La Lombardia insiste, vuole diventare «gialla»

Da «Qualcuno ha tirato una coltellata alla Lombardia» a «È un fatto lunare». La prima dichiarazione è del 6 novembre, la seconda è di ieri. È tutta qui la resistenza del presidente della Regione, ovvero Attilio Fontana, a quelli che lui stesso considera maltrattamenti del governo nazionale all’area più importante del Paese. Allora fece ricorso all’immagine dell’arma bianca: «Da Conte una coltellata». Ieri ha indossato la toga d’avvocato: «Bene ha fatto la Conferenza delle Regioni ad assumere una posizione critica verso contenuti e metodi imposti dal Governo».
E se avesse ragione l’avvocato varesino? Se davvero a Roma hanno in uggia la Lombardia e con malcelato sadismo si accaniscono contro il motore d’Italia, l’ex «Milano da bere» ora metropoli europea? E quanto peseranno i colori politici fino a un anno e mezzo fa così affini per via del governo 5Stelle-Lega e ora così distanti per l’intemerata agostana di Salvini? Materia per ruminanti della politica. Rimanendo sul piano meno inclinato della cronaca si possono ricordare i casi di Codogno e della Bergamasca e i morti come in una vera guerra nella regione con la sanità più avanzata d’Italia. E in più c’è il claudicante piano dei vaccini antinfluenzali: molti anziani li aspettano ancora.
La tensione si allenta
Il presidente segue con sguardo curioso il premier Conte giocare di spada e di fioretto con gli italiani, minacciando misure ancora più terribili in una terza ondata «che non ci possiamo permettere» e lusingando nel richiamo alla responsabilità dei cittadini per il grande sacrificio richiesto a Natale e Capodanno. Fontana sposta avanti l’attenzione e dice: «Noi siamo pronti per lo stoccaggio dei vaccini anti-COVID» e butta là l’attenuante generica per il disastro di febbraio-marzo: «Rispetto ad allora, siamo decisamente più preparati».
In effetti i numeri stanno lentamente migliorando. La seconda ondata ha visto ancora la Lombardia capofila dell’emergenza e sono state colpite le zone di confine con la Svizzera, le province di Como e di Varese. Qui gli ospedali sono stati messi a dura prova. Ne sono scaturite polemiche per i frontalieri. Questa volta rovesciate: a marzo- aprile venivano guardati con sospetto dai ticinesi per il sospetto i essere untori, ora è il contrario. I frontalieri, anche se positivi, in Ticino sono invitati dalle imprese a rientrare al lavoro dopo dieci giorni se non hanno più sintomi. Comaschi e varesini lamentano che così diffondono il virus quando rientrano a casa.
Ora la tensione si allenta. Ieri in tutta Italia 23.225 nuovi positivi con 226.729 tamponi, purtroppo un’impennata dei decessi: 993 morti. Meglio in Lombardia con, ieri, 3.425 casi su 36.271 tamponi, ma con 347 vittime. Calano i ricoverati nelle terapie intensive (836 contro i 930 di metà novembre) e scendono anche i ricoverati.
Il decreto
Numeri che fanno sperare nella «zona gialla» da venerdì 11 dicembre per la Lombardia. Una speranza che si tradurrebbe in una libertà di movimento per tutti salvo dalle 22 di sera alle 5 del mattino, oltre che la riapertura di bar e ristoranti fino alle 18.
Se scatterà il colore più rapido del semaforo, non ci si potrà illudere per molto. Il nuovo DPCM è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, è già in vigore e impedisce feste di Natale e Capodanno a tutti gli italiani, lombardi compresi. Due soli articoli per la ferale notizia: il primo prolunga da 30 a 50 giorni la validità delle restrizioni, il secondo blocca dal 21 dicembre al 6 gennaio «ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome, e nelle giornate del 25 e del 26 dicembre 2020 e del 1. gennaio 2021 ogni spostamento tra Comuni», salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze. Il coprifuoco varrà anche nelle festività e quindi tutti a casa entro le 22, con conseguente anticipo della messa della vigilia di Natale e il brindisi la sera del 31 dicembre. Apertura dei ristoranti il 26 e il 31 ma solo a pranzo.
Le dolorose restrizioni
Per dissuadere gli italiani da trasferte all’estero, magari proprio in Svizzera, per sciare a partire dal 20 dicembre è stabilito l’obbligo di quarantena per dieci giorni da qualsiasi Stato di provenienza. Quella che viene definita la stretta natalizia di Conte lascia ancora il vuoto tra molti affetti familiari, sentimentali e d’amicizia nelle zone di confine. Mariti, mogli, fratelli e sorelle e anche tanti nonni separati «da DPCM». Niente ricongiungimenti neanche a Natale. E se il presidente Mattarella ieri le ha definite «dolorose ma necessarie restrizioni», viene quasi la nostalgia a ripensare alle deroghe un tempo concesse ai «congiunti e agli affetti stabili». Per le coppie disinvolte rimane la possibilità di canzonarci sopra con un «mamma non vuole, Conte nemmeno: come faremo, come faremo?».