«La tempesta che ha mosso una montagna»: il Guardian è tornato sul disastro in Val Bavona

C’è una invisibile soglia oltre la quale i drammi locali smettono di appartenere solo a chi li vive e si trasformano in coscienza collettiva. È il momento in cui una notizia, nata in un angolo del mondo, viene raccolta dalla stampa internazionale, diventando storia condivisa, patrimonio collettivo.
Nel suo reportage pubblicato il 5 agosto, il britannico The Guardian titola: «The forest had gone: the storm that moved a mountain». Ovvero: «La foresta era sparita: la tempesta che ha mosso una montagna». Un titolo che è già, di per sé, manifesto. Ma il contenuto va oltre: è un richiamo d’attenzione, un ritratto potente e doloroso di quanto la crisi climatica stia riscrivendo il paesaggio e intaccando profondamente la vita umana, fino a trasformare persino gli eventi più spensierati.
Quando il cambiamento climatico si fa tangibile, quando si manifesta nel tragico, l’attenzione pubblica si risveglia. È un processo intuitivo: vedo l’effetto, e solo allora percepisco con maggiore nitidezza la causa. È ciò che è successo ormai un anno fa a Fontana, in Val Bavona, dove gli effetti in questione hanno avuto risvolti drammatici. Lo sappiamo, una violenta colata di detriti ha completamente travolto il villaggio, provocando la morte di cinque persone. Durante una festa al Campo Draione, mentre la comunità era intenta a organizzare il tradizionale torneo di calcio estivo, una bomba d’acqua si è abbattuta sulla valle, scaricando più di 150 mm di pioggia all’ora. L'alluvione ha innescato una colata di materiale franoso di proporzioni eccezionali: oltre 300.000 metri cubi di roccia, fango, pietre e alberi hanno distrutto in pochi minuti il villaggio di Fontana.
Secondo i geologi svizzeri, si è trattata di una delle peggiori frane recenti sulle Alpi. Gli esperti hanno legato l’evento al cambiamento climatico e all’aumento degli «eventi composti», una combinazione di fattori ambientali, che rendono queste catastrofi sempre più frequenti. Il governo cantonale ha annunciato una revisione dei piani di emergenza e nuovi sistemi di monitoraggio, ma nel frattempo è pure cresciuta la preoccupazione per la sicurezza delle valli alpine in un contesto climatico sempre più instabile.
Per noi, i fatti narrati sono già noti alla memoria. L’evento è stato ampiamente seguito dai media nazionali e discusso in molte comunità alpine. Ma ciò che colpisce è come l’articolo del Guardian sia riuscito a trasformare una frana, per quanto spettacolarmente inquietante, in un simbolo globale del cambiamento climatico. Quello del quotidiano britannico non è solo un racconto di distruzione, ma una riflessione più ampia sulla fragilità crescente dei paesaggi alpini.
Il Guardian è dunque andato oltre la semplice cronaca. Il vero fulcro del reportage è l’analisi del cambiamento climatico che sta trasformando le Alpi. L’obiettivo non è solo raccontare un evento tragico, ma evidenziare come esso assuma un valore emblematico, rappresentando quei fenomeni sempre più frequenti che stravolgono il naturale corso delle nostre vite. E così, da Londra al Ticino, il dolore si fa eco. E mentre continuiamo a ricostruire ciò che la frana ha spezzato e il tempo lentamente riporta ordine nel disordine, resta il gesto — piccolo ma significativo — di chi, da un’altra parte d’Europa, ha scelto di raccontare anche la nostra ferita.