La rete della Mayo Clinic si apre alla Svizzera: Sant’Anna tra i primi centri europei

È un’alleanza che segna un punto di svolta per la sanità privata svizzera. Swiss Medical Network – uno dei principali gruppi elvetici del settore – entra nel prestigioso Mayo Clinic Care Network con sette sue strutture, tra cui la Clinica Sant’Anna di Sorengo. È la prima volta che un gruppo dell’Europa occidentale accede a questa rete d’eccellenza, che riunisce 45 istituzioni mediche tra Stati Uniti, Asia, Medio Oriente ed Europa. Ma non si tratta di un semplice scambio di buone pratiche: «È il riconoscimento del nostro modello organizzativo, della nostra etica nella presa a carico dei pazienti e della qualità delle cure», afferma Michela Pfyffer, direttrice della Clinica Sant’Anna.
Il legame è nato da un’intuizione: «Tutto è partito dal professor Jacques Bernier, presidente di Genolier Innovation Hub e Direttore scientifico di Swiss Medical Network. Forte della sua lunga esperienza da primario di oncologia, anche all’EOC nonché presidente della Lega cancro Ticino, ha avviato i primi contatti con Mayo Clinic e promosso l’idea di una collaborazione più ampia», spiega Pfyffer. Dopo un processo di audit severo, che ha valutato standard clinici, processi interni e formazione, sette istituzioni svizzere sono state ammesse nel network: oltre a Sant’Anna, la Clinique de Genolier, la Privatklinik Bethanien e i centri Swiss Visio di Genolier, Montchoisi, Zurigo e Bellinzona.
L’adesione porta con sé vantaggi tangibili. «Per i nostri pazienti significa poter contare su diagnosi ancora più accurate, approcci terapeutici condivisi con specialisti internazionali e una presa a carico che resta locale ma si confronta con il meglio della medicina mondiale», continua Pfyffer. Un esempio concreto? «In caso di tumori rari o situazioni complesse, possiamo ora presentare il caso direttamente ai board multidisciplinari della Mayo Clinic, senza far viaggiare il paziente. È una risorsa preziosa, che permette decisioni condivise e personalizzate».
Anche per i medici il salto è notevole. «Poter dialogare con specialisti che operano in un bacino clinico così vasto significa accedere a una casistica di riferimento senza paragoni», sottolinea il dottor Marco Toderi Brancaleone, responsabile del centro di medicina preventiva del Sant’Anna. «Ma è soprattutto l’opportunità di confrontarci con visioni diverse che arricchisce: la medicina non è solo tecnica, è anche cultura, approccio al paziente, interpretazione dei dati. E lo scambio è alla pari».
Se c’è un ambito in cui l’effetto sarà visibile a breve, è quello della prevenzione. «Stiamo sviluppando nuovi protocolli personalizzati, che saranno attivati da qui all’autunno», spiega Toderi. «Saranno pacchetti accessibili anche sul sito, ma sempre accompagnati da un colloquio con il medico. La prevenzione non significa moltiplicare esami inutili, ma costruire un percorso adatto al singolo paziente, anche con il supporto del medico di famiglia».
Sullo sfondo, una visione della sanità che va oltre il singolo trattamento. «Oggi la medicina deve prevenire, non solo curare», afferma Toderi. «Sappiamo che tra l’80 e il 90% dei decessi è legato a malattie non trasmissibili: intervenire sui fattori di rischio significa migliorare la qualità della vita e, nel lungo termine, anche contenere i costi del sistema».
Secondo Pfyffer, è proprio qui che si gioca la sfida più ampia: «Non è vero che la prevenzione aumenta i costi. Anzi, può contribuire a renderli sostenibili, se ben strutturata. Noi siamo stati pionieri già nel 2010 con i primi programmi di medicina preventiva, in collaborazione con assicurazioni che oggi iniziano a riconoscerne il valore. L’ingresso nel network ci permetterà di fare un ulteriore salto di qualità».
Il tutto senza rinunciare all’identità svizzera. «Non ci limitiamo ad apprendere, possiamo portare anche il nostro contributo», sottolinea la direttrice. «Le nostre dimensioni ci costringono a essere precisi, attenti al dettaglio, e questo può essere un valore aggiunto. La medicina svizzera ha molto da offrire, e far parte di una rete internazionale ci permette di amplificare questa voce».
Per il futuro, l’obiettivo è chiaro: «Non si tratta solo di curare di più, ma di curare meglio – conclude Toderi –. Questa partnership ci aiuta a farlo, con uno sguardo globale ma un’attenzione concreta alla nostra realtà locale».