«La situazione finanziaria non si risolverà da sola»

Christian Vitta, a giorni il Consiglio di Stato presenterà il Consuntivo 2020, un anno che, complice la pandemia, al posto del timido avanzo di 4,1 milioni di franchi previsto, farà testo di un primo profondo rosso che rischia di aprire una nuova serie. Questa realtà dell’anno alle spalle genera inquietudine?
«Il 2020 sarà un anno straordinario in quanto la pandemia, che ha colpito in maniera repentina e inaspettata il nostro Paese, lascerà dei segni anche dal profilo finanziario. Rispetto a un preventivo che prevedeva un leggero avanzo d’esercizio chiuderemo i conti in rosso con una perdita che sarà un po’ sotto i 200 milioni di franchi. Lo sguardo deve ora essere rivolto ai prossimi anni: dobbiamo essere realisti e consapevoli nel constatare che la situazione finanziaria non si risolverà da sola».
Ci sono poi le prospettive 2021, con una voragine prevista da 230 milioni. Ma forse potrebbe andare meno peggio?
«È ancora prematuro prevedere nel dettaglio come chiuderà l’anno 2021. Da un lato possiamo contare su delle previsioni economiche meno peggiori del previsto e sul nuovo accordo con la Banca Nazionale Svizzera. Questi due fattori dovrebbero migliorare un po’ la situazione sul fronte delle entrate, dall’altro siamo però confrontati con costi straordinari non preventivati. Complessivamente cercheremo di chiudere il 2021 con dati leggermente meno peggiori rispetto al preventivo, ma comunque con un disavanzo importante».
Lo sguardo è già rivolto al Piano finanziario che, per il 2024, indica -278,4 milioni. Come si fa a fare politica attiva in questa situazione da incubo?
«Il piano finanziario dovrà considerare le nuove previsioni economiche e una situazione aggiornata post pandemia. Possiamo già oggi dire con certezza che senza dei nuovi margini finanziari, che dovremo essere in grado di aprire nei prossimi anni, sarà molto più difficile fare una politica attiva, propositiva e lungimirante».
E mettiamoci anche il debito pubblico, oggi oltre i 2 miliardi, e che nello spazio di tre anni rischiamo di vedere esplodere a quota 3 miliardi. Debiti che, tassi bassi o non, le future generazioni dovranno pagare. Tutto questo è inevitabile o rischia di essere anche un po’ irresponsabile?
«Una situazione straordinaria come quella che stiamo vivendo ha inevitabilmente delle incidenze straordinarie anche sui parametri finanziari fra cui il debito pubblico. È però fondamentale trovare un giusto equilibrio per garantire una solidarietà intergenerazionale, evitando di trasmettere tutti gli oneri di questa pandemia alle generazioni future. Dobbiamo infatti evitare di ipotecare il futuro dei nostri giovani e le loro prospettive di sviluppare la società futura e di poter essere progettuali. Per fare questo anche i nostri giovani dovranno disporre delle necessarie risorse».


Tutti auspichiamo che il vaccino decolli e l’economia riparta davvero. Fosse il caso c’è da prevedere una fase d’euforia appena usciti dal tunnel?
«È uno scenario sicuramente possibile. La riconquista delle nostre libertà porterà le persone a voler ritornare a consumare e a usufruire di quei servizi ai quali per lungo tempo hanno dovuto rinunciare. Questo potrebbe portare a un’importante ripresa dei consumi».
Ma c’è chi sostiene che i veri effetti del virus li vedremo con l’onda lunga che rischia di fare saltare attività economiche, posti di lavoro e di ridurre drasticamente il potere d’acquisto e il nostro standard di vita. Dobbiamo prepararci ad abbassare i nostri standard di vita e di pretesa anche dall’Ente pubblico?
«Ogni pandemia porta con sé dei cambiamenti nella società. Quello che abbiamo vissuto da un anno a questa parte cambierà la nostra società e alcune nostre abitudini quotidiane. Questo avrà ripercussioni anche sull’economia. Vi saranno settori che soffriranno più di altri. In alcuni settori dei cambiamenti strutturali saranno inevitabili, in altri si apriranno nuove opportunità. A mio giudizio sarà fondamentale incentivare l’innovazione presso le aziende per poter cogliere al meglio le opportunità che si presenteranno. Se saremo in grado di cogliere queste opportunità potremo mantenere il benessere che conosciamo oggi».
Cosa possiamo dire delle entrate fiscali? In passato i gettiti hanno prodotto un’onda virtuosa che nel corso degli anni ha generato un salvifico extra-gettito. Lo scenario si potrebbe ripetere o lo esclude a priori?
«Nel 2020 si è registrata una diminuzione importante delle entrate fiscali rispetto al 2019 per un complessivo di circa 100 milioni di franchi. A ciò si aggiunge la mancata crescita che era stata prevista in sede di preventivo. Per i prossimi anni molto dipenderà da come la nostra economia si riprenderà. Proprio per questo motivo è oggi prematuro trarre delle conclusioni sul fronte fiscale».
Nel 2020 la Confederazione e i Cantoni hanno distribuito aiuti senza troppe formalità, ora le cose sono un po’ diverse. Alla fine quante spese extra sta generando la pandemia al Ticino?
«L’erogazione degli aiuti finanziari è ancora in corso e non è possibile avere cifre definitive. Ad oggi, nel Canton Ticino, fra interventi federali, cantonali e comunali, compresi i crediti COVID sono stati erogati oltre 2 miliardi di franchi. A questi si aggiungono altri costi netti diretti sostenuti dallo Stato per il 2020 per circa 70 milioni di franchi».


Fino a quando sarà possibile mantenere questo soccorso e quali sono le prospettive finanziarie in materia per il Ticino?
«A livello svizzero sarà importante calibrare bene la tempistica della riduzione di questo intervento dello Stato. Una prematura riduzione del sostegno potrebbe avere conseguenze negative a livello economico e di mercato del lavoro. Se pensiamo allo strumento del lavoro ridotto, esso si è rivelato essere fondamentale per mantenere sotto controllo la disoccupazione, evitando una sua esplosione a seguito della pandemia. In questo contesto il Ticino potrà continuare a operare, anche finanziariamente, in sinergia con la Confederazione».
Mercato del lavoro: la disoccupazione va osservata con sana preoccupazione, ma oggi non siamo in allarme. È solo la calma apparente prima della tempesta?
«Come dicevo in precedenza, in Svizzera lo strumento del lavoro ridotto si è rivelato molto efficace per tenere sotto controllo la disoccupazione. Sarà importante programmare bene i tempi con i quali si ritornerà a un regime normale anche sul fronte dell’utilizzo di questi strumenti di sostegno. Se vi sarà una ripresa economica rapida, la fase di transizione potrà essere gestita bene, in caso contrario le difficoltà potrebbero essere maggiori».
E cosa può mettere in atto il Cantone per essere pronto a reagire quando verranno davvero tagliati gli impieghi?
Il primo obiettivo deve essere quello del mantenimento degli impieghi e della creazione di nuove opportunità di lavoro. Nei settori dove si registreranno purtroppo delle difficoltà maggiori occorrerà accompagnare la riconversione di questi settori, sostenendo ad esempio la riqualifica del personale laddove necessario o incentivando l’assunzione dei giovani. Su questo fronte abbiamo appena adottato delle modifiche al regolamento della Legge sul rilancio dell’occupazione e sul sostegno ai disoccupati».


Il lavoro ridotto, prima o poi, uscirà dalla situazione straordinaria. Con questa misura non si finisce per dopare in maniera eccessiva il mercato del lavoro tenendo in una bolla i datori di lavoro e illudendoli che, alla fine, lo Stato può sostenere un po’ tutti?
«Come dicevo in precedenza sarà importante calibrare bene a livello federale la tempistica di uscita dalla situazione straordinaria coordinandola con la ripresa economica. Se questa fase di transizione sarà gestita al meglio si riusciranno a limitare i danni in questa fase di transizione».
Il Ticino si è mosso per sostenere l’assunzione di giovani disoccupati al primo impiego. Da cosa è nata questa idea che appare lungimirante?
«In questa fase della pandemia abbiamo rilevato un aumento un po’ più marcato della disoccupazione nella fascia di lavoratori giovani. Inoltre, questa misura è coerente con quella che avevamo introdotto come Stato per incentivare l’assunzione di apprendisti».
Ma fino a quando il nostro Cantone potrà impegnarsi a mantenere questa misura?
«Lo strumento come tale esiste già all’interno della Legge sul rilancio della disoccupazione e sul sostegno ai disoccupati. Abbiamo adattato i parametri per poterlo utilizzare su tutto il territorio cantonale e in tutte le professioni, senza quindi alcuna limitazione di sorta. Passata la fase più acuta della crisi si potrà tornare al regime ordinario. Al momento attuale prevediamo di utilizzare questa misura per l’anno 2021».


Veniamo alle prospettive economiche per i prossimi mesi. Cosa ripartirà con meno fatica, cosa necessiterà di nuove stampelle e cosa, purtroppo, rischia grosso?
«Vi è tutto il settore dell’esportazione che, se sarà confermata la ripresa economica a livello mondiale, potrà sicuramente riprendersi al meglio. Abbiamo poi tutte quelle attività rivolte al mercato interno che avranno dinnanzi a loro delle sfide importanti. Se le persone torneranno a muoversi maggiormente anche al di fuori dei confini nazionali vi potranno essere settori più sotto pressione rispetto ad altri. Pensiamo al commercio al dettaglio o al turismo. In questi ambiti è fondamentale fidelizzare al meglio il cliente in questa fase e sapersi innovare seguendo i cambiamenti in atto che sono stati accelerati dalla pandemia».
È poi stato creato un parco dell’innovazione: quali sono le prospettive e quale il suo ruolo nel rilancio del Cantone?
«Il parco dell’innovazione è un progetto strutturale e dinamico, sviluppato indipendentemente dall’arrivo della pandemia. Vogliamo ulteriormente spingere sulla capacità innovativa della nostra economia. Questo aspetto è ancor più importante a seguito dei cambiamenti indotti dall’attuale periodo. Ci sono dei settori specifici sui quali abbiamo le competenze e la capacità per progredire e favorire la creazione di posti di lavoro di qualità. Cito tre esempi: il centro di competenza dei droni, il settore delle scienze della vita, quello dell’intelligenza artificiale. Altri ambiti emergenti si stanno sviluppando in Ticino e potranno presto diventare dei veri e propri centri di competenza a livello nazionale».
C’è poi il tavolo dell’economia, che prosegue il suo lavoro in silenzio. Spesso questi gremi sono stati un po’ l’elefante che ha partorito il topolino. Ci dica quali sono i temi più caldi in discussione, i prossimi passi e le tempistiche?
«Questo gremio è stato costituito appena vi è stato lo scoppio della pandemia con l’obiettivo di monitorare la situazione e di rilevare i cambiamenti strutturali in atto. Il suo obiettivo è quello di formulare proposte di carattere strutturale rivolte al medio termine e per questo motivo i suoi lavori continueranno anche nei prossimi mesi. Vi sono ambiti molto interessanti che sono oggetto di approfondimento: il tema della formazione, quello di genere, il tema dello sviluppo sostenibile, quello dell’innovazione e tutto quanto ruota attorno al turismo. Ricordiamo che in alcuni di questi ambiti sono state adottate anche delle specifiche misure. Penso al programma per incentivare l’assunzione di apprendisti, al programma Vivi il tuo Ticino per il settore turistico, al potenziamento degli investimenti pubblici anche in un’ottica sostenibile».
Nelle ultime settimane ha fatto (ridere o piangere, ad ognuno la sua sensibilità) un video che dipingeva i ticinesi come poveri ma sexy. Lasciamo stare le presunte virtù, a preoccupare è la realtà dei nostri salari inferiori del 20% rispetto alla Svizzera interna. La nostra è una condizione irreversibile?
«La situazione geografica del Ticino che confina con l’Italia, nazione che registra dei livelli salariali più bassi dei nostri, ha da sempre condizionato la nostra realtà economica. Una differenza salariale rispetto al resto della Svizzera non è una novità di questi anni, ma ha da sempre caratterizzato il nostro Cantone. Va seguita l’evoluzione nel tempo di questo fenomeno e in particolare gli effetti sul mercato del lavoro. Vi sono periodi storici in cui la frontiera ha portato delle opportunità per alcuni nostri settori economici (pensiamo ad esempio a quello finanziario con il segreto bancario o a quello degli spedizionieri), in altri periodi la frontiera è stata caratterizzata da tensioni e in questa fase storica ciò avviene in particolare in relazione al mercato del lavoro. La situazione è in continua evoluzione e anche su questo fronte dobbiamo attenderci dei cambiamenti».


Ma sarà a lungo possibile avere degli svizzeri di serie A e altri di serie B?
«La Svizzera e il suo sistema federale devono avere quale fondamento la coesione del Paese e uno spirito di solidarietà fra le varie regioni. La realtà del mercato del lavoro ticinese è diversa da quella di Zurigo, Basilea o Ginevra. Sono quindi necessarie delle risposte differenziate. Come Canton Ticino avevamo sviluppato un modello per regolare il mercato del lavoro che prevedeva un meccanismo di clausola di salvaguardia. Questo modello andrà ripreso e ridiscusso con l’Autorità federale per dare delle risposte concrete alle legittime preoccupazioni della nostra popolazione e affinché tutti si sentano parte di questa nazione senza distinzioni».
Cosa possiamo fare per migliorarci nel contesto Svizzero?
«Dialogo e fermezza nelle nostre posizioni devono caratterizzare i nostri rapporti con l’Autorità federale. Nella fase acuta della prima ondata, quando Berna non aveva la giusta percezione di quanto stava avvenendo nel nostro Cantone, con questo approccio siamo riusciti a far comprendere all’Autorità federale la nostra particolare situazioni ottenendo le finestre di crisi che ci hanno permesso di gestire anche dal profilo sanitario la prima ondata pandemica che ci aveva colpiti per primi».
E nel contesto internazionale il nostro Ticino ha ancora qualcosa da dire oppure no?
«Il nostro Cantone è caratterizzato da molte aziende che rivolgono la loro attività all’esterno dei confini nazionali che fanno dell’esportazione un loro punto di forza. È quindi importante avere una capacità d’azione che spazi anche a livello internazionale. Come ente pubblico, grazie al nuovo parco dell’innovazione, abbiamo creato e rafforzato dei ponti con i poli di Zurigo e Milano. Dobbiamo quindi mantenere questa capacità di saper valorizzare le nostre particolarità e le nostre competenze anche a livello internazionale. Questo è fondamentale soprattutto in ottica futura».