La scoperta

L’albero di mille anni che dà pure castagne

Ci piace chiamarlo «Castiel»: in Leventina, a Chironico, una pianta monumentale al centro del paese vive da dieci secoli — «Era l’albero del pane, produce calorie dal terreno» — L’esperto: «Un esemplare straordinario, ed è ancora in buona salute»
L’esemplare è facilmente raggiungibile; a destra, Patrik Krebs, collaboratore scientifico dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio
Jona Mantovan
12.11.2021 18:10

Ci piace chiamarlo «Castiel», nome altisonante ispirato a Cassiel, uno degli arcangeli più antichi. Anche se la gente del posto - qui a Chironico, frazione del comune leventinese di Faido - gli aveva dato il nome «arbul de Geira». L’albero della «géira», vale a dire «ghiaia, sassi» come quelli del «cumulo» diventato sua dimora, una pila di pietrame ricavato durante la preparazione dei terreni adiacenti per essere sfruttati a mo’ di pascoli. Castiel ne ha passate tante, è un vero matusalemme: i «troni di spade» li ha vissuti tutti. Re e regni, la scoperta dell’America, la diffusione della stampa, la prima e la seconda guerra mondiale, l’uomo sulla Luna, la globalizzazione economica... Castiel ha mille anni e si trova nel centro del paese, a poca distanza dal nucleo e dalla casa comunale. Castiel è un castagno, ancora vivo e vegeto. Ha una forma particolare, con il tronco molto largo e composto da più colonne - ma con l’interno cavo che ricorda l’ingresso di una casa hobbit ne «Il Signore degli Anelli» - e la chioma bassa. È quasi più largo che alto. È stato potato da poco, cosa che rende la sua forma ancor più bizzarra. Quel che sorprende di più, tuttavia, è che nonostante i dieci secoli di esistenza, Castiel regala ancora preziosi frutti. Ai suoi piedi, infatti, le castagne abbondano tra le foglie cadute a terra. «Eccolo, è lui», indica Patrik Krebs, collaboratore scientifico dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (guarda il video allegato a quest’articolo) scendendo dall’auto appena parcheggiata.

«Sì, sono piccole», nota l’esperto mentre si avvicina con prudenza al nostro protagonista aprendo qualche riccio. «Probabilmente la parte selvatica ha prevalso rispetto alla varietà innestata. Dopo tutto questo tempo, però, è un esemplare ancora in buona salute. Un albero straordinario, sicuramente uno dei più vecchi della Svizzera. In realtà, non possiamo conoscere l’età esatta con un metodo scientifico. Perché normalmente contiamo gli anelli del tronco, ma in questo caso siccome è cavo, possiamo soltanto basarci sulla sua circonferenza esterna. Ed è davvero notevole, sono dodici metri. Possiamo fare il paragone con un altro castagno che avevamo catalogato sopra Bellinzona. Aveva una circonferenza di quasi otto metri, quando l’avevamo misurato. In quel caso avevamo avuto la fortuna di poter contare gli anelli e avevamo potuto stabilire un’età di 530 anni».

Patrik Krebs, di formazione geografo, è l’uomo che ha «scoperto» Castiel, perché tra le sue varie attività per l’istituto, è stato pure uno dei curatori dell’inventario dei castagni monumentali, un progetto avviato nel 2002 e finanziato dal Dipartimento della cultura del Canton Ticino, che ha coinvolto anche la Mesolcina. In tutto 350 di questi esemplari, di cui 300 catalogati nel dettaglio, mentre si stima l’esistenza di un’altra cinquantina. Ma com’è possibile che un albero possa vivere così a lungo? «C’è da dire che questa è una posizione favorevole, una sorta di “luogo di villeggiatura” per un castagno. Il terreno è pianeggiante, non ci sono alberi concorrenti che “rubano” la luce. Abbiamo anche una discreta insolazione e l’altitudine a cui ci troviamo non è poi così esagerata. Ma pure gli interventi dell’uomo, come la potatura, contribuiscono ad allungare notevolmente l’esistenza di una pianta che, altrimenti, in una foresta selvatica non riuscirebbe a superare i 100-200 anni, forse 300 volendo esagerare».

Erano tempi in cui, racconta Krebs, la valle era vittima delle piene dei fiumi che all’epoca, ovviamente, non erano ancora arginati. Il terreno in pianura quindi, quando era asciutto, era composto da sassi e ghiaia che non offrivano nulla. «Bisognava sfruttare ogni metro possibile, anche in cima alle montagne. Questi massicci - dice puntando il dito all’orizzonte, indicando le montagne le cui cime virano verso il bianco a causa della neve -, agli occhi degli esperti, rivelano una miriadi di sentieri. Era importante avere un equilibrio con quanto poteva offrire la natura: ci si arrampicava in quota per raccogliere il fieno selvatico, si ricercavano risorse foraggere marginali». In quest’ottica, il ruolo del castagno diventa di primo piano: «Era l’albero del pane, produce calorie dal terreno».
Krebs entra nella «casa dell’hobbit» indicando uno degli aspetti più interessanti dell’esemplare: «Ci sono delle cortecce interne alla facciata. Molto solide, che garantiscono una certa stabilità all’albero. Ci sono delle colonne di crescita indipendenti all’interno della cavità. Ci sono anche delle radici interne, oltre a dei nuovi polloni che si stanno sviluppando all’interno della cavità e che potrebbero, con il tempo, generare delle colonne di crescita interne. È un albero nell’albero che si sviluppa nel tempo», conclude l’esperto.  

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