Sementina

La mascherina «made in Ticino» e quella «bestia» cinese

Due imprenditori bellinzonesi da inizio mese ne stanno producendo 50.000 al giorno in un capannone in zona industriale - L’obiettivo è garantire l’approvvigionamento delle strutture sanitarie cantonali e assicurare un prodotto di qualità a prezzi concorrenziali - «Ma che fatica montare il macchinario...»
Federico Tamò, a sinistra, e Renzo Romano. © Ti-Press/Francesca Agosta
Alan Del Don
23.06.2020 17:45

«Possiamo dire che si tratta di un’avventura, ma l’obiettivo è quello di durare nel tempo, diventando un appoggio per i professionisti della salute». Hanno le idee in chiaro Federico Tamò, farmacista bellinzonese ed ex portiere di hockey nel Ginevra-Servette, e Renzo Romano, di professione economista. Da inizio mese stanno producendo 50.000 mascherine chirurgiche monouso al giorno in un capannone in zona industriale a Sementina. Certo, la pandemia ha fatto da sprone, quando in aprile si sono guardati negli occhi e hanno deciso di costituire la Farmaconsult SA, sede in città e capitale sociale di 200.000 franchi. Ma il loro progetto non svanirà una volta che – come speriamo tutti – il coronavirus verrà definitivamente sconfitto. Nell’iniziativa ci hanno messo cuore, tempo e soldi (all’incirca mezzo milione). Credono fortemente non solo in quello che stanno facendo, logicamente, ma nella possibilità di poter offrire un prodotto che in futuro sarà completamente «made in Ticino».

Dalla Terra del Dragone

Il CdT ha fatto visita oggi ai due giovani nello stabilimento di via Pobbia 18 preso in affitto. Il macchinario arrivato dalla provincia cinese Jiangxi (in parte via cielo e in parte attraverso le rotaie) sta funzionando a pieno regime. Al lavoro ci sono tre collaboratori; a loro si aggiunge un’altra persona impiegata a metà tempo. La «bestia», come la chiamano ironicamente, è stata assemblata da loro stessi sudando le proverbiali sette camicie. Impossibile, infatti, a causa dell’emergenza sanitaria, recarsi nella Terra del Dragone o sperare che i consulenti della ditta potessero giungere a Sud delle Alpi per fornire le agognate spiegazioni. Sinceramente ce l’aspettavamo più grande. «A livello burocratico non vi è stato nessun problema per il trasporto, essendoci affidati ad una società specializzata. Abbiamo trattato direttamente con i responsabili dell’azienda, senza passare da intermediari, e sfruttando i contatti del mio socio in Cina. Qualche grattacapo in più, per contro, ce l’ha procurato il montaggio», scherza Federico Tamò.

Il Castelgrande in bella mostra

Il quale va in seguito dritto al nocciolo della questione, rispondendo alla domanda sui motivi che hanno spinto lui e Renzo Romano a lanciarsi nell’impresa. «Essenzialmente alla base vi sono tre aspetti. Ci siamo accorti che i canali ufficiali, nel pieno della crisi, non erano in grado di fornire le mascherine. Secondariamente la qualità del prodotto non era sempre garantita. E, terzo punto, i prezzi erano davvero fuori di testa, con mascherine vendute ad oltre un franco l’una», precisano i due imprenditori, i quali vendono le loro a 32,50 franchi (per i grossi volumi si scenderà ulteriormente) la scatola da 50 pezzi, sulla quale campeggia il Castelgrande. Ma soprattutto, come dicevamo all’inizio, lo sguardo va ben oltre la pandemia. La società anonima mira ad assicurare l’approvvigionamento delle strutture sanitarie ticinesi.

«Un milione al giorno in Svizzera»

Si vuole giocare in casa: «In Svizzera, quotidianamente, i professionisti della salute utilizzano un milione di mascherine. Noi vogliamo essere concorrenziali sul prezzo con il mercato asiatico offrendo tuttavia un prodotto di qualità che più in là sarà completamente ticinese (allo stato attuale parte dei materiali arriva, inevitabilmente, dalla Cina, ndr.). La produzione locale è l’unica via percorribile per evitare di ritrovarsi nella situazione descritta poco fa. Per quello facciamo affidamento sulla coscienza degli operatori sanitari del nostro Cantone e sulle nostre istituzioni. Dateci fiducia. A Sud delle Alpi ci siamo noi e, se non sbaglio, altre tre ditte. C’è spazio per tutti, non c’è affatto il rischio di pestarsi i piedi».

Il sostegno dei farmacisti

Tant’è che fra i molti pensieri che frullano nella testa di Federico Tamò e Renzo Romano c’è pure quello di ampliarsi. Di acquistare un secondo macchinario, per farla breve. Ma questa, semmai, sarà musica del futuro. Adesso l’attesa è rivolta in primis all’ottenimento della certificazione massima. «Nel corso del mese di luglio dovremmo ricevere la certezza che abbiamo tra le mani un prodotto di qualità, che è quello a cui ambiamo. Dai primi dati in nostro possesso emerge che la respirabilità è buona, il potere di filtrazione è ottimo e la mascherina non è irritante. Di meglio non potevamo sperare». Federico Tamò e Renzo Romano non si pentono “dell’avventura” intrapresa da qualche mese. Con loro in società, tra l’altro, siede Guy Bardet, in rappresentanza dell’Ofac, la cooperativa dei farmacisti elvetici che ha finanziato in parte il progetto.

In questo articolo: