L'intervista

«La cultura non si ingabbia, ma c'è troppa burocrazia»

A tu per tu con Rodolfo Huber, archivista cittadino ed ex presidente della Società storica
© CdT/Chiara Zocchetti
Mauro Giacometti
26.05.2023 06:00

Da trent’anni è l’archivista della Città di Locarno e da una ventina è alla testa della Società storica del Locarnese, che ha appena lasciato. Rodolfo Huber, insomma, è la memoria cittadina, che per un breve periodo ha retto anche le sorti dei servizi culturali. Con lui tracciamo un bilancio e ci proiettiamo nel futuro di una società sempre meno culturale e sempre più digitale...

Signor Huber, dopo 16 anni di presidenza e 30 di comitato recentemente ha lasciato la testa della Società Storica Locarnese: un suo breve bilancio.
«La Società Storica Locarnese (SSL) è stata fondata nel 1954. Era un’epoca in cui la cultura viveva dell’iniziativa privata, associativa. All’inizio degli anni 1990, appena nominato archivista comunale, sono stato invitato a far parte di un rinnovato comitato designato per far rinascere la società. Era inizialmente un comitato «istituzionale». Ne fecero parte Riccardo Carazzetti (direttore dei Servizi culturali) e Antonio Spadafora (direttore della Biblioteca cantonale). Poi, grazie l’energica presidenza di Augusto Rima, la società ha riacquistato vita. Un più incisivo rinnovamento è seguito con la presidenza di Ugo Romerio. Penso che la sua, e la mia successiva presidenza, siano state ispirate a una visione comune: proporre un discorso storico scientifico, ma non esclusivo ed elitario, che potesse coinvolgere persone interessate al passato del Locarnese e storici di professione. Nel corso di circa vent’anni (con il prezioso aiuto di soci e di membri del comitato) si è proceduto a depositare l’archivio presso l’Archivio della città di Locarno, schedare la biblioteca e i documenti. Inoltre è stato fondato nel 1998 il Bollettino della SSL, oggi apprezzata rivista annuale. Penso che la SSL abbia saputo adattarsi alle nuove esigenze del suo pubblico e affermarsi come importate riferimento culturale nel Locarnese. A me personalmente sarebbe piaciuto che ci fosse una maggiore apertura alla storia generale, facendo dialogare il passato del Locarnese con un contesto più ampio, ma è nel carattere di una società locale privilegiare gli interessi regionali».

In anni di rivoluzione digitale e social, perché attingere ancora a documenti cartacei?
«I documenti dei secoli passati, fino al 1990 circa, sono prevalentemente cartacei o pergamene. Non vanno dimenticate altre fonti, sempre più numerose dal XIX sec., come le fotografie, i film, le registrazioni sonore. Gli storici sono tenuti a studiare i documenti originali e dunque la loro conservazione è essenziale. Solo così si può verificare l’affidabilità e la veridicità delle fonti. Tuttavia la digitalizzazione permette di accedere più velocemente a molti dati. Ciò ha rivoluzionato il modo in cui gli storici svolgono le loro ricerche. Digitalizzazione e conservazione dei documenti originali non sono in contrapposizione, bensì complementari. Sottolineo che i documenti della storia recente (l’ultimo mezzo secolo) sono già oggi, in originale, digitali ed è in questa forma che dovranno essere archiviati e conservati».

I documenti della storia recente sono digitali in originale e la loro conservazione a lungo termine (per secoli) è impresa né facile né evidente in considerazione della velocissima obsolescenza delle tecniche informatiche

Si può fare qualcosa e meglio nella fruizione pubblica dei documenti e degli atti storici?
«Si possono e si dovrebbero fare tre cose. Primo: professionalizzare la gestione degli archivi pubblici facendo capo a personale formato che oggi c’è, grazie a percorsi formativi universitari specifici. Secondo: applicare con maggiore rigore la LArch (Legge sull’archiviazione e gli archivi pubblici) e imporre standard di qualità minimi nella gestione degli archivi pubblici. Terzo: affrontare in modo complessivo la sfida della digitalizzazione. Come detto, i documenti della storia recente sono digitali in originale e la loro conservazione a lungo termine (per secoli) è impresa né facile né evidente in considerazione della velocissima obsolescenza delle tecniche informatiche».

Da archivista di Locarno lei è una memoria storica cittadina e della regione: qualche aneddoto, esperienza, ricordo?
«Il passare del tempo ci permette qualche volta di dare un peso più adeguato alle vicende grandi e piccole che costellano la vita cittadina. Sorrido sempre pensando ai verbali del Consiglio comunale che nell’autunno del 1938 dibatté in tre successive sedute dei monelli che all’uscita della scuola avevano abbattuto i frutti dagli alberi in via Luini, lanciandovi contro le cartelle e i libri: comportamento certamente deprecabile, ma ben poca cosa rispetto ai problemi della città».

Sulla cultura in generale si investe sempre meno: questione di risorse, carenza di visioni o spessore?
«La situazione è complessa. In generale non è corretto affermare che si spende sempre meno per la cultura. In primo luogo ci si deve chiedere chi spende di meno e quali campi culturali vengono penalizzati. A mio parere è piuttosto questione di come vengono distribuite le risorse e quale è il ruolo che spetta all’ente pubblico. In ambito pubblico si tende a privilegiare eventi destinati ai grandi numeri o a investire in (nuove) infrastrutture, senza poi mettere a disposizione le risorse per gestirle convenientemente. Negli anni recenti, in Ticino c’è stata una forte burocratizzazione del sostegno alla cultura, ciò che penalizza le associazioni piccole o non professioniste. Alcuni politici confondono il pubblico numeroso con la rilevanza dell’evento. Il valore venale adombra il significato dell’opera. C’è poi una spinta alla razionalizzazione, al voler «coordinare» (ingabbiare) iniziative ritenute simili, senza capire che la cultura nasce dal dialogo, dallo scontro e dalla sintesi delle differenze. E questo è vero soprattutto in una società democratica, atomizzata e individualista come è la nostra».