La sabbia sta finendo, la crisi è globale

«L’estate sta finendo», diceva una vecchia canzone degli anni Ottanta. Vacanze, spiagge, caldo, tuffi nell’acqua... Tuttavia - complici i cambiamenti climatici - l’estate potrebbe finire non per il cambio delle temperature (e a ben guardare anche il livello delle acque sembrerebbe destinato a salire), ma per un motivo decisamente più particolare: la sabbia. Quel che sembrano soltanto banali granelli di roccia, in realtà sono una delle risorse più consumate del pianeta. E, attenzione, si tratta di una risorsa non rinnovabile. Come il petrolio, per intenderci. La società moderna è basata su questo prezioso materiale. Dai microprocessori (fatti di silicio) al vetro (sabbia fusa) dello schermo dei nostri smartphone. Dai prodotti per l’igiene a quelli cosmetici... Il settore delle costruzioni, però, è quello che ne ha bisogno di più. Le nostre strade, i ponti, gli edifici e, ovvio, i vetri delle finestre... nulla di tutto ciò potrebbe esistere. Ma com’è possibile che un inerte così banale possa diventare prezioso? In fin dei conti, i deserti sono composti da sabbia. «Eh no, non funziona così», interviene Christian Paglia, direttore dell’Istituto materiali e costruzioni della Supsi: «Quando si deve costruire, e quindi produrre calcestruzzo, c’è sabbia e sabbia. Quella che troviamo in grandi quantità nei deserti non va bene. I granelli di cui è composta non sono ideali per realizzare materiale da impiegare nella costruzione. Troppo sottili, troppo simili tra loro, non ‘legano bene’, insomma» (guarda il video allegato a quest’articolo).
Ecco perché i Paesi della Penisola arabica, in cui l’urbanizzazione sta crescendo a rotta di collo, sono costretti a importare la sabbia dall’Australia. Nonostante Dubai si trovi sul bordo di un enorme deserto. Le dune del Sahara o dell’Arizona sono destinate a restare lì dove sono. Eppure la richiesta di questa materia prima arriva a 60 miliardi di tonnellate all’anno. Abbastanza per ricoprire l’intera superficie della Svizzera. Sei volte. E a proposito di Svizzera, secondo l’Associazione dell’industria degli inerti, da questo punto di vista il problema non si pone. Anzi, «la sabbia e la ghiaia sono le uniche materie prime ad essere disponibili in grandi quantità nel nostro Paese. La Svizzera è addirittura uno dei Paesi più ricchi di ghiaia a livello mondiale», si legge sul sito web. Lo conferma anche Christian Paglia. «Qui ci sono diversi depositi morenici che permettono l’estrazione di un materiale con una granulometria il cui scarto nel valore è più ampio. Stesso discorso vale anche per quelli lacustri. In altri Paesi, però, la sua estrazione è fonte di disastri ambientali enormi».
Non si può certo pensare di estrarre 50 miliardi di tonnellate all’anno di un qualsiasi materiale senza provocare danni all’ambiente e alle persone. Secondo le Nazioni Unite, le città in Asia, Africa e America Latina, si stanno espandendo a un ritmo mai visto prima nella storia dell’umanità: il numero di persone che vivono nelle aree urbane è più che quadruplicato dal 1950 a oggi (4,2 miliardi), e nei prossimi tre decenni se ne aggiungeranno altri 2,5 miliardi.
La lenta scomparsa del delta del Mekong, in Vietnam, è causata anche dall’estrazione della sabbia. Così come il dragaggio dell’oceano ha danneggiato le barriere coralline in Kenya, nel Golfo Persico e in Florida. L’attività industriale strappa l’habitat marino e infanga le acque con pennacchi di sabbia che possono influenzare la vita acquatica per chilometri. I pescatori in Malesia e Cambogia hanno visto i loro mezzi di sussistenza decimati dal dragaggio. Indonesia, Malesia, Vietnam e Cambogia hanno deciso di limitare le esportazioni di sabbia a Singapore. «Certo, un conto è estrarlo dalla cava, un conto è prenderla da una spiaggia o da un delta lacustre o da un fiume», sottolinea Christian Paglia. «In Svizzera esiste una certa attenzione sull’impatto ambientale, ma in molti Paesi la sensibilità è decisamente diversa. La sabbia è rara rispetto a quanto si vuole costruire. E le riserve sono depositate, purtroppo, in ambienti geologici particolari».
Sempre più Paesi nel mondo, poi, stanno affrontando un’inaspettata ondata di violenza, causata dalla criminalità organizzata che sta cercando di entrare nel commercio (sul mercato nero) di questa preziosa materia prima. Con conseguenze spesso letali per chi si mette sulla loro strada. Persone disposte a tutto pur di mettere le mani sulla loro fetta. «Trasportare, vendere, estrarre, miscelare... le attività portate avanti da organizzazioni più o meno legittime sono tantissime».


Un filo di speranza, secondo Paglia, lo si può tuttavia intravedere: «Dobbiamo scommettere sul riciclaggio. Negli ultimi anni si è sviluppata una sensibilità sempre maggiore sul tema della sostenibilità. Il recupero di materiali da scavo permette di sfruttare terreno direttamente sul posto. Terreno che contiene preziose sabbie argillose e quarzose. Questo vale soprattutto nei posti in cui si è già costruito tanto, penso per esempio all’esplosione della domanda nel settore dell’edilizia negli anni Settanta». Si polverizza il vecchio calcestruzzo, insomma, cercando di recuperare quelle famose e tanto ricercate granulometrie variegate nel materiale. Ma non solo: «Per diminuire anche l’impatto ambientale della produzione di calcestruzzo, sempre di più assistiamo a delle aggiunte minerali. Per esempio con polveri di carbonato di calcio, ceneri volanti, vale a dire i resti della lavorazione dell’industria, fumo di silice... ora sono in fase di esame anche le ceneri del legno e del carbone, che offrono una certa idraulicità oltre ad avere la capacità di combinarsi con il calcio e con l’acqua formando così un gel che impacchetta questi aggregati rocciosi».
Negli ultimi anni, precisa Christian Paglia, sono stati sperimentati anche altri tipi di ‘supplementi’: «Pneumatici spezzettati, polvere di mattonelle e mattoni, metacaolino, plastiche, fibre tessili o di acciaio... Tutti stratagemmi che aiutano a diminuire il cosumo di sabbia. Anche se questa resta uno degli ingredienti principali».
La parola chiave per mettere in pratica questa nuova mentalità è ‘demolizione selettiva’: «Con le opportune separazioni dei materiali e gli opportuni controlli di qualità, oggi si riesce a produrre calcestruzzi riciclati con proprietà meccaniche che soddisfano i requisiti della costruzione edile. Sul fronte della costruzione delle infrastrutture, invece, è necessario affinare lo studio legato alla durabilità di questi materiali».