affermare, senza essere accusati di ideologismo, che esista una norma generale, maggioritaria che serve da riferimento generale, ma che poi esistono anche situazioni concrete e reali che non possono essere semplicemente riportate dentro quella norma e che meritano una identica piena partecipazione alla società.
Essere diversi
La stessa critica va posta al campo dei «pro-gender». Affermare che l’omosessualità esiste ed è naturale non significa che stiamo cancellando tutto il resto. Non stiamo cancellando l’evidenza che la maggior parte delle persone siano eterosessuali e che per loro sesso e identità di genere corrispondono. Non stiamo nemmeno affermando che si cambia orientamento sessuale come si cambiano i calzini, e non stiamo nemmeno dicendo che la vita di coppia o il matrimonio, tra uomini e donne, non ha più senso di esistere perché ora siamo moderni. O ancora che ai nascituri metteremo un genere neutro, così che poi potranno scegliere il proprio sesso una volta diventati grandi (come se l’appartenenza ad un sesso richiedesse una decisione, tra l’altro). Affermare che ci sono persone per le quali sesso e identità di genere non sempre corrisponde significa solamente considerare seriamente e con rispetto anche altre situazioni minoritarie, ma senza cancellare il resto.
La biologia per sua natura non ci crea uguali. Crea due estremi, che si chiamano maschio e femmina, ma anche un’infinità di sfumature, che inserite in culture e valori assumono comportamenti e ruoli maschili e femminili. Questi comportamenti possono variare da una cultura all’altra o semplicemente da un’epoca all’altra. La biologia crea poi anche tante altre soluzioni. Ci sono femmine che hanno dei valori di testosterone più alto degli uomini, uomini con i cromosomi XY ma con organi genitali femminili. Ci sono uomini che si sentono attratti da uomini. E donne da donne. Lo si osserva da migliaia di anni. Considerare questa complessità permette di avere un dialogo rispettoso e superare quel binomio semplicistico che afferma che se sei favorevole alle famiglie arcobaleno sei di sinistra e se sei contrario sei di destra. Il sesso biologico esiste. Così come esistono tutte quelle situazioni intermedie, che nascono da una biologia per sua natura fantasiosa.
Un punto in comune
E allora di che cosa abbiamo paura? Forse non tanto di quella minoranza di persone che si trova in situazioni diverse (e aggiungerei anche complicate) ma piuttosto del fatto che il modello classico di matrimonio stia tramontando? Ma in questo i gruppi LGBT non c’entrano. E semmai un problema della maggioranza degli eterosessuali, di modelli sociali, di valori. Ma né i gender studies, né le persone omosessuali, né le presunte e inventate teorie del gender c’entrano. La forte reazione che ha suscitato la lotta ad una teoria che nemmeno esiste deve però interrogarci. Il dibattito ha sicuramente toccato alcuni elementi sensibili che non possono essere spiegati solo con l’estremizzazione e la strumentalizzazione del tema da parte di piccole minoranze. Forse gli elementi sensibili sono la giusta paura di una supremazia delle scelte politiche in ambiti intimi e che non possono essere facilmente generalizzate a tutti. Vi è poi la reazione di una società che vive una crisi di valori e che si aggrappa più di prima a modelli sicuri e più semplici, evitando di considerare situazioni più complesse che da qualche parte mettono in crisi non solo la struttura classica di società, ma anche il nostro gruppo d’appartenenza o la nostra identità.
Infine, le due posizioni estreme hanno un evidente punto in comune: entrambe uniformano la complessità e la diversità del fenomeno umano. Lo fanno i «pro-gender» quando negano l’esistenza di un maschile e di un femminile, in nome di un generico neutro. Lo fanno i «no-gender» quando negano l’esistenza di una paletta di grigi tra i due estremi. Come se le differenze fossero scomode, in nome di una sottomissione ad un generico «politicamente corretto» che conduce ad un annullamento della diversità umana. Forse il problema è sempre e solo questo. Ed è un problema di cui la scuola dovrebbe preoccuparsi.