La tempesta è passata, ora bisogna tornare a vivere

Quanto segue è una mia idea. È solo mia, altamente opinabile e da subordinare in ogni caso a qualunque giudizio più autorevole. Ho l’impressione che spesso prevalga una insicurezza (riaprire o non riaprire? Proteggersi ma come?), del tutto comprensibile e giustificata ma a volte disfunzionale e paralizzante. Vorrei più che altro trasmettere un po’ di positività e coraggio.
Seguire il capitano
Una prima doverosa premessa: nella tempesta si segue sempre il capitano, dunque l’unico atteggiamento responsabile è l’incondizionata obbedienza a chi ci dà le direttive. È necessaria un’obbedienza non passiva e svogliata ma attiva, come immedesimazione riconoscente in chi comanda, che contribuisce a trovare nuove e creative soluzioni nella gestione dei problemi. Ora però siamo oltre la tempesta, il mare si sta calmando, sta tornando lentamente il bel tempo e c’è spazio per ascoltare le idee della ciurma sul ripristino della nave martoriata. Il meteo prevede al peggio mare mosso e al meglio lago calmo ma non più tempesta.
Il picco di fine marzo
Una seconda premessa riguarda i dati ora disponibili: un buon indicatore per valutare se il contenimento sia stato efficace è il numero di nuovi ricoveri in Ticino nelle 24 ore, poiché il rapporto tra i casi che necessitano il ricovero e tutti i nuovi i contagi è relativamente costante. Il picco dei nuovi ricoveri è stato senza alcun dubbio e senza discussioni il 25 marzo (oltre 70 al giorno), poi la curva in pochi giorni è crollata (meno di 10) a conferma che il «lockdown» ha funzionato benissimo. La popolazione ha reagito molto bene e ha davvero meritato i complimenti del medico cantonale. Ricordo che lo scopo non è fermare i contagi ma evitare il sovraccarico del sistema sanitario. Un vaccino per ora non è all’orizzonte e continuiamo a non avere alcun antivirale efficace in attesa dei quali avrebbe senso il cercare di ridurre a qualunque costo a zero i contagi.
Disastro evitato per un pelo
Terza premessa, con immensa ammirazione e gratitudine: disastro evitato per un pelo. Questo virus lasciato libero in una popolazione senza immunità (senza misure di contenimento) può raddoppiare il numero di nuovi ricoveri ogni 4 giorni. Per questo il «lockdown» è il punto cruciale di tutto. Chiudere tutto è stato indispensabile e il «timing» è stato perfetto. Una simulazione realizzata nella nostra struttura ha mostrato che un ritardo di soli 4 giorni in Ticino (ricoveri moltiplicati per 2, cioè 140 al giorno invece di 70) avrebbe determinato un forte superamento delle capacità massime del sistema; sarebbe stata una catastrofe come in Lombardia con pazienti nei corridoi e senza posto in cure intense. Dobbiamo essere estremamente riconoscenti a chi ha visto giusto e ha saputo convincere le autorità a «chiudere tutto» quando il beneficio di misure così drastiche era ancora in discussione. Non abbiamo mai superato la capacità dei reparti e delle cure intense ma ci siamo avvicinati ai limiti. Ora gli ospedali si stanno svuotando. Moncucco ha chiuso la maggior parte dei reparti COVID e, con circa due settimane di ritardo come è normale, i pazienti in cure intense stanno gradualmente tornando in reparto.
Rischio inferiore
Quarta premessa basata solo su ipotesi, quindi meno solida delle precedenti: una parte non conosciuta ma importante della popolazione ora è entrata in contatto con il virus senza ammalarsi o è guarita, quindi il rischio di contagio è senz’altro inferiore a prima (quando nessuno era immune). Alla riapertura ci saranno nuovi casi ma per forza meno rispetto a marzo. Non sta più cambiando molto alla nostra curva dei contagi da aprile in avanti, quindi è molto discutibile il beneficio in termini di immunità di gregge, di questi pochissimi contagi residui che avvengono nonostante le misure di contenimento. Più stiamo isolati, più allunghiamo la durata dell’epidemia. Questo non significa che dobbiamo contagiarci apposta, ma che fra alcuni mesi la situazione potrebbe non essere molto diversa da aprile 2020 da un punto di vista sanitario mentre potrebbe diventare drammatica e irreversibile da altri punti di vista se non ci facciamo coraggio. La nostra curva è in anticipo di due settimane rispetto alla maggior parte dei cantoni, quindi ora la confederazione è in ritardo rispetto al Ticino nelle riaperture. Il fatto che da noi il contagio sia stato più aggressivo all’inizio significa che lo sarà meno ora, non il contrario. Inoltre il comportamento della nostra gente è oggi molto più adeguato alla situazione di potenziale contagio rispetto ai tempi spensierati del Rabadan e questo è un punto centrale.
