La guerra del pane abbassa i prezzi, gli artigiani: «Concorrenza sleale»

Una nuova guerra del pane infiamma la concorrenza tra le grandi catene di distribuzione alimentare in Svizzera e in Ticino. Una guerra che, come sempre, rischia alla fine di danneggiare quasi esclusivamente la filiera artigiana. E, sul fronte della qualità, anche il consumatore. Il quale potrà certo comprare il filone o la michetta spendendo qualcosa meno di prima, ma sarà inevitabilmente costretto ad accontentarsi di un prodotto sempre più industriale e fabbricato in serie.
La contesa è ripartita pochi giorni fa, quando Lidl e Aldi, a colpi di slogan sul pane più economico della Svizzera, hanno cominciato ad abbassare nuovamente il prezzo dei prodotti da forno: 99 centesimi per il filone semibianco o per 500 grammi di pane integrale, croissant in salamoia a 75 centesimi, croissant al burro a 59 centesimi e baguette da 250 grammi anch’esse a 99 centesimi.
Una corsa sfrenata allo sconto e al ribasso che ha spinto un’altra catena, Denner, ad annunciare a sua volta la revisione dei prezzi, con «il popolare pane semibianco e integrale, disponibile in tutta la Confederazione, d’ora in poi a 1 franco - ha scritto il Blick - e il croissant al burro a 70 centesimi invece di 80».
Lo stesso ha fatto Migros. «A partire da mercoledì 15 ottobre 2025 - dice l’ufficio stampa della cooperativa in una nota inviata al Corriere del Ticino - abbiamo ridotto i prezzi del pane semibianco (500 g) da 1 franco e 20 centesimi a 1 franco e del pane scuro (500 g) da 1 franco e 15 centesimi a 1 franco». Un adeguamento, spiega il colosso svizzero della grande distribuzione alimentare, che permette di continuare a «offrire prodotti di alta qualità a prezzi equi. Negli ultimi anni abbiamo regolarmente rivisto e adeguato i prezzi del pane, così come di molti altri prodotti, per rispondere sia alle condizioni di mercato sia alle esigenze dei nostri clienti».
Non è necessario essere esperti di marketing o economisti di vaglia per comprendere come la grande distribuzione alimentare utilizzi il pane e i prodotti da forno per attirare clienti nei supermercati, sfruttando in questo modo il più classico meccanismo legato ai cosiddetti articoli “civetta”. I grandi numeri dei centri commerciali consentono politiche del genere, che sono invece impossibili per i piccoli panettieri, gli artigiani che il pane lo fanno ancora con le proprie mani in laboratorio, alzandosi magari all’una di notte, e lo vendono poi nel negozio di quartiere o di paese.
Sempre meno artigiani
Luca Danesi, vicepresidente della Società Mastri Panettieri Pasticcieri Confettieri del Canton Ticino e delle Valli Mesolcina e Calanca (SMPPC), conduce tuttora con la sua famiglia tre punti vendita a Melano, Mendrisio e Morbio Inferiore. «Contro la grande distribuzione siamo come don Chisciotte, combattiamo a mani nude e siamo sempre più deboli - dice Danesi al CdT - vent’anni fa, nella nostra associazione eravamo 120, adesso i soci rimasti sono una quarantina», spiega amaro.
La battaglia sui prezzi è impari, dice Danesi, perché gli artigiani panettieri concorrono, «con un prodotto nemmeno paragonabile al loro. Mi riferisco a un pane precotto, congelato, che arriva magari dalla Polonia, dalla Bulgaria o dalla Romania».
Con la farina che costa attorno a un franco e mezzo al chilo, la manodopera e le spese varie, «il pane artigianale non dovrebbe essere venduto a meno di 10 franchi al chilo - dice ancora Danesi - con molti sforzi, noi riusciamo a stare sotto gli 8 franchi con il filone semibianco e tra gli 8 e i 9 franchi con il pane grosso». Quando però, sullo scaffale del supermercato, mezzo chilo di pane è venduto a 99 centesimi, non rimane che alzare le mani.
«È uno specchietto per le allodole - sottolinea il vicepresidente della SMPPC - vendono il pane a un costo inferiore a quello sostenuto per farlo o per comprare l’impasto all’estero. Di fatto, è una concorrenza sleale, che ha costretto molti colleghi a praticare sconti altissimi pur di continuare a stare nel mercato». L’unica salvezza è la qualità. «Chi sa riconoscere la differenza tra il pane industriale e quello artigianale, sceglie consapevolmente di spendere qualcosa in più», conclude Danesi.
Le domande dei clienti
Com’è noto, da alcuni mesi chi vende pane in Svizzera è obbligato a “tracciare” il prodotto, deve cioè dichiarare da dove proviene e dove è stato realizzato l’impasto trasformato poi in baguette o brioche. Regola giusta e sacrosanta, forse giunta persino tardivamente alla quale si sono adeguati tutti, ma che non è bastata a modificare le scelte di alcune grandi catene. Al contrario, la concorrenza sul prodotto da forno ha subìto una nuova accelerazione.
Massimo Turuani, presidente della SMPPC, affronta la questione ad ampio raggio.
«È vero - dice Turuani al CdT - noi artigiani panificatori siamo sempre meno, ma non darei la colpa soltanto alla grande distribuzione, la quale peraltro ha sempre avuto, storicamente, la sua panificazione indipendente. Credo che negli ultimi anni, i nuovi centri commerciali abbiamo soprattutto fatto leva sull’impreparazione delle generazioni più giovani a capire che cosa sia il pane ben fatto o a distinguerne la qualità, le differenze con il pane o i prodotti d’importazione».
Oggi, sottolinea il presidente della SMPPC, «non mancano ovviamente i clienti che ci chiedono come sia possibile che il pane artigianale costi fino a 4 volte più di quello industriale. Ma ci sono anche i consumatori che capiscono come non si possano paragonare le spille d’oro ai chiodi arrugginiti. E che comprendono cosa ci sia davvero alla base del nostro lavoro. Quando si va a comprare il pane in un supermercato, nessuno sta dietro ai 7-8 metri di scaffalatura dei prodotti da forno. Dobbiamo servirci da soli, magari siamo costretti a prendere confezioni già pronte. In una panetteria artigianale, invece, dietro al bancone ci sono almeno due persone, che diventano quattro se il negozio deve rimanere aperto tutto il giorno».