«La RSI è troppo Lugano-centrica»

«La RSI è troppo Lugano-centrica e lontana da Locarno, non in senso geografico». Seppur con toni garbati, il sindaco della città Alain Scherrer non le ha certo mandate a dire alla televisione pubblica, durante l’incontro organizzato al PalaCinema dalla CORSI e dedicato alla trasmissione «Storie». Un incontro, va detto, agendato ben prima della messa in onda del contestato documentario «Città vecchia, vita nuova» trasmesso poco meno di due settimane fa. L’idea era quella di illustrare – come fatto per altri programmi – il dietro le quinte della rubrica della domenica sera. Ma le polemiche sorte, con tanto di prese di posizione ufficiali della Pro del quartiere e del PPD cittadino, hanno giocoforza fatto modificare il programma.
«Storie», diciamolo subito, in generale ha ricevuto consensi e parole di apprezzamento. Ma quel documentario proprio non è andato giù ai locarnesi. «Dal punto di vista tecnico è ben fatto», ha detto ancora Scherrer, sottolineando di parlare come innamorato di Locarno, ancora prima che come sindaco e rivolgendosi al direttore della RSI Maurizio Canetta. «Il problema è il messaggio sbagliato giunto agli spettatori». Un messaggio per lo più crepuscolare e disilluso. «È stata un’occasione persa per mostrare la realtà della Città Vecchia. Peccato perché la RSI, per una volta che si è occupata di Locarno, lo poteva fare meglio», ha concluso segnalando la scarsa copertura, ad esempio, delle ultime edizioni di Moon and Stars o dell’evento City of guitars. «Storie è una bella trasmissione, ma quando si cala nella realtà locale deve prestare ancora maggiore attenzione perché ci sono diverse sensibilità in gioco», ha invece spiegato l’ex municipale Diego Erba.
Uno sguardo soggettivo
A motivare le scelte fatte, sul palco, Consuelo Marcoli, produttrice della parte in studio, e Michael Beltrami, produttore dei documentari, moderati da Sebastiano Marwin e Natalia Ferrara. «Noi narriamo delle storie e micro storie, lo dice anche il nome della trasmissione. E questo ci differenzia da servizi informativi o giornalistici come possono essere quelli di Falò», hanno ribadito. «Un nostro documentario, inoltre, porta lo sguardo personale, e in questo caso anche intimo, del regista. V’è quindi stato un equivoco, perché buona parte del pubblico non ha fatto questa distinzione». A spalleggiarli, ospite della serata, la giornalista Monica Piffaretti: «Ho apprezzato il documentario. No mi aspettavo statistiche o uno spot pubblicitario, ma una narrazione che ho reputato buona. Il filmato, inoltre, lancia anche messaggi di speranza. Insomma, il regista ha mostrato la sua Città Vecchia, che è probabilmente diversa da quella che ognuno di noi in sala vede».
«Ma staccato dalla realtà»
Di parere diametralmente opposto, dal pubblico Franco Losa (che ha inoltrato diverse osservazioni al consiglio del pubblico): «Pur rispettando la professionalità delle persone, trovo che il documentario sia troppo costruito. Mi ha annoiato. Inoltre il personaggio folcloristico che appare più volte sembra introdotto a forza». I problemi, anche secondo il presidente della Pro del quartiere Corrado Di Salvo, sono stati diversi, come la promozione del filmato e il titolo fuorviante che hanno creato determinate aspettative. «D’accordo che ognuno può avere la propria visione della Città Vecchia, ma qui è come se si volesse far vedere solo un angolino impolverato di un’abitazione, dimenticando che il resto della casa è bello e luminoso ». A incalzare ulteriormente, il municipale Giuseppe Cotti. «Molti hanno capito che si è trattato di uno sguardo soggettivo, ma il filmato non è piaciuto perché sembra molto distante dalla realtà della Città Vecchia».
Dialogo costruttivo
Pur essendosi trasformata in una sorta di processo al documentario del regista Paolo Vandoni, la serata organizzata dalla CORSI è comunque stata costruttiva. Innanzitutto gli spettatori hanno potuto discutere di un prodotto direttamente con chi l’ha creato. Un’offerta che difficilmente si trova altrove come sottolineato dal presidente Luigi Pedrazzini. E questo, citando Beltrami, ha permesso ai produttori «di imparare molto, dialogando con il pubblico».