Il paralizzante «non fare»
Dopo le doverose premesse, quello che tenevo di più a dire. Il mantra «state a casa» è una semplificazione che ci può anche stare all’inizio, ma in un secondo tempo diventa più importante capire il come uscire di casa in questa nuova situazione. Il «come fare» diventa più utile del paralizzante «non fare». In realtà lo scopo del mantra è semplicemente evitare i contatti a rischio di contagio. A Moncucco abbiamo solo l’1% di personale contagiato (contagi avvenuti certamente in parte fuori dalla clinica). Siamo in mezzo a pazienti COVID tutto il giorno. Ci proteggiamo con la sola mascherina chirurgica, con un camice supplementare che cambia in ogni camera e la disinfezione molto accurata e molto regolare delle mani. Queste due semplici misure (mascherina e igiene delle mani) sono a mio avviso essenziali per proteggere chi è sano da chi è malato o potrebbe essere portatore del virus. Ma c’è chi vuol essere «più papista del papa». Sconsigliare ogni gita e chiudere tutti i laghetti del luganese più vari percorsi ciclabili può essere politicamente pagante e per certi versi comprensibile di fronte a ripetute segnalazioni «c’è troppa gente in giro», ma è anche trattare i propri cittadini come dei deficienti e negare loro arbitrariamente l’accesso a luoghi centrali, belli e utili soprattutto in questi tempi di clausura. Il rischio di contagio sulla riva di un laghetto o al parco Ciani con le dovute precauzioni è accettabile. La positività di poter stare in quei luoghi rigeneranti e anche l’influsso sulla salute di una passeggiata nella natura che rinasce sono evidentissimi. Riguardo al rischio di infortuni nelle attività all’aperto, gli ospedali lavorano ora a regime molto ridotto. La chirurgia ortopedica è quasi ferma da un mese. La Rega ha ridotto di molto gli interventi «comuni». Chi ha i numeri per affermare che sarebbe un problema curare qualcuno (per altro pochissimi come si è visto) che, pur facendo attenzione, scivolasse sulla riva del laghetto di Origlio o cadesse durante un giro in bici? Gli ortopedici si fregherebbero le mani anchilosate dall’inattività per la gioia di poter finalmente tornare in sala operatoria. Molti anziani mi hanno detto: «Non voglio passare mesi per me preziosi, capisce, i miei mesi sono più preziosi di quelli di un giovane, nel più totale isolamento. Piuttosto che stare a lungo senza i nipotini, preferisco morire». E li capisco molto bene. Chi vorrebbe recluderli per tutto l’anno avrebbe dovuto nascere in Cina. Ben venga qualche futura visita di nipotini sani con manine pulite (disinfettate o lavate molto bene) a nonni con la mascherina.
Ai bambini serve il contatto
Mi sembra ora drammaticamente urgente tener conto anche di necessità che vanno oltre il problema sanitario. Cosa fa chi ha un ristorante? Cosa succede a un bambino che vive per mesi isolato dai sui coetanei? I sindaci delle grandi città del cantone e alcuni medici ritengono prematura la riapertura delle scuole a metà maggio. Ma i bambini non ne possono più di stare lontani dai loro amici e la scuola struttura la loro vita. I bambini hanno bisogno di contatti come dell’aria che respirano.
Con queste riflessioni non voglio in alcun modo influenzare l’agenda delle autorità riguardo ai tempi e le modalità della riapertura, solo umilmente ricordare l’importanza di un atteggiamento che tratti i cittadini adulti come tali, che tenga conto della loro libertà e capacità di essere attivi in modo responsabile, di essere creativi dentro i limiti imposti. Vorrei spostare un po’ l’attenzione dal problema sanitario, che mi sembra sotto controllo, verso altri problemi (ristorazione, turismo, economia, scuola) che si aggravano di giorno in giorno e hanno ora urgentemente bisogno di essere risolti. In Ticino abbiamo già vinto la battaglia più difficile che queste generazioni abbiano mai affrontato insieme. Ora non è più il tempo dei generali che impongono senza discussioni, è il tempo di ricostruire. È il momento della creatività che viene dal basso, ma che necessita il riconoscimento e la fiducia di chi sta in alto. È il momento di restituire libertà a chi ha fatto grandi sacrifici perché possa risolvere problemi che si capiscono solo sul campo (si può aprire un ristorante con tavoli distanziati? Come proteggere docenti anziani alla riapertura delle scuole?) e non ha interesse a tradire la fiducia accordata.